Ordinanza n. 451 del 1995

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ORDINANZA N.451

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 25 ottobre 1994 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e da altri contro Armani Simonetta ed altri, iscritta al n. 191 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione di Biagio Accinni e di altri;

visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

visto l'atto di intervento depositato dall'organizzazione sindacale Associazione nazionale dirigenti e direttivi giudiziari (ANDIG-DIRSTAT) e da altri;

udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

RITENUTO che -nel corso di un giudizio d'appello promosso dalle amministrazioni interessate contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che aveva accolto i ricorsi proposti da personale amministrativo in servizio presso il Consiglio di Stato, Tribunali amministrativi e l'Avvocatura dello Stato -con ordinanza emessa il 25 ottobre 1994 il Consiglio di Stato ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, 103, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), che interpreta l'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 (Provvedimenti a favore del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie); che la disposizione denunciata, autoqualificandosi come interpretativa, prevede che l'indennità concessa dalla legge 19 febbraio 1981, n. 27 ai magistrati, poi attribuita dall'art. 1 della legge 22 giugno 1988, n. 221 al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e successivamente estesa al personale amministrativo delle giurisdizioni speciali dalla legge 15 febbraio 1989, n. 51, sia corrisposta al personale amministrativo giudiziario nella misura vigente al 1° gennaio 1988; che, secondo l'ordinanza di rimessione, l'interpretazione imposta dalla norma denunciata contrasterebbe con l'orientamento già affermatosi in giurisprudenza, non consentendo per il personale giudiziario amministrativo l'adeguamento automatico triennale dell'indennità previsto per i magistrati, e sarebbe costituzionalmente illegittima in quanto: a) la disposizione di legge inciderebbe sui giudizi in corso, in violazione degli artt. 101, secondo comma, 103, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione; b) l'esclusione dell'adeguamento triennale contrasterebbe con il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), non essendo ragionevole la disparità di trattamento, che la norma denunciata determina retroattivamente, tra magistrati e personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie; che si sono costituiti Biagio Accinni ed altri, parti nel giudizio principale, sostenendo che o la questione è inammissibile, per essere l'interpretazione della norma, intervenuta con l'art. 3, comma 61, della legge n. 537 del 1993, conforme a quella che la giurisprudenza ha dato all'art. 1 della legge n. 221 del 1988, o la legge interpretativa sarebbe diretta ad incidere sui giudizi in corso ed a determinare una ingiustificata disparità di trattamento tra magistrati e dipendenti amministrativi; che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la manifesta infondatezza della questione, già esaminata e decisa dalla Corte con la sentenza n. 15 del 1995; che, in prossimità della camera di consiglio, la parte privata ha depositato una memoria per ribadire le conclusioni di merito, ma sollecitando preliminarmente la Corte a sollevare dinanzi a sè, previa disapplicazione dell'art. 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Tale disposizione, consentendo di decidere in camera di consiglio qualora possa ricorrere il caso di manifesta infondatezza della questione, determinerebbe una discriminazione tra difensori ed una lesione del diritto di difesa (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione); che nell'imminenza della camera di consiglio, in data 26 settembre 1995, hanno depositato in cancelleria un atto di intervento l'organizzazione sindacale Associazione nazionale dirigenti e direttivi giudiziari (ANDIG-DIRSTAT) ed altri, che non erano parti nel giudizio principale, prendendo conclusioni nel merito della questione.

CONSIDERATO che è irricevibile l'atto di intervento dell'organizzazione sindacale ANDIG-DIRSTAT e di altri, in quanto proposto da chi non era parte nel giudizio principale e, comunque, depositato oltre il termine previsto dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e dall'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (sentenza n. 323 del 1993); che non ricorrono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla parte privata. La convocazione della Corte in camera di consiglio, nel caso possa ricorrere la manifesta infondatezza, consente alla parte costituita di dedurre anche in ordine alla determinazione in rito, potendo la Corte rinviare la causa alla pubblica udienza quando non sussista la manifesta infondatezza (art. 9, ultimo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale). Non è pertanto violato il diritto di difesa delle parti costituite (art. 24, secondo comma, della Costituzione), le quali, nelle forme proprie del procedimento in camera di consiglio, possono partecipare ad una effettiva dialettica processuale depositando memorie ed assumendo posizione anche sulla sussistenza o meno dei presupposti per la pronuncia di manifesta infondatezza della questione, mentre non si vede come possa determinarsi una discriminazione tra difensori (art. 3 della Costituzione); che una questione di legittimità costituzionale, identica a quella ora sollevata dal Consiglio di Stato, è stata dichiarata non fondata con la sentenza n. 15 del 1995, giacchè la disposizione denunciata è qualificata correttamente come di interpretazione autentica, ed in quanto tale è caratterizzata dalla retroattività. Difatti rientra tra le possibili letture della disposizione interpretata considerare il rinvio operato dall'art. 1 della legge n. 221 del 1988 all'art. 3 della legge n. 27 del 1981 come limitato alla misura dell'indennità e non esteso ai meccanismi di adeguamento coerenti con la diversa configurazione del sistema retributivo proprio dei magistrati. Quindi, con la disposizione censurata il legislatore "si è mosso sul piano delle fonti, esercitando il potere di attribuire alla disposizione legislativa interpretata un significato obbligatorio per tutti, senza con ciò interferire nella diversa funzione del potere giudiziario"; che con la stessa sentenza la Corte ha già ritenuto, inoltre, non irragionevole la mancata estensione al personale amministrativo del sistema di adeguamento automatico dell'indennità previsto per i magistrati, giacchè per giustificare la diversità di regime giuridico delle indennità in questione sono sufficienti "la mancanza di omogeneità tra le due categorie di dipendenti ed il diverso meccanismo di determinazione del trattamento retributivo", basato, solo per i magistrati, sull'aggiornamento periodico nella misura percentuale pari alla media degli incrementi realizzati dai pubblici dipendenti e non sulle regole comuni del pubblico impiego, che si applicano invece al personale amministrativo giudiziario; che, infine, "la legge interpretativa non travolge (...) i giudicati che si sono formati. La necessità di rispettarli nei singoli casi in cui vi sia cosa giudicata giustifica, anzi, la differente condizione di chi abbia avuto il riconoscimento giudiziale definitivo dell'adeguamento automatico dell'indennità rispetto a chi non lo abbia ottenuto"; che analoghe questioni, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, sono state dichiarate manifestamente infondate con l'ordinanza n. 98 del 1995; che l'ordinanza del giudice rimettente, emessa prima della sentenza n. 15 del 1995, non adduce profili diversi ed ulteriori rispetto a quelli già esaminati dalla Corte; che, conseguentemente, la questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 61, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 101, secondo comma, 103, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/10/95.

Vincenzo CAIANIELLO, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/10/95.