Sentenza n. 433 del 1995

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 433

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19 (Norme sul referendum consultivo per l'istituzione di nuovi Comuni, e modificazione delle circoscrizioni e denominazioni comunali, in attuazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione), come modificato dalla legge della Regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49, nonchè della legge della Regione Lazio 21 ottobre 1993, n. 56 (Istituzione del Comune autonomo di Boville comprendente le frazioni del Comune di Marino), promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1995 dal T.A.R. del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Vinciguerra Franco ed altri contro il Prefetto della Provincia di Roma ed altri, iscritta al n. 391 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visti gli atti di costituzione di Vinciguerra Franco ed altri, del Comune di Boville e della Regione Lazio;

udito nell'udienza pubblica dell'11 luglio 1995 il Giudice relatore Mauro Ferri;

uditi l'avvocato Alessandro Pace per Vinciguerra Franco ed altri, l'avvocato Giorgio Marino per il Comune di Boville e gli avvocati Aldo Rivela e Achille Chiappetti per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

1. -- Avanti il T.A.R. del Lazio è stato impugnato il decreto di sospensione della indizione dei comizi elettorali del Comune di Marino, quale primo atto inteso a dare esecuzione alla istituzione del Comune autonomo di Boville, per separazione da quello di Marino.

I ricorrenti, tra gli altri motivi, hanno prospettato la violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione, da parte dell'art. 1, comma secondo, lett. a), della legge della regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19 (con conseguente illegittimità derivata del decreto prefettizio impugnato), in quanto sono stati chiamati ad esprimersi sul referendum soltanto i cittadini residenti nelle frazioni da distaccare e non tutti i cittadini di Marino.

Con un secondo ricorso, riunito in sede di trattazione al primo, è stato altresì impugnato, per i medesimi motivi, il decreto di nomina del Commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione del Comune di Boville.

2. -- Il T.A.R. remittente premette di aver già sollevato medesima questione di costituzionalità nel giudizio a quo, decisa, nel senso dell'inammissibilità con sentenza n. 468 del 1994 di questa Corte, in quanto era stata impugnata la sola norma di legge regionale disciplinante il referendum consultivo per l'istituzione di nuovi Comuni (nell'ipotesi di scorporo da aree comunali di più vasta dimensione), ma la questione non era stata estesa anche alla legge della Regione Lazio n. 56 del 1993 istitutiva del Comune di Boville, e costituente l'atto finale del procedimento previsto dal secondo comma dell'art. 133 della Costituzione; per cui, concludeva la citata sentenza n. 468 del 1994: "ove anche, in ipotesi, fosse dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma regionale impugnata, resterebbe comunque in vigore la legge regionale n. 56 del 1993 che sorregge direttamente i provvedimenti amministrativi oggetto del giudizio a quo, e che, naturalmente, il giudice amministrativo non può disapplicare".

3. -- Ciò posto, il T.A.R. del Lazio, nella nuova udienza di discussione avanti a sè, sentite le parti, dichiara di prendere atto della rilevanza da attribuire alla legge regionale 21 ottobre 1993, n. 56 (istitutiva del Comune di Boville) e, così integrata la questione, intende sottoporre nuovamente all'esame di questa Corte la questione di legittimità dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19 (come modificato dall'art. 1 della legge regionale 20 agosto 1987, n. 49), nonchè della legge della Regione Lazio 21 ottobre 1993, n. 56 (istitutiva del Comune di Boville) per contrasto con l'art. 133, secondo comma, della Costituzione.

La questione, sottolinea il remittente, è sicuramente rilevante nei giudizi riuniti all'esame del Collegio, in quanto soltanto la declaratoria di incostituzionalità delle norme suddette può portare all'accoglimento dei ricorsi, avendo la Regione Lazio posto in essere il procedimento referendario, prima, e istituito il Comune di Boville, poi, sulla base delle sopraindicate norme legislative.

