Sentenza n. 430 del 1995

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SENTENZA N. 430

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 38, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come modificato dall'art. 6 del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1983, n. 53, promosso con ordinanza emessa il 9 febbraio 1993 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Roma sul ricorso proposto dall'Ufficio IVA di Roma contro Giovanni Cocchi, iscritta al n. 623 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 luglio 1995 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.-- Con ordinanza emessa il 9 febbraio 1993 e pervenuta alla Corte il 28 settembre 1994 (R.O. n. 623 del 1994) la Commissione tributaria di secondo grado di Roma -- nel corso del giudizio d'appello proposto dall'Ufficio IVA di Roma contro Giovanni Cocchi, il quale aveva impugnato l'avviso di irrogazione delle sanzioni per omesso versamento IVA relativo al secondo semestre 1980 -- ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 16 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come modificato dall'art. 6 del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1983, n. 53, nella parte in cui dispone che, per il versamento dell'IVA tramite azienda di credito, "la delega deve essere in ogni caso rilasciata presso una dipendenza dell'azienda delegata sita nella circoscrizione territoriale dell'ufficio competente".

A giudizio del remittente "tale disposizione appare illogica e ingiustificata", dal momento che penalizza quel contribuente che, trovandosi in un'altra città rispetto a quella ove si trova l'Ufficio IVA competente, non può versare quanto dovuto al fisco attraverso la locale dipendenza dell'azienda bancaria.

Rilevato che spetta alla Corte "un giudizio sulla giustizia della legge (o sulle conseguenze che ne possono discendere in sede applicativa)", entro gli schemi del sindacato sulla violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, l'ordinanza assume, alla luce anche di precedente giurisprudenza costituzionale, l'irragionevolezza della norma denunciata, tale da vanificare quel generale canone di coerenza dell'ordinamento che è insito nel medesimo art. 3.

Non sarebbe, in particolare, comprensibile per quale motivo il pagamento di diverse prestazioni fiscali e parafiscali (bollo sulle patenti, sui passaporti, tassa della salute, canone televisivo ormai fiscalizzato, tasse per la partecipazione a concorsi, imposte di successione e imposte relative ad atti giudiziari) risulti consentito per il tramite di qualsiasi ufficio postale o bancario, favorendo il contribuente che ha diritto di circolare (anche nei fatidici giorni di scadenza dei pagamenti delle imposte) rispetto al contribuente che debba versare l'IVA, al quale, a causa delle varie scadenze (oggi anche mensili) dei pagamenti dovuti, sarebbe resa difficile (se non impossibile) la circolazione, con l'onere di maggiori spese per far sì che egli si trovi nella circoscrizione territoriale dell'ufficio competente.

2.-- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata non ammissibile o quanto meno non fondata.

Rileva, anzitutto, l'atto di intervento che la disposizione denunciata era contenuta anche nel d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, testo che parrebbe da applicarsi, posto che l'ordinanza anzidetta parla di vicenda attinente al 1980. La difesa erariale eccepisce poi l'inammissibilità della questione sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, non essendo indicata una disposizione idonea a fungere da tertium comparationis e non essendovi identità oggettiva tra le situazioni messe a confronto, atteso che, per l'IVA, peculiare e molto rilevante è il movimento dei rimborsi. A questo proposito si rammenta che, in base alla disciplina del servizio autonomo di cassa stabilito presso gli uffici IVA dal d.P.R. n. 645 del 1972, i titolari del servizio stesso sono autorizzati a versare le somme riscosse a titolo di imposta in una contabilità speciale, costituita presso la locale sezione di tesoreria provinciale dello Stato, onde creare giacenze da utilizzare anche per i rimborsi scaturenti dalla eccedenza di imposta detraibile, che vanno eseguiti entro termini stabiliti per legge.

La norma denunciata, giustificata dalla necessità per gli uffici di disporre nel più breve tempo possibile dei dati relativi ai versamenti effettuati dai contribuenti, non rappresenterebbe una mera scelta arbitraria od irrazionale del legislatore, ma costituirebbe una soluzione più agevole rispetto a quella prevista nell'originario testo del d.P.R. n. 633 (versamento presso gli uffici provinciali IVA), essendo ispirata a criteri di rapidità e semplicità, onde evitare ritardi degli uffici nei controlli e nei rimborsi, con discapito per gli stessi contribuenti.

