Sentenza n. 417 del 1995

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SENTENZA N. 417

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1-quinquies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 e degli artt. 2 e 4 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali), promossi con tre ordinanze emesse il 2 giugno 1993, il 1° dicembre 1993 ed il 23 febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania, iscritte rispettivamente ai nn. 221, 454 e 586 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 19, 35 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di costituzione di Tafuri Mario ed altro e della s.r.l. FADIM, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 1995 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi gli avvocati Giuseppe Guarino per la s.r.l. FADIM e Lucio Ghia per Tafuri Mario ed altro, e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. -- Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania -- nel corso di un giudizio avente ad oggetto, tra l'altro, l'annullamento di varie concessioni edilizie -- ha sollevato un triplice ordine di questioni e precisamente:

a) questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 42, commi secondo e terzo, e 97, della Costituzione, dell'art. 1-quinquies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, nella parte in cui non prevede che il divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio e di ogni opera edilizia, comportante alterazione dello stato dei luoghi e dell'aspetto esteriore degli edifici, sia efficace non oltre il termine di cinque anni, previsto per l'applicazione del divieto di inedificabilità dall'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, ovvero non oltre il termine del 31 dicembre 1986 sancito per l'approvazione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1-bis dello stesso d.l. n. 312 del 1985;

b) questione di legittimità costituzionale del succitato art. 1-quinquies, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il divieto, ivi disposto per le aree e i beni individuati ai sensi dell'art. 2 del decreto ministeriale 21 settembre 1984, si riferisce ai provvedimenti notificati secondo le procedure previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497 e dal relativo regolamento di esecuzione approvato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357;

c) questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, degli artt. 2 e 4 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, nella parte in cui non dispongono la notificazione degli elenchi di cui ai numeri 3 e 4 dell'art. 1 della stessa legge, ai proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, degli immobili, alla stregua di quanto previsto dal successivo art. 6 per gli elenchi delle cose di cui ai numeri 1 e 2 del medesimo art. 1.

1.1. -- In ordine alla prima delle questioni sollevate -- concernente la legge n. 431 del 1985 nella parte in cui prevede che il divieto di immodificabilità delle aree -- individuate ex artt. 1-ter e 1-quinquies aggiunti al d.l. n. 312 del 1985 -- è imposto senza un predeterminato limite temporale, laddove l'art. 2 della legge n. 1187 del 1968 statuisce la decadenza dei vincoli di inedificabilità decorsi cinque anni -- il giudice a quo sospetta la violazione degli artt. 3 e 42 della Costituzione.

In particolare il Tribunale amministrativo regionale remittente, premesso che l'orientamento giurisprudenziale prevalente è nel senso di ritenere che il regime di immodificabilità assoluta dello stato dei luoghi è destinato a permanere fino all'effettiva adozione dei piani da parte della regione, ovvero, da parte dell'autorità ministeriale e che detto orientamento, cui ritiene di uniformarsi, assume i connotati del diritto vivente, dubita che il quadro (r)normativo così emergente si palesi conforme ai principi ed ai precetti della Costituzione>. Ciò posto il remittente denuncia il contrasto della norma censurata con l'art. 3 della Costituzione in quanto vi sarebbe una disparità di trattamento tra soggetti proprietari di beni ubicati in regioni nelle quali si è provveduto all'approvazione dei piani e soggetti proprietari di beni ubicati in regioni nelle quali tanto l'autorità regionale, quanto quella statale in via sostitutiva rimangono (r)inadempienti ben dopo la scadenza fissata dal legislatore>.

1.2.-- In ordine al contrasto con l'art. 42 della Costituzione, il Tribunale amministrativo regionale remittente richiama la giurisprudenza di questa Corte con la quale è stata ritenuta la "natura sostanzialmente espropriativa" delle limitazioni che incidono sul godimento dei beni in misura da determinare uno svuotamento delle attribuzioni connaturali al diritto di proprietà (sentenza n. 55 del 1968).

Ad avviso del giudice a quo la salvaguardia ex lege posta dall'art. 1-quinquies censurato introdurrebbe sullo ius aedificandi (r)un vincolo assoluto di portata analoga...>, quanto agli effetti, a quello che si instaura allorchè la normativa urbanistica condiziona (r)l'utilizzazione edilizia dei suoli al preventivo perfezionamento di una pianificazione attuativa>. Per di più, la detta misura interdittiva non si riferirebbe (r)ad una intera categoria di beni, nè interesserebbe la "generalità dei soggetti", bensì inciderebbe a titolo individuale su determinate, per quanto vaste, aree territoriali> sicchè non sarebbe possibile affermare che si tratti di limitazioni tipiche del regime di appartenenza (r)regolante tutti i beni rientranti in una speciale categoria>. La detta misura di salvaguardia sarebbe, infatti, finalizzata alla formazione di una strumentazione di cui viene riconosciuto il carattere urbanistico, nonostante la particolare "valenza ambientale" della stessa.