4. -- La questione, inoltre, ad avviso del T.A.R. del Lazio appare non manifestamente infondata.

Condividendo la tesi prospettata dai ricorrenti, il giudice a quo ritiene che il problema di legittimità costituzionale si incentri tutto sulla locuzione "popolazioni interessate", dettata dalla norma costituzionale, con riferimento al fatto se queste siano solo quelle delle frazioni che chiedono il distacco da un Comune già costituito, ovvero se si debba intendere tutta la popolazione dell'originario ente locale, chiamata, nel caso in esame, a consentire o meno lo smembramento del Comune.

Entrerebbero in gioco due principi ordinamentali entrambi rinvenienti da norme costituzionali: quello della cosiddetta autodeterminazione, per il quale un soggetto o un gruppo può scegliere alcune caratteristiche della propria esistenza giuridica, e quello della volontà della maggioranza di una collettività, in base al quale la modifica di qualsiasi elemento costitutivo deve essere deciso dal maggior numero dei soggetti che partecipano della originaria composizione; il tutto trasfuso nell'altro principio ordinamentale, di carattere fondamentale, per il quale gli enti locali sono, sì autonomi, ma non anche indipendenti, per cui ogni loro decisione deve pur sempre rapportarsi agli interessi della comunità organizzata in ordinamento sovrano.

5. -- Ove quindi si ricerchi il "quid intermediationis", prosegue il T.A.R. del Lazio, cioè il punto di equilibrio ordinamentale nel quale entrambe le esigenze della collettività prima evidenziate possono trovare una composizione soddisfacente che renda giustizia a tutti, occorre considerare che i gruppi organizzati di carattere pubblico, come nella specie gli enti locali di carattere comunale, sono tali perchè i singoli soggetti che ne fanno parte hanno fra loro una qualche comunanza più o meno intensa, che non è mai solo l'elemento oggettivo del territorio, ma che si connette ad usi, costumi, dialetti, cemento storico, comunanze geografiche, coerenza sociale, costumanze religiose, specificità folcloristiche, ecc., per cui il "gruppo sociale" prima di essere tale, si "sente" tale e la sovrapposizione istituzionale finisce soltanto per dare riconoscimento ad una realtà già aggregata.

Le multiformi esperienze del nostro Paese, prosegue il remittente, se hanno segnato la nascita e la consapevolezza di gruppi locali sicuramente compatti, possono anche aver determinato il sorgere di entità solo amministrativamente unificate, senza il supporto di quella necessaria coscienza ordinamentale che fa diventare un ente locale anche un gruppo omogeneo.

Se questo è probabilmente il dato di base, è fuori discussione che l'ordinamento nazionale non può che favorire movimenti al suo interno che tendano a compattare e ad omogeneizzare le singole strutture sociali di cui esso si compone.

Non, quindi, le richieste di qualsiasi gruppo in qualsiasi momento potrebbero esser prese in considerazione per smembrare unità sociali che presentano caratteri di compattezza, ma soltanto quelle che provengono da un gruppo che ha una nitida differenziazione complessiva che lo rende già di per sè autonomo, come è potuto accadere per il recente scorporo del Comune di Fiumicino dal Comune di Roma, dove era evidente il rapporto puramente amministrativo che collegava le due comunità.

In casi del genere, sostiene il remittente, è fuor di dubbio che basti la manifestazione della volontà del gruppo che intende distaccarsi; questo è già esistente come fatto sociologicamente distinto, è collegato con un'area geografica eccentrica rispetto al capoluogo, ed ha quindi una sua caratterizzazione distintiva, per cui l'autonomia amministrativa non può che discendere dalla volontà degli autonomisti, potendosi vanificare un fatto naturale per una questione di maggioranza già di per sè precostituita, nel caso si ammettesse al voto l'intera cittadinanza.

