Ordinanza n. 431 del 1995

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ORDINANZA N. 431

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 37, primo comma, del codice penale militare di pace, unitamente agli artt. 223 e 224, nonchè all'art. 222 dello stesso codice, promossi con due ordinanze emesse il 22 e il 14 febbraio 1995 dal Tribunale militare di Padova nei procedimenti penali a carico di D'Ambra Giuseppe e di Catanese Walter, iscritte rispettivamente ai nn. 231 e 239 del registro ordinanze 1995 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 18 e 19, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 luglio 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

RITENUTO che con due ordinanze, emesse nel corso di altrettanti procedimenti, il Tribunale militare di Padova ha denunciato l'art. 37, primo comma, del codice penale militare di pace in relazione alle disposizioni incriminatrici speciali di seguito indicate:

- gli artt. 223 e 224, per violazione degli artt. 3 e 103 della Costituzione, nel corso del procedimento a carico di Catanese Walter, soldato in congedo, già effettivo, imputato di lesione personale grave per aver colpito con un pugno al volto un pari grado, cagionandogli varie fratture e l'indebolimento dell'organo estetico (ordinanza del 14 febbraio 1995);

- l'art. 222, per lesione degli artt. 3 e 103 della Costituzione, nel processo a carico del soldato D'Ambra Giuseppe imputato del reato di percosse (ordinanza del 22 febbraio 1995);

che le due ordinanze sollevano la questione del combinato disposto dell'art. 37, primo comma, in relazione agli artt. 223 e 224 nonchè all'art. 222, nella parte in cui esso si applica anche al di fuori delle condizioni stabilite dall'art. 5, terzo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare);

che secondo i giudici a quibus i reati contenuti nel libro II, titolo IV, capo III, quali le percosse e le lesioni personali, si applicano per il solo fatto che i soggetti (attivo e passivo) del reato rivestano la qualità di militare;

che le figure criminose disegnate dalle disposizioni impugnate potrebbero, dunque, definirsi (r)reato militare> ai sensi del citato art. 37, primo comma, sì che la nozione di esso peccherebbe per difetto, e per eccesso;

che detto art. 37 non ricomprenderebbe nel suo ambito nè i fatti lesivi di interessi militari - vi esulerebbero la corruzione, l'abuso d'ufficio, la concussione, il peculato d'uso e l'omicidio tra pari grado nè i fatti estranei alla tutela di quegli interessi, onde la violazione degli artt. 3 e 103, ultimo comma, della Costituzione;

che sotto quest'ultimo riguardo il reato militare potrebbe essere definito <come violazione di legge penale posta a tutela di valori afferenti all'istituzione militare, esplicitamente o implicitamente garantiti dalla Carta costituzionale> (sentenza n. 81 del 1980);

che, al contrario, sotto il primo profilo, quello dell'art. 3, la lesione si paleserebbe per l'effetto derivante dalla qualificazione formale di reato militare, con un trattamento sostanziale complessivo (pene principali e accessorie, loro esecuzione, scriminanti, attenuanti e aggravanti) del tutto peculiare e diverso rispetto a quello conseguente alla contestazione del reato comune, stante la radicale diversità della disciplina processuale, caratterizzata dalle forme del processo militare e dalla richiesta di procedimento da parte del comandante di Corpo;

che vi sarebbero, tuttavia, fatti non idonei a interferire con beni o interessi militari e che, ciononostante, verrebbero sottoposti alla speciale disciplina del codice penale militare;

che tali sarebbero i fatti di lesione personale, come quello in esame, commessi per ragioni e in situazioni estranee al servizio e alla disciplina militare (e, cioè, fatti lesivi di interessi (r)comuni> sottratti alla loro naturale disciplina per essere, invece, assoggettati a quella militare);

che l'identico trattamento sanzionatorio sarebbe inoltre comminato per tutti i fatti, quanto all'interesse leso, anche fra loro eterogenei;

che si paleserebbe, in tal modo, l'incostituzionalità dell'impugnato art. 37, primo comma, in relazione all'art. 3 della Costituzione, in una lesione riscontrabile pure per tutte le altre incriminazioni denunciate;

che tali disposizioni ricomprenderebbero, invero, fatti senza alcuna afferenza con le esigenze del servizio e della disciplina militare, assoggettando il fatto <comune>, o delle percosse, o delle lesioni personali alle conseguenze derivanti dall'ascrizione al genus del reato militare (dall'attenuante dell'ottima condotta militare ex art. 48, ultimo comma, all'aggravante del grado rivestito ex art. 47, n. 2; dalla perseguibilità sottratta alla parte lesa e affidata al comandante di corpo, alla sottoposizione alla giurisdizione militare ex art. 263);

che, in tal modo, ne discenderebbe una irrazionalità, ancor più evidente con riferimento alla disposizione di cui all'art. 5, terzo comma, della legge n. 382 del 1978, sul modello dell'art. 199 del codice penale militare, ove si statuiscono le condizioni di applicabilità della normativa sull'insubordinazione e sull'abuso di autorità (riferimento che potrebbe restringere l'applicazione della disposizione impugnata soltanto quando i militari (r)svolgono attività di servizio; si trovano in luoghi militari o comunque destinati al servizio; indossano l'uniforme; e si qualificano come militari, in relazione a compiti di servizio, o si rivolgono ad altri militari in divisa o vi si qualificano come tali>); che il Tribunale rimettente ha perciò sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, anche questione di costituzionalità degli artt. 223, 224 e 222 del codice penale militare di pace, nella parte in cui si applicano altresì al di fuori delle condizioni stabilite dall'art. 5, terzo comma, della legge n. 382 del 1978;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza;

che ad avviso dell'Avvocatura rientrerebbe nella sfera di discrezionalità riservata al legislatore prevedere (o meno) cause di inapplicabilità di determinate fattispecie, purchè non vi sia violazione del criterio di ragionevolezza;

che tale censura non sarebbe però invocabile, nella ipotesi in esame, non soltanto per la diversa "obiettività giuridica" fra i valori posti a confronto, ma anche perchè i reati militari e i reati comuni fra loro comparati riceverebbero differente trattamento sanzionatorio, a volte più grave delle corrispondenti fattispecie comuni.

CONSIDERATO che le stesse questioni, sulla base delle medesime considerazioni, hanno già formato oggetto di esame da parte di questa Corte, che le ha dichiarate inammissibili con la sentenza n. 298 del 1995;

che le ordinanze di rimessione non prospettano, a sostegno, nuove o diverse argomentazioni;

che, pertanto, previa trattazione congiunta dei due giudizi per l'identità delle questioni, va dichiarata la manifesta inammissibilità delle stesse.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 37, primo comma, del codice penale militare di pace, unitamente agli artt. 223 e 224, nonchè all'art. 222 dello stesso codice, sollevata dal Tribunale militare di Padova, in relazione agli artt. 3 e 103 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 settembre 1995.