Ora, secondo l'ordinanza di remissione, detti vincoli sono compatibili con i principi di cui agli artt. 3 e 42 della Costituzione "solo" e a condizione che siano stabiliti termini ragionevoli, per la operatività del divieto, scaduti i quali scatterebbe la decadenza dei vincoli stessi. Il che indurrebbe a ritenere tuttora vigente l'art. 2 della legge n. 1187 del 1968 nella parte in cui stabilisce un limite quinquennale alle disposizioni degli strumenti urbanistici generali, comunque comportanti vincoli di inedificabilità. Si osserva, altresì, che l'esigenza sottolineata da questa Corte con sentenza n. 141 del 1992 di (r)delimitare nel tempo l'esercizio della potestà espropriativa nell'ipotesi che la dichiarazione di pubblica utilità sia contenuta direttamente nella legge> sarebbe applicabile, altresì, nel caso di specie, in cui pur non essendo l'imposizione dei vincoli preordinata alla "espropriazione in senso stretto", essa sarebbe, tuttavia, tale da (r)comportare uguale sacrificio per le posizioni soggettive interessate>. Infine - - secondo il giudice a quo -- il divieto assoluto di immodificabilità quale effetto prodotto dai decreti di cui agli artt. 1-ter e 1-quinquies della c.d. legge Galasso, non potrebbe essere considerato come una "limitazione intrinseca alla natura dei beni" in quanto esulerebbe "dal regime di regolamentazione degli stessi" (nel senso che il vincolo prodotto dalla declaratoria del pregio ambientale resta relativo, in quanto la inedificabilità sarebbe pur sempre conseguenza dell'eventuale diniego di autorizzazione previo specifico accertamento e apposite valutazioni) con figurandosi, per contro, come (r)misura di tipo cautelare, come tale necessariamente e tipicamente temporanea>.

Infine la immodificabilità del territorio comporterebbe la paralisi dell'edilizia privata con blocco degli investimenti e dell'occupazione (art. 41 della Costituzione) nonchè dell'edilizia residenziale pubblica che verrebbe a pregiudicare l'accesso dei cittadini alla proprietà dell'abitazione (art. 47 della Costituzione).

1.3. -- Da ultimo si rileva che la indeterminatezza coniugata con l'assolutezza del divieto contrasterebbe, altresì, con il principio di buon andamento dell'amministrazione posto dall'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto si verrebbe a determinare, di fatto ad arbitrio delle autorità amministrative, una indefinita compressione di vari interessi economici e sociali e ciò non già a causa di una responsabile, ponderata e trasparente composizione di tutti gli interessi in gioco, bensì per effetto della mera inerzia dell'amministrazione stessa.

Sul piano della rilevanza si afferma che la illegittimità della norma censurata determinerebbe l'infondatezza delle doglianze dei ricorrenti riguardanti l'inosservanza di un vincolo assoluto di immodificabilità dei luoghi.

2. -- Sotto altro profilo, viene, inoltre, sollevata questione dell'art. 1-quinquies succitato nella parte in cui non prevede la notificazione ai proprietari interessati dei decreti adottati ai sensi dell'art. 2 del d.m. 21 settembre 1984 per violazione degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.

Al riguardo si rileva che ciò introdurrebbe una irrazionale disparità di trattamento con quanto disposto dall'art. 1-ter del d.l. n. 312 del 1985 il quale, invece, prescriverebbe la notificazione dei provvedimenti regionali recanti l'individuazione di aree assoggettate a misure di salvaguardia, fino all'adozione dei piani di cui all'art. 1-bis aggiunto dalla suindicata legge n. 431 del 1985.

Si osserva, altresì, che l'art. 2, secondo comma, del d.m. 21 settembre 1984, prevede che i decreti adottati ai sensi del primo comma vengano comunque pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.

Tanto premesso -- il Collegio remittente -- sottolinea che il d.m. 28 marzo 1985, concernente le aree oggetto del giudizio, ha per oggetto "bellezze di insieme", assoggettate in quanto tali alle forme di pubblicità sancite nell'art. 4 della legge n. 1497 del 1939.