Infondata sarebbe, poi, anche la censura avanzata in riferimento all'art. 16 della Costituzione, giacchè nessun divieto di circolazione sarebbe imposto al contribuente, tenuto soltanto a versare all'erario l'eventuale eccedenza tra quanto dovuto e quanto riscosso nell'esercizio dell'attività professionale o d'impresa; incombenza, questa, delegabile ad un terzo.

Considerato in diritto

1.-- Con l'ordinanza in epigrafe, la Commissione tributaria di secondo grado di Roma solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come modificato dall'art. 6 del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1983, n. 53, nella parte in cui dispone che, per il versamento dell'IVA tramite azienda di credito, "la delega deve essere in ogni caso rilasciata presso una dipendenza dell'azienda delegata sita nella circoscrizione territoriale dell'ufficio competente".

Secondo il giudice remittente la disposizione predetta si porrebbe in contrasto:

a) con l'art. 3 della Costituzione per l'irragionevolezza della disciplina, tale da vanificare il "generale canone di coerenza dell'ordinamento" e da comportare violazione del principio di eguaglianza rispetto ad altre prestazioni fiscali e parafiscali (bollo sulle patenti, sui passaporti, tassa della salute, canone televisivo ormai fiscalizzato, tasse per la partecipazione a concorsi, imposte di successione e imposte relative ad atti giudiziari, ecc.);

b) con l'art. 16 della Costituzione, perchè renderebbe difficile, se non impossibile, al contribuente circolare, nei giorni di scadenza dei pagamenti, obbligandolo a maggiori spese per far sì che si trovi nella circoscrizione dell'ufficio competente.

2.-- La Corte rileva, anzitutto, che, impropriamente, viene denunciato l'art. 38, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dall'art. 6 del decreto-legge 30 dicembre 1982, n. 953, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1983, n. 53. Poichè i fatti per i quali pende giudizio davanti alla Commissione tributaria risalgono, come risulta dall'ordinanza, al 1980, la disposizione regolatrice della fattispecie era, all'epoca, quella dell'art. 38, primo comma, del predetto d.P.R. n. 633 del 1972, con le modifiche ad essa addotte dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24.

Considerato, peraltro, che tale disposizione, al pari di quella denunciata, già prevedeva che l'IVA dovesse versarsi attraverso la delega rilasciata ad una dipendenza dell'azienda di credito sita nella circoscrizione territoriale dell'ufficio competente, la Corte ritiene che la questione possa essere riferita a tale ultima norma, sulla scorta di quella giurisprudenza secondo la quale l'indicazione erronea della disposizione di legge sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale può formare oggetto di rettifica quando i termini della questione risultino con sufficiente chiarezza (sentenze nn. 188 del 1994 e 142 del 1993; ordinanza n. 476 del 1994).

3.-- Nel merito la questione non è fondata.

La disposizione denunciata si colloca nell'ambito della peculiare disciplina dell'imposta sul valore aggiunto, caratterizzata da movimenti in entrata e in uscita, costituiti, da una parte, dai versamenti effettuati dai soggetti IVA al netto dell'imposta assolta sugli acquisti relativi all'attività dei medesimi e, dall'altra, dai rimborsi o accreditamenti previsti in loro favore dall'art. 30 del già citato d.P.R. n. 633 del 1972, nell'ipotesi che l'imposta a suo tempo pagata sugli acquisti ecceda la rivalsa obbligatoria effettuata sui cessionari e committenti per i beni o i servizi a questi ultimi forniti.