Diverso sarebbe, invece, il caso, come nel Comune di Marino, allorquando la richiesta di distacco non proviene da una precisa e ben identificata (per elementi storico-sociali propri) comunità di cittadini, ma scaturisce invece dall'interno della stessa comunità, da parte di quasi i due terzi dei cittadini dell'originaria comunità, perchè in questo caso non si tratta di far conseguire l'autonomia ad un gruppo che già la possiede, ma si tratta invece di operare uno smembramento di una collettività organica, determinando, essa sì, una suddivisione che può essere artificiale e che, quindi, l'ordinamento ha tutto l'interesse ad evitare.

In tali casi, sostiene il T.A.R., tutti debbono essere chiamati a poter manifestare il loro voto circa la volontà di smembrare o meno la collettività locale da tempo esistente, come pure è avvenuto nel recente referendum per la separazione tra Venezia e Mestre, dove appunto non si è trattato di un piccolo ed identificato gruppo che chiedeva il distacco da un capoluogo, ma di due notevoli entità di un'unica comunità, con vari collegamenti.

Quanto, infine, alla illegittimità costituzionale della Legge regionale istitutiva del Comune di Boville, essa risulterebbe direttamente conseguenziale alla dichiarazione d'illegittimità della impugnata norma regionale che disciplina il procedimento referendario.

6. -- Ha depositato atto di costituzione, fuori termine, il Presidente della Giunta regionale del Lazio concludendo per l'inammissibilità, o comunque per l'infondatezza, della questione.

7. -- Si è costituito in giudizio il Comune di Boville, in persona del Commissario prefettizio pro-tempore, instando per la dichiarazione d'inammissibilità o d'infondatezza della questione.

La difesa del Comune rileva che a seguito della citata sentenza n. 468 del 1994 di questa Corte il T.A.R. del Lazio ha ritenuto di dover estendere la già sollevata eccezione di incostituzionalità anche alla legge regionale n. 56 del 1993, quasi intendendo la suddetta decisione di inammissibilità come prescrittiva di questo obbligo, e soprattutto come giustificativa ex se della remissione. In realtà, ad avviso del Comune, il giudice a quo non fornirebbe alcuna motivazione della remissione ex novo della questione di legittimità costituzionale.

Così facendo il T.A.R. del Lazio cadrebbe in una serie di illegittimità che andrebbero dalla decisione in carenza assoluta di motivazione, alla apoditticità, alla violazione del principio di omnicomprensività della pronuncia, in virtù del quale la sentenza determina la definizione del dedotto e del deducibile in ordine al rapporto con essa definito.

Nel merito, il Comune di Boville si richiama agli argomenti già esposti in occasione del precedente giudizio di costituzionalità in ordine all'infondatezza della questione. In prossimità dell'udienza la difesa del Comune ha depositato, fuori termine, memoria con la quale ha ulteriormente illustrato le proprie tesi.

8. -- Si sono altresì costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo concludendo per la fondatezza della questione e la conseguente dichiarazione d'illegittimità delle leggi regionali impugnate.

Dopo aver richiamato le conclusioni raggiunte dalla sent. n. 453 del 1989 di questa Corte, i ricorrenti affermano che l'indicazione univoca che scaturisce dalla decisione è nel senso che l'ambito di popolazione da consultare a mezzo di referendum va determinato in relazione all'entità della modifica territoriale da attuare.

Una cosa sarebbe la erezione a Comune autonomo (o l'aggregazione ad altro Comune) di una piccola frazione di un grande Comune, altro è, invece, l'erezione a Comune autonomo di una larghissima parte del territorio di un Comune preesistente, come avviene nel caso del Comune di Marino.

Nel primo caso sarebbe di palmare evidenza che l'entità della variazione è tale da lasciare so stanzialmente integra l'identità non solo storico-politica, ma anche territoriale, del Comune il cui territorio viene variato, ben potendosi ritenere che concretamente "interessata" alla costituzione del nuovo Comune sia esclusivamente quella piccola entità di popolazione che dovrebbe distaccarsi (basti pensare al caso del distacco di Fiumicino e di Fregene dal Comune di Roma).