Atteso che l'art. 1-ter citato prevede per i provvedimenti regionali unicamente la notificazione si verrebbe, secondo l'ordinanza di rinvio, a determinare una disparità di trattamento tra soggetti titolari di diritti su beni assoggettati a vincolo con i decreti di cui all'art. 1-quinquies pure citato e anteriori alla legge n. 431 del 1985, e soggetti titolari di beni individuati ai sensi dell'art. 1-ter della stessa legge, i quali si avvantaggerebbero di mezzi specifici di conoscenza aventi più elevate probabilità di cognizione degli atti costitutivi del vincolo. Ulteriori profili di illegittimità dell'art. 1-quinquies sarebbero individuabili anche con riferimento agli artt. 24 della Costituzione, in quanto l'inserzione nella Gazzetta Ufficiale non sarebbe adeguata a soddisfare l'esigenza di effettiva conoscibilità dell'atto ai fini dell'esercizio del diritto di difesa, laddove non si evidenzino speciali ragioni per derogare al principio della notificazione nelle forme ordinarie, e 97 della Costituzione, attesochè i principi di buon andamento ed imparzialità verrebbero vulnerati dalla discriminazione relativa alle forme di cognizione degli atti del procedimento e dalle minori garanzie connesse alla inadeguatezza della pubblicazione rispetto a quello della notifica individuale.

2.1. -- Detti profili di illegittimità costituzionale sarebbero riferibili anche all'art. 4 della legge n. 1497 del 1939 nella parte in cui non dispone la notificazione degli elenchi di cui ai numeri 3 e 4 dell'art. 1 ai proprietari, possessori, detentori, a qualsiasi titolo degli immobili, alla stregua di quanto disposto dal successivo art. 6 per gli elenchi delle cose di cui ai numeri 1 e 2 dell'art. 1.

Analoghe censure varrebbero anche per l'art. 2 della legge n. 1497 del 1939 in quanto, per costante giurisprudenza, la efficacia del vincolo sarebbe anticipata al momento della pubblicazione, nell'albo dei comuni interessati, dell'elenco all'uopo predisposto.

Dette questioni, sarebbero, altresì, rilevanti in quanto la mancata notificazione alla società controinteressata di provvedimenti costitutivi del vincolo -- incontestata, nel giudizio a quo - renderebbe inapplicabile il divieto di inedificabilità.

3. -- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le proposte questioni siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.

Quanto alla questione concernente il termine di efficacia delle misure di salvaguardia di cui all'art. 1-quinquies, si osserva che la stessa si sostanzierebbe in una richiesta di pronuncia additiva, volta ad introdurre un termine di decadenza delle anzidette misure.

La questione così proposta, sarebbe, pertanto, inammissibile anche perchè la fissazione di detto termine non risulterebbe in modo certo ed inequivoco dal contesto normativo, implicando anzi una scelta discrezionale. D'altro canto, si aggiunge che: a) il termine (ordinatorio) del 31 dicembre 1986 non sarebbe utilizzabile come termine di decadenza delle misure di tutela, anche in considerazione della necessità di tenere conto dell'eventuale intervento sostitutivo dello Stato; b) che il termine quinquennale sarebbe un termine legislativamente previsto per i vincoli urbanistici e per tanto non automaticamente estensibile alla tutela ambientale.

Ciò premesso, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato la questione sarebbe comunque in fondata con riferimento ad entrambi i parametri costituzionali indicati (artt. 3 e 42 della Costituzione).

3.1. -- In ordine all'art. 3 della Costituzione si rileva che la diversità di trattamento pro spettata in ordinanza non sarebbe imputabile al dato normativo, configurandosi, invece, come risultato delle vicende applicative della legge ovvero di un illegittimo ritardo applicativo nei cui confronti l'ordinamento fornirebbe appropriati rimedi di tutela giurisdizionale.

Quanto all'art. 42 della Costituzione l'Avvocatura contesta la pertinenza del riferimento alla sentenza di questa Corte n. 55 del 1968 sottolineando che, al contrario, la stessa Corte con la coeva sentenza n. 56 del 1968 ha dato un esito del tutto opposto alla questione della indennizzabilità dei vincoli non urbanistici, imposti per ragioni di protezione paesistica in base alla legge n. 1497 del 1939. Si rileva, altresì, che l'art. 1-quinquies della legge n. 431 del 1985 nel recuperare gli effetti delle misure provvisorie di tutela imposte con decreti ministeriali adottati e pubblicati prima della legge n. 431 del 1985, non ha sottratto detti decreti al controllo di legittimità del giudice amministrativo, in particolare per eventuali vizi funzionali relativi alla necessità delle misure adottate per garantire la conservazione dei valori ambientali fino alla definitiva disciplina pianificatoria.

3.2. -- Del pari infondata sarebbe la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge n. 1497 del 1939.

