Ordinanza n. 385 del 1995

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ORDINANZA N. 385

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 408 (Disposizioni tributarie in materia di rivalutazione di beni delle imprese e di smobilizzo di riserve e fondi in sospensione di imposta, nonchè disposizioni di razionalizzazione e semplificazione.

Deleghe al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia e delle rendite finanziarie e per la revisione delle agevolazioni tributa rie), promossi con tre ordinanze emesse il 3 novembre 1992 dalla Commissione tributaria di primo grado di Pisa sui ricorsi proposti da Mario Brunese ed altri contro l'Ufficio del registro di San Miniato, iscritte ai nn. 36, 37 e 38 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1995 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

RITENUTO che la Commissione tributaria di primo grado di Pisa, nel corso del giudizio sul ricorso proposto da Mario Brunese ed altri avverso il silenzio-rifiuto dell'Ufficio del registro di San Miniato in ordine ad un'istanza di rimborso di imposta di donazione, con ordinanza del 3 novembre 1992, pervenuta alla Corte costituzionale il 21 gennaio 1994 (R.O. n. 36 del 1994), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 408, nella parte in cui fissa al 16 dicembre 1990 -data della entrata in vigore del nuovo saggio degli interessi legali nella più elevata misura del dieci per cento -- la decorrenza del sistema di determinazione, indicato dallo stesso art. 13, della base imponibile ai fini del calcolo della imposta di registro sulle donazioni con riserva di usufrutto;

che, ad avviso del Collegio remittente, tale disposizione si porrebbe in contrasto con il "dettato costituzionale" per il suo carattere retroattivo;

che identica questione è stata sollevata dalla medesima Commissione tributaria con altre due ordinanze, emesse in data 3 novembre 1992 (R.O. nn. 37 e 38 del 1994);

che nei relativi giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile per carenza di indicazione, nella ordinanza di rimessione, sia della norma che si intende sottoporre al giudizio di costituzionalità, sia della disposizione costituzionale che si assume violata, e sostenendo, nel merito, la infondatezza.

CONSIDERATO che le questioni, per l'identità dell'oggetto, debbono essere riunite e trattate congiuntamente;

che deve preliminarmente essere disattesa la formulata eccezione di inammissibilità: per un verso, infatti, dalla esposizione del fatto e dall'intero contesto delle ordinanze di rimessione risulta in modo univoco che la censura è diretta nei confronti dell'art. 13, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 408 nella parte in cui fissa retroattivamente al 16 dicembre 1990 la decorrenza della applicazione dei nuovi coefficienti di calcolo della base imponibile sulla quale determinare l'imposta di registro sulle donazioni con riserva di usufrutto; per l'altro, le ordinanze consentono la individuazione della norma costituzionale, da porre come parametro del giudizio di costituzionalità, pur se ad essa viene fatto solo implicito riferimento attraverso il richiamo al principio di irretroattività (cfr. sentenza n. 313 del 1990): questo, infatti, trova affermazione nell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, che deve, pertanto, intendersi invocato dal collegio remittente;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., da ultimo, sentenze n. 397, n. 153 e n. 6 del 1994), il principio di irretroattività della legge, pur riconosciuto come principio generale dall'art. 11, primo comma, delle disposizioni preliminari del codice civile, ha ottenuto in sede costituzionale garanzia specifica soltanto con riguardo alla materia penale attraverso il citato art. 25, secondo comma, della Costituzione; sicchè, al di fuori di quella, unico limite alla possibilità per il legislatore di adottare norme aventi efficacia retroattiva è dato dalla esigenza che esse non si pongano in contrasto con altri valori costituzionalmente protetti e che trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza (v. le già citate sentenze n. 153 e n. 6 del 1994);

che, sotto il primo profilo, non sono specificamente dedotte censure che coinvolgano il contrasto con altri valori costituzionalmente protetti;

che, sul piano della ragionevolezza, è sufficiente rilevare, ai fini dell'infondatezza, che la norma oggetto del giudizio di costituzionalità è conseguente all'entrata in vigore, con decorrenza dal 16 dicembre 1990, del nuovo tasso degli interessi legali, innalzato dal cinque al dieci per cento annuo dall'art. 1 della legge 26 novembre 1990, n. 353. Tale operazione ha reso, altresì, necessario l'intervento del legislatore inteso a modificare, con la stessa decorrenza, il sistema di calcolo del valore dell'usufrutto ai fini della determinazione della imposta in questione -- agganciato ancora, secondo la precedente formulazione legislativa, al previgente tasso -- per evitare distorsioni o applicazioni clamorosamente ingiustificate;

che, in tale ottica, la norma impugnata sfugge ad ogni censura di irragionevolezza risultando, al contrario, finalizzata a ristabilire, attraverso la individuazione di nuovi coefficienti, quella sostanziale identità di trattamento con il previgente regime di calcolo della imposta di registro in caso di riserva di usufrutto, profondamente alterata dalla previsione della più elevata misura del nuovo saggio legale. Di guisa che, anche in via interpretativa si sarebbe potuto concludere nel senso della necessità di un'applicazione retroattiva dei nuovi coefficienti di calcolo stabiliti dalla legge 29 dicembre 1990, n. 408, come, del resto, era avvenuto in numerosi casi attraverso il pagamento dell'imposta nella misura prevista dalla nuova normativa;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3, della legge 29 dicembre 1990, n. 408 (Disposizioni tributarie in materia di rivalutazione di beni delle imprese e di smobilizzo di riserve e fondi in sospensione di imposta, nonchè disposizioni di razionalizzazione e semplificazione. Deleghe al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia e delle rendite finanziarie e per la revisione delle agevolazioni tributarie), sollevata, in riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Pisa con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1995.