Nel secondo, invece, il Comune preesistente sarebbe scosso nelle sue fondamenta, in quanto la sua dimensione territoriale (se non, addirittura, la stessa identità storico-politica) viene profondamente incisa, potendo subire (in caso di esito positivo del referendum) una trasformazione quantitativa di tale entità da divenire qualitativa. In tale ipotesi la popolazione "interessata" risulterebbe l'intera popolazione del Comune preesistente, e pertanto tutta la popolazione della comunità interessata allo smembramento dovrebbe esprimere il proprio punto di vista. Nessun membro di tale popolazione potrebbe, infatti, dirsi indifferente rispetto ad un processo di trasformazione così radicale (si pensi al distacco da Roma di due terzi dei quartiere o anche del solo centro storico). Secondo la stessa giurisprudenza della Corte (cfr. la già richiamata sent. n. 453 del 1989), proseguono i ricorrenti, deve essere sempre consultata mediante referendum quella parte di popolazione che abbia un interesse qualificato per intervenire nei procedimenti di variazione territoriale, in quanto si trovi in una situazione di diretto collegamento con le modifiche territoriali stesse. In altre parole, la nozione di "popolazione interessata" è sempre "relativa", e va commisurata agli interessi coinvolti dalle variazioni territoriali. In conseguenza di ciò, in casi di variazioni non meramente parziali, ma che si risolvono in ipotesi di scissioni o di fusioni, interessati possono considerarsi tutti gli elettori appartenenti al Comune o ai Comuni dei quali si tratti.

In altri termini non potrebbe negarsi che, allorchè la modifica coinvolga il territorio comunale attraverso un processo di "scissione" (come nella specie); ovvero due o più territori al fine di una "fusione", la popolazione titolare dell'interesse qualificato ad essere sentita a mezzo di referendum (e quindi, come tale, "interessata") è l'intera popolazione del territorio o dei territori in questione, in quanto coinvolta nella sua unitarietà dalla modifica della circoscrizione territoriale.

Tale sarebbe la vicenda concernente la legge regionale in oggetto, in relazione al Comune di Marino. Infatti, rilevano i ricorrenti, il Comune di Marino subisce, per effetto della legge regionale n. 56 del 1993, uno smembramento del proprio territorio (che diminuisce da 2400 a 800 ettari), con conseguente notevolissima diminuzione anche dei propri residenti (da 35.000 a 15.000). A ciò si aggiunga che, paradossalmente, vengono a far parte del Comune di Boville proprio quei terreni in cui si trovano i vigneti che producono il famoso "vino di Marino", i cui proprietari vivono quasi tutti nel centro storico di Marino. Non sarebbe dubitabile che tutta la popolazione del Comune di Marino era, ed è, interessata all'esito della consultazione, e che tutta la popolazione avrebbe dovuto partecipare al referendum.

In conclusione, i ricorrenti rilevano che la illegittimità della omessa consultazione di tutti gli elettori del Comune di Marino risulterebbe di tutta evidenza dalle stesse cifre del referendum. Con appena 9.901 voti su un totale di 14.898 aventi diritto al voto si è deciso il destino di 35.000 abitanti, tutti egualmente coinvolti in una variazione rilevantissima della realtà socio-economica della zona in questione.

Infine, i ricorrenti evidenziano che numerose altre Regioni, nell'adottare le rispettive leggi in materia, hanno già seguito dei principi realmente conformi alla ratio dell'art. 133 della Costituzione.

Esemplare sotto tale punto di vista risulterebbe la legislazione esistente nella Regione Veneto e la prassi applicativa seguita per l'istituzione di nuovi Comuni attraverso scorporo di frazioni di Comuni preesistenti.

