Sentenza n. 434 del 1995

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SENTENZA N. 434

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 305, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con n. 6 ordinanze emesse il 10 ed il 29 settembre 1994 dal Tribunale di Catanzaro, iscritte ai nn. 649, 685, 686, 687, 688 e 689 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 44 e 48, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 3 maggio 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. -- Il Tribunale di Catanzaro, in sede di appello avverso varie ordinanze di proroga dei termini di custodia cautelare, denuncia, con sei ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'articolo 305, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'applicazione delle disposizioni previste dall'art. 127 dello stesso codice per il procedimento in camera di consiglio.

2. -- Sotto il primo profilo, sostiene il remittente, appare ingiustificata l'esclusione del rito camerale a fronte dei numerosissimi casi in cui la legge ne prescrive l'osservanza.

La palese diversità di trattamento rispetto a tutti gli altri incidenti, de libertate e no, che devono essere trattati con la applicazione della disciplina di cui all'art. 127 del codice di procedura penale -che non sono di rilievo e importanza certo maggiori -- e la conseguente discriminazione, evidenzierebbero il contrasto col principio di uguaglianza fissato dall'art. 3 della Costituzione.

L'irrazionalità della disciplina può meglio apprezzarsi, prosegue il giudice a quo, considerando che le più garantistiche forme del rito camerale devono essere attuate allorquando si deve procedere alla mera correzione materiale del provvedimento di proroga (l'art. 130 c.p.p. richiama, appunto, l'art. 127 c.p.p.).

Sicchè appare veramente assurdo, conclude il remittente, che, laddove si tratti di rettificare l'ordinanza che ha disposto la proroga, di guisa che l'emendamento non comporti una modificazione essenziale dell'atto, la legge imponga di provvedere "in camera di consiglio a norma dell'art. 127" e, invece, dispensi dall'osservanza del rito camerale proprio quando si deve deliberare il contenuto sostanziale del provvedimento.

3. -- Sotto il secondo profilo la norma contrasterebbe col principio del diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

Premette il remittente che il procedimento di cui all'art. 305, comma 2, del codice di procedura penale dispiega rilevantissime conseguenze sullo status libertatis dell'indagato, in quanto comprime la libertà personale al di là dei limiti massimi di fase stabiliti in via ordinaria per la durata della custodia cautelare.

Per questo motivo, una volta riconosciuta dal legislatore la necessità dell'intervento della difesa nel procedimento incidentale, disponendo che il giudice provvede "sentiti il pubblico ministero e il difensore", non potrebbe ritenersi nè congrua, nè accettabile, in relazione alla importanza dell'interesse in discussione ed alla correlata esigenza dell'adeguato esercizio del diritto di difesa, la sostituzione della disciplina del rito camerale (avviso della udienza sia all'interessato che al difensore; termine dilatorio di dieci giorni; facoltà di presentare memorie prima della udienza; adozione del provvedimento nel pieno contraddittorio tra le parti) con la riduttiva previsione della mera audizione del difensore, la quale comporta: a) l'esclusione del preventivo deposito in cancelleria della richiesta del pubblico ministero ed, eventualmente, degli atti su cui la stessa si fonda; b) l'esclusione del termine dilatorio per l'esame degli atti e per l'allestimento della difesa, previsto nei procedimenti in camera di consiglio; c) e, infine, l'estromissione dal procedimento incidentale dell'indagato, al quale neppure si riconosce il diritto di aver notizia e di interloquire in merito alla richiesta di proroga della propria coercizione.

4. -- È intervenuto nel giudizio il Presidente del consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione. Rileva l'Avvocatura che la norma impugnata prevede un procedimento ed un contraddittorio semplificati che non appaiono in contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza e di ragionevolezza, atteso che la detta semplificazione sarebbe giustificata, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, da ragioni di urgenza e cioè dall'imminenza dello scadere dei termini di custodia cautelare, in presenza di "gravi esigenze cautelari" e della complessità delle indagini. Sarebbero le medesime ragioni a determinare una "legittima" compressione del diritto di difesa. Come più volte affermato dalla Corte costituzionale, rammenta la difesa del Governo (v. sentt. nn. 98 e 219 del 1994), tale diritto può subire limitazioni "solo in presenza della necessità di evitare l'assoluta compromissione di esigenze prioritarie nell'economia del processo".

In quest'ottica, conclude l'Avvocatura, la disciplina dettata dal secondo comma dell'articolo 305 rappresenterebbe il giusto contemperamento tra diritto di difesa, tutelato con l'obbligo del giudice per le indagini preliminari di audizione del pubblico ministero e del difensore, e l'esigenza di assicurare un procedimento celere per la proroga dei termini di custodia cautelare di cui sia imminente la scadenza.

Considerato in diritto

1. -- Con sei ordinanze di identico contenuto il Tribunale di Catanzaro, adito in sede di appello avverso altrettanti provvedimenti di proroga dei termini di custodia cautelare concessi dal giudice per le indagini preliminari, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 305, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, sulla richiesta del pubblico ministero di proroga dei termini di custodia, esclude l'applicazione delle disposizioni previste dall'art. 127 del medesimo codice per il procedimento in camera di consiglio.