Secondo l'Avvocatura il diverso regime di comunicazione degli atti impositivi dei vincoli di bellezze naturali a seconda che si tratti di "bellezze di insieme" (art. 4: pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) o di "bellezze individue" (art. 6: notificazione) troverebbe adeguata e razionale giustificazione nella diversa struttura delle due categorie di beni ambientali. Le bellezze individue consisterebbero in beni immobili (art. 1 numeri 1 e 2) mentre le bellezze di insieme costituirebbero degli ambiti territoriali, spesso di vaste dimensioni (vaste località: art. 5) e ciò giustificherebbe la scelta discrezionale del legislatore in ordine al mezzo partecipativo appropriato.

Conseguentemente l'art. 1-quinquies non potrebbe essere censurato per avere effettuato il recupero legislativo di provvedimenti aventi ad oggetto bellezze di insieme per le quali sarebbe stato, per l'appunto, scelto il mezzo partecipativo previsto per tale categoria dalle norme applicabili al momento della loro emanazione, cioè l'art. 4 della legge n. 1497 del 1939, che per le ragioni suevidenziate sarebbe costituzionalmente legittimo.

4. -- Si è costituita nel giudizio innanzi a questa Corte la s.r.l. FADIM -- controinteressata nel giudizio a quo -- la quale si richiama alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme censurate.

4.1. -- Si sono, altresì, costituite le parti ricorrenti nel giudizio a quo le quali concludono per l'infondatezza o la manifesta infondatezza del le questioni sollevate dal giudice a quo.

Nella memoria si sottolinea -- richiamata la giurisprudenza di questa Corte ed in particolare le sentenze n. 151 e n 152 del 1986 -- la valenza ambientale e non urbanistica delle prescrizioni alla cui approvazione è legata la durata dei vincoli, nonchè la connotazione pubblicistica dei beni ad essa assoggettati in conformità -- si aggiunge -- a quanto ritenuto dalla prevalente giurisprudenza.

4.2. -- In prossimità dell'udienza le parti private hanno depositato memorie con le quali illustrano ulteriormente le argomentazioni ed insistono nelle conclusioni già formulate nei rispettivi atti introduttivi.

5. -- Con due ulteriori ordinanze (R.O. nn. 454 e 586 del 1994) il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo e terzo comma, e 97, comma primo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1-quinquies del d.l. 27 giugno 1985 n. 312, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431, nella parte in cui non prevede che il divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio e di ogni opera edilizia comportante alterazione dello stato dei luoghi è efficace non oltre il termine di cinque anni, previsto per l'applicazione del divieto di inedificabilità dall'art. 2, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, ovvero non oltre il termine del 31 dicembre 1986 sancito per l'approvazione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1-bis dello stesso d.l. n. 312 del 1985.

La questione è analoga a quella sollevata dal lo stesso Tribunale amministrativo regionale per la Campania con la precedente ordinanza (R.O. n. 221 del 1994) ed analoghe sono le argomentazioni svolte nelle ordinanze successive.

5.1. -- Nei giudizi dinanzi a questa Corte e relativi alle ordinanze iscritte ai nn. 454 e 586 del 1994 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato richiamandosi alle deduzioni ed alle conclusioni formulate nel giudizio relativo alla ordinanza n. 221 del 1994.

Considerato in diritto

 

1. -- Le ordinanze di rimessione del Tribunale amministrativo regionale per la Campania concernono questioni in parte identiche e in parte connesse. I relativi giudizi vanno, pertanto, riuniti, per essere decisi con un'unica sentenza. 2. -- La prima questione -- sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale (sollevata con le ordinanze nn. 221, 454 e 586 del 1994) -- concerne l'art. 1-quinquies del d.l. 27 giugno 1985, n. 312 -- convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431 -- nella parte in cui non prevede che il divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio e di ogni opera edilizia comportante alterazione dello stato dei luoghi, sia efficace non oltre il termine di cinque anni, previsto per il divieto di inedificabilità dall'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), ovvero non oltre il termine del 31 dicembre 1986 stabilito per l'approvazione dei piani di cui all'art. 1-bis dello stesso d.l. n. 312 del 1985. In altri termini, ad avviso del giudice a quo, l'efficacia dei vincoli di inedificabilità -- previsti dall'art. 1-quinquies censurato -- oltre il termine di cinque anni stabilito dall'art. 2 della legge n. 1187 del 1968 per la durata dei vincoli urbanistici, ovvero oltre il termine del 31 dicembre 1986 stabilito dall'art. 1-bis della stessa legge n. 431 del 1985 per l'approvazione dei piani paesistici o di piani urbanistico- territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici, sarebbe in contrasto con gli artt. 3, 42, secondo e terzo comma, e 97 della Costituzione.