Tralasciando le più recenti modifiche legislative che, per essere intervenute in epoca successiva ai fatti di causa, non interessano la controversia sulla quale il giudice remittente è chiamato a pronunziarsi -- vale a dire la legge 30 dicembre 1991, n. 413, istitutiva del conto fiscale (art. 78) e il decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, il cui art. 36 ha consentito i versamenti IVA presso qualsiasi dipendenza delle aziende delegate -- va rammentato che la disciplina della materia ha il suo basilare punto di riferimento nel servizio autonomo di cassa introdotto in questo ambito dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 645, istitutivo degli uffici periferici per i servizi relativi all'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto. Tale servizio di cassa, regolato nelle sue modalità operative dal decreto ministeriale 23 luglio 1975 (come modificato dal decreto ministeriale 15 febbraio 1979), prevede che, ai fini della formazione delle giacenze occorrenti per l'effettuazione dei rimborsi delle eccedenze, le somme riscosse a titolo di imposta siano versate in una contabilità speciale aperta presso la locale sezione di tesoreria provinciale dello Stato (art. 2). Nel sistema della legge, la disciplina limitativa in ordine alle di pendenze bancarie abilitate a ricevere i versamenti, secondo una disposizione peraltro successivamente superata, come già detto, per effetto dell'art. 36 del decreto-legge n. 331 del 1993, aveva lo scopo di assicurare agli uffici competenti la disponibilità immediata dei dati concernenti l'avvenuta effettuazione dei versamenti, in vista del più agevole espletamento dei relativi controlli e segnatamente di quelli consistenti nell'abbinamento dei versamenti al debito emergente dalla dichiarazione presentata all'ufficio competente medesimo. E questo anche in vista di una regolare ed ordinata gestione dei rimborsi con i fondi della riscossione. L'obbligo imposto al contribuente di effettuare il versamento IVA nelle sole aziende di credito site nella circoscrizione territoriale dell'ufficio competente, con il connesso obbligo per le aziende di credito di effettuare, a loro volta, entro termini prestabiliti, il versamento agli uffici IVA delle somme ricevute (art. 12 della legge 12 novembre 1976, n. 751), rappresentava perciò una scelta non arbitraria nè irragionevole del legislatore, ma andava considerata piuttosto come una soluzione organizzativa allora adeguata.

Aggiungasi che la modalità di adempimento oggetto di censura, introdotta per la prima volta da una norma anteriore a quella denunciata (art. 12 della legge 12 novembre 1976, n. 751), rappresentò di per sè una significativa evoluzione rispetto al precedente sistema che prevedeva che il versamento andasse effettuato direttamente presso gli uffici IVA, sicchè in essa si può ravvisare l'espressione di quella discrezionalità della quale il legislatore si avvale, con il limite ovviamente della ragionevolezza, nel ricercare di volta in volta soluzioni organizzative e procedimentali che tendano, nel tempo, a conciliare sempre meglio l'interesse del servizio e quello del cittadino, avuto riguardo, come è evidente, alle peculiari caratteristiche dei singoli settori dell'amministrazione. Quanto poi alla differente disciplina di altri tributi, richiamata nell'ordinanza, la Corte ha già avuto occasione di rilevare l'impossibilità di invocare la comparazione trasversale di istituti e normative di altri settori, caratterizzati da regole diverse, in ragione della varietà delle materie disciplinate e delle conseguenti specifiche implicazioni. In sostanza, come la Corte ha già evidenziato, proprio in materia tributaria, non può disconoscersi al legislatore la discrezionalità necessaria per la disciplina delle modalità di riscossione dei tributi, in relazione ai singoli tipi di imposta, nonchè dei termini per i relativi versamenti, anche in correlazione con il principio della polisistematicità dell'ordinamento tributario (ordinanza n. 392 del 1993). È da escludersi, dunque, che sussista la denunciata violazione dell'art. 3 della Costituzione, apparendo la disciplina in parola, alla luce delle esigenze che mirava a soddisfare, non irragionevole nè arbitraria. E questo avuto riguardo anche alle conseguenze riconnesse dal legislatore all'inosservanza delle modalità stabilite; inosservanza che, alla luce di una interpretazione sistematica delle norme allora vigenti -- secondo quanto è dato desumere, in particolare, dagli artt. 40, secondo comma, e 48, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come sostituiti dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24 -- non parrebbe, invero, per il fatto in sè del versamento ad ufficio incompetente, valutabile come omissione del versamento stesso, tanto che l'amministrazione finanziaria aveva, a quel che risulta, a suo tempo, impartito disposizioni per la regolarizzazione contabile dei versamenti effettuati presso sportelli bancari diversi da quelli stabiliti.

4.-- Del pari infondata è la questione sotto il profilo della lamentata violazione dell'art. 16 della Costituzione, non potendosi reputare lesivo della libertà di circolazione garantita dalla norma costituzionale l'occasionale disagio derivante dalla necessità di adempiere l'obbligazione presso un determinato ufficio, peraltro con la possibilità di avvalersi della collaborazione di terzi, quantomeno per la materiale esecuzione delle operazioni di versamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 38, primo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), come modificato dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24 (Disposizioni integrative e correttive del d.P.R. n. 633 del 1972, e successive modificazioni, anche in attuazione della delega prevista dalla legge 13 novembre 1978, n. 765, riguardante l'adeguamento della disciplina dell'imposta sul valore aggiunto alla normativa comunitaria), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 16 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 settembre 1995.