Ordinanza n. 405 del 1995

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ORDINANZA N. 405

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1995 dal Tribunale militare di Padova, nel procedimento penale a carico di Bruno Vallero Nicola, iscritta al n. 192 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale dell'anno 1995.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 luglio 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.

RITENUTO che il Tribunale militare di Padova, nel giudizio nei confronti di Nicola Bruno Vallero -- già condannato con sentenza del 26 gennaio 1993 per il reato di diserzione, con riguardo alla condotta iniziata il 7 maggio 1991, non ancora cessata alla data del giudizio, e, pertanto, imputato nuovamente del reato di cui all'art. 148, n. 2 del codice penale militare di pace per l'assenza proseguita dopo la condanna -- ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, nei confronti dell'art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui consente che per un unico reato permanente, per il quale la permanenza sia una o più volte giudizialmente interrotta, sia irrogabile un complessivo trattamento sanzionatorio superiore a quello edittalmente previsto per il reato medesimo;

che il giudice a quo, premesso di condividere e di non voler contrastare l'orientamento unanime della giurisprudenza, secondo il quale i reati di assenza dal servizio sono reati permanenti (con la conseguenza che, una volta intervenuta la condanna, la permanenza viene interrotta e la condotta successiva dà luogo ad un nuovo reato), rileva che la ricostruzione della permanenza nei reati omissivi, accolta dalla giurisprudenza, pone seri problemi di legittimità costituzionale in relazione alle conseguenze che si determinano a seguito delle plurime condanne per le condotte illecite, conseguenze che, perdurando successivamente ad ogni giudizio per il configurarsi, ogni volta, di nuovi e autonomi reati della stessa specie, sono particolarmente gravi quando, come nel caso, la permanenza del reato può protrarsi per venticinque anni;

che, pertanto, secondo il giudice a quo, la previsione della interruzione giudiziale della permanenza, che discende dall'art. 649 cod. proc. pen., violerebbe le seguenti disposizioni costituzionali:

a) l'art. 27, primo comma, in quanto la responsabilità penale dell'imputato non dipenderebbe soltanto dal suo operato, ma anche dal funzionamento dell'apparato giudiziario militare;

b) l'art. 25, secondo comma, in quanto la moltiplicazione dei giudizi comporterebbe un innalzamento della pena edittale praticamente indeterminato sino al limite del triplo del massimo della pena edittale, previsto dall'art. 81 del codice penale;

c) l'art. 3, in quanto, a parità di periodo di assenza dal servizio, il trattamento sanzionatorio complessivo verrebbe a derivare dal grado di efficienza dell'apparato giudiziario competente a conoscere del reato nei vari autonomi episodi che si creano con l'interruzione giudiziale;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque non fondata, in quanto l'art. 649 cod. proc. pen. non conterrebbe affatto il principio della "interruzione giudiziale della permanenza", ma enuncerebbe soltanto il principio del divieto di un secondo giudizio su un medesimo fatto, non potendosi, in ogni caso, considerare in alcun modo identico un fatto che, pur mantenendo inalterate le caratteristiche dell'elemento oggettivo, si collochi, tutta via, in una dimensione temporale diversa rispetto a quella in cui si è verificato il fatto già giudicato;

che, inoltre, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, appare del tutto contraddittoria la formulazione della questione, dal momento che il giudice a quo, mentre contesta le conseguenze dell'interruzione giudiziale del reato permanente, nello stesso tempo afferma di condividere l'assunto secondo il quale la contestazione di un nuovo addebito dopo la condanna per il reato di mancanza alla chiamata o per quello di diserzione non comporterebbe alcuna violazione del principio del ne bis in idem, contenuto nell'art. 649 cod. proc. pen..

CONSIDERATO che identica questione di legittimità costituzionale è stata decisa da questa Corte con ordinanza n. 150 del 1995;

che in tale pronuncia, dichiarativa della manifesta inammissibilità della questione di costituzionalità in oggetto, è stato riconosciuto che l'effetto lamentato dal giudice a quo non discende dall'applicazione dell'impugnato art. 649 cod. proc. pen., dal momento che questa disposizione afferma soltanto il principio di civiltà giuridica, oltre che di generalissima applicazione, in forza del quale chi è stato prosciolto o condannato con sentenza divenuta irrevocabile non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene qualificato diversamente per il titolo, per il grado o per le circostanze; che il giudice rimettente non adduce elementi ulteriori a sostegno dei propri dubbi di costituzionalità;

che, pertanto, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale militare di Padova, in quanto proposta nei confronti di una disposizione alla quale non può in alcun modo essere plausibilmente ricondotta l'interpretazione che lo stesso giudice intende contestare, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 26 luglio 1995.