In particolare detta disposizione, introducendo una disparità di trattamento tra soggetti proprietari dei beni ubicati in regioni nelle quali si sia provveduto all'approvazione dei piani e soggetti proprietari di beni ubicati in regioni nelle qua- li tanto l'autorità regionale, quanto quella statale, competente in via sostitutiva, sono rimasti inadempienti (r)ben oltre la scadenza fissata dal legislatore>, violerebbe l'art. 3 della Costituzione.

Sarebbe, altresì, violato l'art. 42, commi secondo e terzo, in quanto la salvaguardia ex lege posta dalla norma censurata produrrebbe un vincolo assoluto di portata analoga, in ordine agli effetti sullo ius aedificandi, a quello che si instaura allorchè la normativa urbanistica condizioni la utilizzazione edilizia dei suoli al preventivo perfezionamento di una pianificazione attuativa. Ciò, avuto riguardo alla circostanza che: a) il vincolo in questione essendo generalizzato non sarebbe inerente alla natura ed alla disciplina di beni che rientrino in una speciale categoria; b) detto vincolo verrebbe a sostanziarsi in una misura interdittiva di tipo cautelare che, come tale, dovrebbe necessariamente essere temporanea; c) infine l'intensità dei vincoli imposti con il divieto di cui all'art. 1- quinquies sarebbe tale da configurare sostanzialmente una espropriazione che, in quanto tale, dovrebbe essere subordinata a rigorosi limiti temporali. Da ultimo viene, altresì, denunciato il contrasto della norma censurata con l'art. 97 della Costituzione, in quanto l'indeterminatezza coniugata con l'assolutezza del divieto consentirebbe che le autorità amministrative, preposte alla tutela ambientale, siano totalmente arbitre di determinare la indefinita compressione di ogni altro interesse economico e sociale, violando così il principio di buon andamento della amministrazione.

3. -- Va, preliminarmente, disattesa l'eccezione di inammissibilità proposta dall'Avvocatura generale dello Stato in quanto il petitum del giudice a quo è chiaramente rivolto -- non già ad ottenere una pronuncia additiva in materia discrezionale -- bensì ad ottenere una pronuncia che -- senza innovare sulla preesistente disciplina -- stabilisca la compatibilità o meno di quest'ultima con i principi costituzionali indicati a parametro. Il che rientra esattamente nei poteri di questa Corte.

4. -- Nel merito la questione non è fondata. Questa Corte ha affermato sin dalla sentenza n. 151 del 1986 che la legge n. 431 del 1985 ha introdotto (r)una tutela del paesaggio improntata a integrità e globalità> in quanto implicante una riconsiderazione dell'intero territorio nazionale al la luce del valore estetico-culturale del paesaggio, sancito nell'art. 9 della Costituzione e assunto come valore primario, come tale, insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro. In considerazione di ciò la legge n. 431 del 1985 è diventata sinonimo di tutela ambientale (sentenze n. 359 del 1985; n. 67 del 1992; n. 269 del 1993 e n. 46 del 1995).

Ed è alla luce di questo quadro di riferimento che deve essere letta la norma censurata e, quindi, esaminata la questione concernente il termine di efficacia delle misure di salvaguardia di cui all'art. 1-quinquies della legge n. 431 del 1985.

5. -- Ciò premesso, il divieto di modificazioni dell'assetto del territorio e di opere edili zie che alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici sussiste, per esplicita e testuale disposizione dell'art. 1-quinquies della legge n. 431 del 1985, (r)fino all'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1-bis> del la medesima legge n. 431 del 1985. Siffatta previsione, innovatrice rispetto a quella contenuta nel d.m. 21 settembre 1984 e poi nel d.l. 27 giugno 1985, n. 312, risponde -- come è agevole rilevare dagli atti parlamentari relativi alla stessa legge -- ad una duplice ratio: quella di assicurare una salvaguardia temporanea ma efficace delle aree e beni di maggior valore paesistico nelle more della predisposizione dei piani regionali, al fine di evitare pregiudizi delle scelte che l'autorità regionale riterrà di dover compiere; e quella di stimolare l'esercizio della funzione di pianificazione paesistica delle regioni. Chiaro essendo che il primario interesse paesistico- ambientale verrà definitivamente tutelato dai piani paesistici; ma, nelle more della loro approvazione, deve essere garantito con strumenti vincolistici temporanei per evitare iniziative preordinate a soddisfare interessi costituzionalmente subordinati.