La legge regionale del Veneto 24 dicembre 1992 n. 25, in tema di "Variazioni provinciali e comunali" stabilisce, all'art. 6, primo comma, lett. a) che, in ipotesi di variazione di circoscrizioni comunali, nel senso dell'istituzione di un nuovo Comune a seguito dello scorporo di parte del territorio di uno o più Comuni, il referendum debba riguardare l'intera popolazione del Comune di origine se la popolazione o il territorio, che è oggetto di trasferimento costituisce rispettivamente almeno il 30% della popolazione od il 10% del territorio del Comune di origine. Ove invece tali percentuali siano inferiori, allora il referendum deve concernere solo la popolazione del territorio che è oggetto di trasferimento [art. 6, primo comma, lett. b)].

Altre Regioni hanno invece preferito lasciare alla libera scelta del consiglio regionale il restringere o meno l'ambito territoriale della consultazione popolare, in ipotesi di istituzione di nuovi Comuni, per distacco di parti di altri Comuni preesistenti (Regione Abruzzi, Regione Sardegna, Regione Piemonte).

Ad avviso dei ricorrenti tale normativa dimostrerebbe lo stato di disagio provato da tali Regioni, che, non avendo l'ardire di adottare la soluzione radicale prescelta dalla Regione Lazio, sarebbero ripiegate su una formula "pilatesca", la quale, rinviando il problema, non lo risolve, ma evita che nella disciplina regionale sull'istituzione di nuovi Comuni si annidino evidenti vizi di incostituzionalità.

Considerato in diritto

1. -- Con sentenza n. 468 del 1994 questa Corte ha dichiarato inammissibile per irrilevanza la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dalla legge della Regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49, sollevata in riferimento all'art. 133, secondo comma, della Costituzione, dal T.A.R. del Lazio. Il medesimo T.A.R. ha risollevato ora identica questione estendendola anche alla legge della Regione Lazio 21 ottobre 1993, n. 56.

2. -- La questione sollevata dal giudice remittente concerne la norma che, agli effetti del referendum previsto dall'art. 133, secondo comma, della Costituzione (potere delle Regioni, sentite le popolazioni interessate, di istituire con legge nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni), stabilisce: "per popolazioni interessate si intendono: a) nel caso di istituzione di nuovi Comuni: gli elettori della frazione, o delle frazioni, che devono essere erette in Comune autonomo". Poichè il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale di questa norma, anche la legge n. 56 del 1993 che ha istituito il Comune di Boville, previo referendum tenuto in applicazione della norma stessa, con la consultazione limitata alle popolazioni delle frazioni richiedenti l'erezione in Comune autonomo, risulterebbe conseguentemente inficiata di illegittimità costituzionale per violazione del medesimo art. 133, secondo comma, e pertanto anche nei confronti di questa egli solleva questione di legittimità costituzionale.

3. -- Vanno senz'altro disattese tutte le eccezioni di inammissibilità formulate dalla difesa del Comune di Boville. Gli argomenti addotti in ordine alla mancanza di motivazione sulla riproposizione della questione risultano del tutto inconsistenti.

Il T.A.R. remittente ha ampiamente motivato, in punto di rilevanza, sulla estensione della questione alla legge istitutiva del Comune di Boville, nonchè, nel merito, sui profili di illegittimità costituzionale denunciati. Quanto poi alla eccepita violazione di un non meglio definito principio di onnicomprensività della pronuncia (riferito alla precedente sentenza n. 468 del 1994 di questa Corte), che determinerebbe "la definizione del dedotto e del deducibile in ordine al rapporto con essa definito", è sufficiente osservare che la precedente decisione di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto puramente processuale, non pregiudica affatto la riproposizione della questione stessa, una volta eliminato dal giudice a quo il vizio che ne precludeva l'esame del merito.

4. -- Nel merito la questione è fondata.

La lettura del secondo comma dell'art. 133 della Costituzione è chiara ed univoca: la consultazione delle popolazioni interessate è richiesta sia per l'istituzione di nuovi Comuni, sia per la modificazione delle loro circoscrizioni; i lavori preparatori ne danno conferma, offrendo semmai argomento per discutere, ferma l'obbligatorietà della consultazione, quale sia il peso effettivo da riconoscere alla volontà espressa dagli interessati.