Poichè i provvedimenti di rimessione sollevano tutti la medesima questione di legittimità costituzionale, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. -- Ad avviso del remittente la norma impugnata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in raffronto a tutte le altre ipotesi, anche di minor rilievo (ad es.: ordinanza di correzione degli errori materiali) regolate con la più garantistica disciplina del rito camerale; nonchè con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto, in relazione all'importanza dell'interesse in discussione, la riduttiva previsione della mera audizione del difensore (in luogo del più completo contraddittorio previsto dall'art. 127 cit.) non consentirebbe un adeguato esercizio del diritto di difesa.

3. -- La questione, sotto entrambi i profili, non è fondata nei sensi di seguito esposti.

Non può essere condiviso il presupposto interpretativo della questione, e cioè la lettura rigorosamente restrittiva che il giudice a quo compie della disposizione di cui al comma 2 dell'art. 305, la quale, a suo avviso, esclude del tutto la previa ed adeguata conoscenza, da parte del difensore, dei motivi della richiesta del pubblico ministero, ed eventualmente degli atti su cui si fonda, nonchè ogni termine dilatorio per l'esame di tali atti e la preparazione della difesa.

È ben vero, da un lato, che l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità esclude senz'altro la possibilità di applicare le forme del procedimento in camera di consiglio nell'ipotesi in esame, rilevando che la decisione sulla richiesta di proroga trova la sua disciplina esclusiva nell'art. 305, comma 2, il quale introduce un procedimento ed un contraddittorio semplificati ed ispirati da evidenti ragioni d'urgenza; e cioè dall'imminenza dello scadere dei termini di custodia in presenza di "gravi esigenze cautelari che, in rapporto ad accertamenti particolarmente complessi, rendano indispensabile il protrarsi della custodia" (art. 305, comma 2).

Nondimeno la medesima giurisprudenza, in numerose pronunce, non ha mancato di sottolineare che, pur senza l'osservanza di forme specifiche, il difensore deve, con congruo termine, essere posto in grado di interloquire, che le motivazioni della richiesta devono essere adeguatamente specificate, ed anche che la congruità del termine assegnato al difensore va valutata in rapporto alla richiesta del pubblico ministero ed al grado di complessità della stessa. Da ultimo, le stesse sezioni unite della Corte di cassazione, chiamate a pronunciarsi sull'individuazione delle modalità attraverso le quali il giudice, richiesto della proroga, deve accertare la sussistenza delle condizioni previste dalla norma, hanno affermato che, stante l'eccezionalità del- l'istituto della custodia cautelare (che colpisce la libertà personale dei cittadini e del quale è prevista l'applicazione sol quando risulti indispensabile, come il legislatore ha recentemente confermato nelle nuove disposizioni in tema di misure cautelari introdotte con legge 8 agosto 1995, n. 332), al pubblico ministero incombe, nel formulare la richiesta, un dovere di allegazione riguardante non soltanto le ragioni per le quali si rende indispensabile l'accertamento da eseguire (in riferimento alla posizione processuale dell'indagato), bensì anche quelle dimostrative della complessità dell'accertamento, e dell'impossibilità che lo stesso si sia potuto compiere durante il decorso del periodo ordinario di custodia cautelare.

4. -- Si tratta di affermazioni certamente esatte sulla scorta delle quali è possibile pervenire ad un'interpretazione della norma aderente al dettato costituzionale.

Già con la sentenza n. 219 del 1994 (resa in tema di rinnovazione della misura cautelare ex art. 301 del codice di procedura penale: istituto, per quanto qui rileva, affine a quello in esame) questa Corte ha avuto occasione di affermare che, allorquando l'indagato sia già assoggettato ad una misura cautelare, non possono sussistere ragioni valide per escludere l'esercizio del diritto di difesa mediante l'audizione del difensore da parte del giudice che deve adottare il provvedimento.

Ora, poichè la garanzia del contraddittorio è certamente un connotato essenziale del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione, oltrechè, ovviamente, un cardine del vigente sistema processuale, è del tutto evidente che tale diritto può dirsi assicurato solo nella misura in cui si dia all'interessato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica processuale (cfr. anche sentenze nn. 99 del 1975 e 190 del 1970).

Che l'art. 305, comma 2, non disciplini il procedimento da instaurare sulla richiesta di proroga -- limitandosi a stabilire che il giudice, sentiti il pubblico ministero ed il difensore, provveda con ordinanza -- non può quindi assumere il significato di un esonero dal rispetto del contraddittorio, ma soltanto che il legislatore non ha inteso vincolare il giudice all'obbligo di determinate forme, lasciandolo libero di scegliere, caso per caso, quelle ritenute più opportune per assicurare sia pure in modo celere e semplificato, una effettiva dialettica tra accusa e difesa. In conclusione, a detta preventiva audizione del difensore è certamente possibile dare significato concreto, alla stregua degli indicati canoni giurisprudenziali, affinchè sia realizzato, nei limiti posti dall'oggetto del giudizio, un contraddittorio semplificato ma effettivo, nel quale la parte sia tempestivamente posta in grado di conoscere le ragioni addotte dal pubblico ministero a fondamento della richiesta di proroga, con un congruo termine, rimesso alla prudente valutazione del giudice, per l'esame degli atti e l'allestimento delle difese.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 305, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 settembre 1995.