Alla base del vincolo posto dalla legge n. 431 del 1985 ed in particolare dall'art. 1-quinquies censurato vi è, quindi, una scelta politico- discrezionale del legislatore che ascrive alcune categorie di beni -- in ragione della loro qualità preordinata a soddisfare interessi estetico-culturali -- ad uno speciale regime della proprietà che è quello concernente i vincoli paesistici. Ciò è quanto basta per ritenere il richiamo all'art. 2 della legge n. 1187 del 1968 -- che subordina l'efficacia dei vincoli urbanistici alla approvazione dei piani regolatori particolareggiati entro cinque anni decorrenti dalla data di approvazione del piano regolatore generale -- del tutto inconferente. Il fatto poi che il bene paesaggistico possa essere disciplinato nell'esercizio di poteri urbanistici non elimina certo la sua distinzione rispetto ai beni non paesistici: una distinzione che preesiste al concreto esercizio dei poteri di pianificazione e di vincolo giacchè -- in caso contrario -- la natura di detti beni dovrebbe essere dedotta dal concreto esercizio dei poteri amministrativi e non invece -- come correttamente avviene -- dalla legge la quale ai sensi dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione disciplina (r)i modi di godimento> del bene stesso.

In altri termini, il piano paesistico ha ad oggetto beni, il cui regime di godimento è stato già (r)conformato>, e la non indennizzabilità del vincolo discende dal carattere generale del vincolo stesso, ovvero dal suo essere connaturato ad una particolare categoria di beni.

Al riguardo è stato affermato da questa Corte (sentenza n. 56 del 1968) che (r)i beni immobili> aventi valore paesistico -- in virtù della loro localizzazione o della loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge -- costituiscono una (r)categoria originariamente di interesse pubblico>, la cui disciplina è (r)del tutto estranea alla materia della espropriazione> di cui all'art. 42, terzo comma, rientrando, invece, a pieno titolo nella disciplina dell'art. 42, secondo comma.

Ebbene, nella legge n. 431 del 1985 (ma già l'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616: "Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge n. 382 del 1975", aveva intitolato "beni ambientali" la disciplina delle funzioni concernenti le bellezze naturali) la tutela concerne un complesso di beni e di aree individuate direttamente dal legislatore in forza del loro "particolare interesse ambientale" (dal titolo della legge). Interesse che si determina in ragione della loro singolarità geologica o ecologica -- rilevante ai fini della sto ria naturale del Paese -- connotando la struttura del territorio nazionale nella sua percezione visi bile: detti beni fanno, pertanto, parte del patrimonio estetico-culturale della nazione e, conseguentemente, vanno difesi dai mutamenti, spesso irreversibili, che l'azione dell'uomo può causare.

In questa prospettiva la legge n. 431 del 1985 sposta l'accento dalle bellezze naturali, intese come dimensione (solo) estetica del territorio, al bene ambientale come bene culturale, con ciò riconoscendo valore estetico-culturale a vaste porzioni del territorio nazionale: sicchè rileverà come paesaggio da tutelare -- secondo il disposto costituzionale dell'art. 9 -- la forma del territorio che esprimerà detta qualità strutturale che è appunto estetico-culturale (sentenza n. 151 del 1986).

Correlativamente, i beni, aventi la vocazione a realizzare l'interesse estetico-culturale di cui si è detto, sono -- sotto questo profilo -- riconducibili inscrivibili -- al pari dei beni paesistici -- nel la disciplina posta dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione (sentenze n. 56 del 1968; n. 9 del 1973; n. 202 del 1974; n. 245 del 1976; n. 648 del 1988; n. 391 del 1989; n. 344 del 1990), alla quale risulta del tutto estranea la materia della espropriazione governata dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione. In altri termini -- nell'ipotesi di beni ambientali -- è la legge che determina i modi di godimento del bene stesso al fine di assicurarne la funzione sociale (art. 42, secondo comma, della Costituzione): conseguentemente i relativi vincoli che gravano su di essi -- in virtù di determinate qualità intrinseche degli stessi, riconosciute dalla legge -- non concretano un atto di espropriazione ai sensi dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione e non sono pertanto, indennizzabili. Risultano, pertanto, infondate le censure prospettate con riguardo all'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.

Alla luce delle considerazioni suesposte il decorso infruttuoso del termine del 31 dicembre 1986, in ordine alla adozione ed alla conseguente approvazione dei piani di cui all'art. 1-bis della legge n. 431 del 1985, non determina affatto la inefficacia dei suddetti vincoli ambientali di inedificabilità, nè implica la indennizzabilità degli stessi. Determina, invece, l'operatività dell'art. 1-bis, secondo comma, della stessa legge n. 431 del 1985, ovvero scattano -- a fronte dell'inerzia regionale -- i poteri sostitutivi dello Stato. Poteri intesi -- attesa la innegabile obbligatorietà dei piani di cui all'art. 1-bis più volte citato -- (r)in senso pregnante> dalla giurisprudenza di questa Corte, ovvero nel senso di (r)attribuire allo Stato (oltre ai poteri inibitori connessi al vincolo paesistico) poteri surrogatori comprensivi dell'adozione, in luogo della regione rimasta inerte, dei suddetti piani> (sentenza n. 153 del 1986).