In linea generale, quindi, popolazioni interessate sono tanto quelle che verrebbero a dar vita ad un nuovo Comune così come quelle che rimarrebbero nella parte, per così dire, "residua" del Comune di origine. Altrettanto può dirsi per i trasferimenti di popolazioni da un Comune ad un altro in conseguenza di modificazioni delle circoscrizioni territoriali.

Solo in casi particolari potrà prescindersi dalla consultazione dell'intera popolazione del Comune da cui una o più frazioni chiedano di distaccarsi. Il T.A.R. remittente, prendendo le mosse da un episodio recente (quello dell'istituzione del Comune di Fiumicino per distacco dal Comune di Roma), definisce tale ipotesi come quella in cui il gruppo che chiede l'autonomia "è già esistente come fatto sociologicamente distinto, è collegato con un'area eccentrica rispetto al capoluogo, ed ha quindi una sua caratterizzazione distintiva".

È una definizione tutto sommato accettabile cui può aggiungersi, come requisito rilevante, la limitata entità sia del territorio che della popolazione rispetto al totale.

Tutto ciò comporta comunque una valutazione di elementi di fatto che dovrà effettuarsi caso per caso al momento di indire il referendum consultivo.

In altra ipotesi, quella cioè di modificazione di circoscrizioni territoriali comportante il trasferimento di una parte di popolazione da un Comune ad un altro, questa Corte ha espresso più sinteticamente un concetto analogo affermando che la consultazione referendaria non va riferita all'intera popolazione residente nei due Comuni, allorquando alla stessa "non può riconoscersi un interesse qualificato per intervenire in procedimenti di variazione che riguardano parti del territorio rispetto al quale essa non abbia alcun diretto collegamento" (cfr. sentenza n. 453 del 1989).

5. -- Ma, val la pena ripetere, si tratta di ipotesi particolari ed eccezionali che non inficiano la regola generale direttamente ricavabile dall'art. 133, secondo comma, della Costituzione, che esige la consultazione di tutta la popolazione del Comune o dei Comuni le cui circoscrizioni devo no subire modificazione, o per la istituzione di nuovi Comuni o per il passaggio di parti di territorio e di popolazione da un Comune all'altro.

Nel caso che ha dato origine al giudizio a quo è pacifico che non si verta in nessuna delle situazioni eccezionali prima descritte.

Come afferma il giudice remittente -- e l'affermazione non è contestata dalle parti -- l'istituzione del nuovo Comune di Boville ha significato per il Comune di Marino la perdita di più della metà della popolazione, mentre la norma impugnata istituisce la regola della sola consultazione degli "elettori della frazione o delle frazioni che devono essere erette in Comune autonomo", in aperta violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione.

L'accertata illegittimità costituzionale della norma comporta la caducazione della stessa, nonchè della legge 21 ottobre 1993, n. 56, inficiata a sua volta dal procedimento referendario attuato secondo una norma costituzionalmente illegittima.

In applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va altresì dichiarata l'illegittimità costituzionale delle lettere d), e) ed f) del secondo comma dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dalla legge regionale 20 agosto 1987, n. 49, che dettano regole generali limitative della popolazione da consultare, incorrendo quindi nella medesima violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione.

Sarà il Consiglio regionale del Lazio, ove lo ritenga necessario, a riformulare in queste parti la legge secondo i principi affermati nella presente decisione, tenendo conto comunque che le eccezioni alla regola esigono sempre un accertamento di fatto da effettuarsi caso per caso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19 (Norme sul referendum consultivo per l'istituzione di nuovi Comuni, e modificazione delle circoscrizioni e denominazioni comunali, in attuazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione), come modificato dalla legge della Regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49;

dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 21 ottobre 1993, n. 56 (Istituzione del Comune autonomo di Boville comprendente le frazioni del Comune di Marino);

dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. d), e) ed f) della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dalla legge della Regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 settembre 1995.