Ne consegue che il termine ad quem dei vincoli di assoluta intrasformabilità di cui all'art. 1- quinquies censurato si identifica -- come corretta mente ritenuto dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato -- nella data di approvazione dei piani paesistici o equivalenti, ovvero degli strumenti aventi valenza non solo ai fini della programmazione degli interventi edilizi, ma anche ai fini paesaggistici-ambientali, con considerazione espressa di tali interessi e quindi suscettibili di determinare le eventuali compatibilità di interventi e opere edilizie con la preminente tutela del paesaggio. Nè è senza rilievo osservare che l'art. 1-bis succitato della legge n. 431 del 1985 collega il termine, entro il quale le regioni debbono sottoporre a specifica normativa di uso e di valorizzazione ambientale il loro territorio, non già ad una generica predisposizione di un progetto di piano paesistico, bensì alla definitiva approvazione dello stesso. Tutto ciò è perfettamente coerente con il ruolo centrale assunto dai piani paesistici o a preminente considerazione paesistica nella legge n. 431 del 1985: in particolare essi diventano strumenti preordinati a realizzare la fase dinamica della tutela paesaggistica e correlativamente ad assicurare la unitarietà e integralità del bene ambiente (sentenza n. 153 del 1986).

Al riguardo va rilevato che l'idea del piano era già presente al legislatore del 1939 che affidava ad esso il compito -- in termini negativi - rispetto ad aree già tutelate con atto amministrativo, di limitare la discrezionalità delle scelte autorizzatorie dell'autorità preposta al vincolo e di impedire che le aree interessate fossero utilizzate con scelte frammentarie e disorganiche in modo pregiudizievole alla bellezza paesaggistica. Come già detto, il legislatore del 1985 ha innovato la legislazione precostituzionale di settore (legge 29 giugno 1939, n. 1497), ponendo, accanto ai vincoli specifici gravanti su determinati territori o località, una diffusa tutela del paesaggio, attraverso l'introduzione di vincoli estesi e intensi in ordine a vaste porzioni del territorio nazionale specificamente individuate (ex lege per categorie e specie) od individuabili con atto amministrativo (sentenza n. 151 del 1986).

Sicchè da un controllo estemporaneo, frammentario e caso per caso, nel quale il piano è mera mente eventuale (e perciò raro), si passa, con i piani previsti dalla legge n. 431 del 1985, ad un controllo razionale, programmato e necessario, che impone per una serie di tipologie di vincoli una sorta di catenaccio rispetto a tutti gli interventi, salvo quelli a carattere di manutenzione, espediente non nuovo nell'ordinamento (v. art. 4 della legge n. 10 del 1977). Tale catenaccio, con divieto di interventi innovativi, può essere rimosso solo con il piano paesaggistico (o con valenza paesaggistico-ambientale), di modo che la generalità degli stessi soggetti destinatari del vincolo è interessata all'adozione del piano.

D'altra parte l'esigenza del piano paesaggistico deriva dalle dimensioni territoriali dell'area tutelata, per cui l'atto impositivo non è in grado di determinare la portata, il contenuto, i limiti e gli effetti del vincolo già imposto: funzione questa rimessa al piano, in virtù e per effetto del quale la tutela del paesaggio -- quale delineata nella legge n. 431 del 1985 -- assume, come già detto, carattere dinamico (sentenze n. 151 del 1986; n. 327 del 1990). In virtù di detto carattere, il piano si configura come strumento di base, condizionante (prevalentemente in negativo) ogni altra pianificazione orientata verso fini di sviluppo, del territorio e degli insediamenti che potranno essere realizzati solo nei limiti imposti dalle esigenze di tutela paesistica. In particolare con la previsione del piano paesistico e/o del piano urbanistico territoriale come strumenti obbligatori, e non facoltativi di raccordo, per una serie di zone soggette a speciali vincoli, tra necessità di conservazione ed istanze di trasformazione del territorio assoggettato a vincolo, il legislatore del 1985 recupera al suddetto piano paesistico la funzione di regolamentazione globale del territorio vincolato. Lo stesso legislatore, pur evidenziando la specificità della materia del paesaggio rispetto a quella urbanistica (sentenze n. 141 del 1972; n. 293 del 1982; n. 183 del 1987), sottolinea contestualmente le relative connessioni (sentenze n. 151 del 1986; n. 153 del 1986 e n. 210 del 1987). Ne consegue, anzitutto, che il piano paesistico presuppone l'esistenza del vincolo, ponendosi rispetto ad esso come momento logicamente successivo della sua regolazione. Tanto l'uno, quanto l'altro costituiscono, dunque, un momento centrale, irrinunciabile e indefettibile nella tutela dell'ambiente quale configurata dalla legge n. 431 del 1985. L'interdipendenza e la necessità di entrambi e la conseguente concorrenza di poteri regionali e statali è appunto dettata dalla necessità che l'interesse ambientale -costituente la "scelta di fondo" della legge n. 431 del 1985 assurta a "legge di grande riforma economico sociale" (sentenza n. 151 del 1986) e riconducibile alla più generale tutela del paesaggio assunto, come già detto, a valore primario dell'ordinamento -- sia in ogni caso e ad ogni costo attuato.

Consegue da quanto sopra detto che il termine di cui all'art. 1-bis e relativo al 31 dicembre 1986 non può che essere ordinatorio e che i vincoli di inedificabilità permangono pienamente efficaci dopo la scadenza di esso, essendo strettamente preordinati alla realizzazione dei piani di cui all'art. 1-bis della legge n. 431 del 1985.

In questa prospettiva vincoli e piano sono interdipendenti ed insieme alla realizzazione della tutela dell'ambiente intesa in senso unitario, integrale e pertanto globale: ciò che rappresenta uno degli aspetti qualificanti del la legge n. 431 del 1985.

6. -- Infondate sono, altresì, le censure relative agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Con riguardo alla prima -- sulla pretesa disparità di trattamento tra soggetti proprietari di beni ubicati in regioni nelle quali si sia provveduto all'approvazione dei piani e soggetti proprietari di beni ubicati in regioni nelle quali detta approvazione non abbia avuto luogo -va rilevato che si tratta di mera disparità di fatto inerente alle vicende applicative della norma che, come tali, non possono assumere rilievo nel giudizio di legittimità costituzionale (sentenze n. 138 del 1979; n. 163 del 1972; n. 208 del 1985; n. 283 del 1987; n. 410 del 1990).

Del resto i medesimi soggetti proprietari possono avvalersi degli strumenti giuridici previsti dall'ordinamento per fare attuare l'obbligo di pia no paesistico sia nei confronti della regione che dello Stato (come ad esempio silenzio-rifiuto con accertamento dell'obbligo, giudizio di ottemperanza con nomina di commissario, ovvero con denuncie o azioni di conseguenti responsabilità verso gli organi rimasti inerti). La censura relativa all'art. 97 della Costituzione, priva di autonomo svolgimento, risulta assorbita dalle considerazioni svolte con riguardo alle censure formulate nei confronti dell'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione.

7. -- Infondate sono, altresì, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (R.O. n. 221 del 1994). Il giudice a quo ritiene che dette disposizioni violino gli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione nella parte in cui non dispongono la notificazione degli elenchi di cui ai numeri 3 e 4 dell'art. 1 della stessa legge, ovvero delle c.d. "bellezze di insieme" ai proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, ò degli immobili, alla stregua di quanto previsto dal successivo art. 6 per gli elenchi delle cose di cui ai numeri 1 e 2 del medesimo art. 1, ovvero delle c.d. "bellezze individuali".

Al riguardo occorre subito rilevare che la di versa disciplina predisposta per la comunicazione degli atti impositivi dei vincoli di bellezze naturali a seconda che si tratti di "bellezze di insieme" (per le quali è prevista la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: art. 4 della legge n. 1497 del 1939) ovvero di "bellezze individue" (per le quali è prevista la notificazione: art. 6 della medesima legge) rientra nella discrezionalità del legislatore. Discrezionalità che nella specie appare del tutto ragionevole, considerato che la surrichiamata diversità di disciplina risulta giustificata dalla diversa struttura delle due categorie di beni. Invero, le bellezze di insieme -- a differenza di quelle individue -- si sostanziano in ambiti territoriali, spesso di vaste dimensioni, con la conseguenza che la notifica a tutti i proprietari interessati dei provvedimenti costitutivi di vincolo diventerebbe estremamente difficile, macchinosa, e talora di scarsa possibilità. In considerazione di ciò infondate sono pure le censure all'art. 1-quinquies per avere effettuato il recupero legislativo di provvedimenti aventi per oggetto bellezze di insieme e per le quali è stato adottato il mezzo partecipativo previsto dall'art. 4 della legge n. 1497 del 1939 per tale categoria di beni (ovvero la pubblicazione) giacchè, come si è detto, esso è del tutto adeguato in relazione alla struttura conformativa del bene stesso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1-quinquies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431 sollevata, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo e terzo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania con le ordinanze indicate in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania con l'ordinanza indicata in epigrafe; dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1-quinquies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 luglio 1995.