Sentenza n. 325 del 1995

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SENTENZA N. 325

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), aggiunto dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, promosso con ordinanza emessa il 3 ottobre 1994 dal Pretore di Milano nel procedimento penale a carico di Aldo Antonio Alesso, iscritta al n. 79 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza emessa il 3 ottobre 1994 nel corso di un procedimento penale per sottrazione all'obbligo di corrispondere l'assegno di divorzio dovuto all'ex coniuge ed il contributo di mantenimento in favore dei figli maggiorenni, il Pretore di Milano ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), aggiunto dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74. Questa disposizione stabilisce che al coniuge che si sottrae all'obbligo di corrispondere l'assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della legge n. 898 del 1970 si applicano le pene previste dall'art. 570 del codice penale. Ma non richiama quest'ultimo articolo per la condizione di procedibilità prevista dal terzo comma, sicchè, mentre la violazione degli obblighi di assistenza familiare è punibile a querela della persona offesa quando concerne il coniuge anche separato, è invece perseguibile d'ufficio la mancata corresponsione dell'assegno al coniuge ed ai figli maggiorenni in caso di divorzio. Questa disciplina, ad avviso del giudice rimettente, sarebbe irragionevole e determinerebbe una disparità nel trattamento di situazioni analoghe. In relazione ai figli, il giudice rimettente osserva che la loro condizione è identica nei rapporti con i genitori, in presenza sia di divorzio che di separazione. Il dovere di provvedere al loro mantenimento si fonda in ogni caso sull'art. 30 della Costituzione e discende dall'art. 147 del codice civile. Eppure l'omesso contributo al mantenimento dei figli maggiorenni da parte del genitore divorziato configura un reato perseguibile d'ufficio, mentre la stessa omissione non sarebbe penalmente rilevante in caso di genitori separati o conviventi o comunque sarebbe in ipotesi perseguibile a querela della persona offesa. Ad avviso del giudice rimettente sarebbe del tutto irragionevole la disparità di trattamento derivante dalla procedibilità d'ufficio solo per il reato previsto dall'art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970. Con riferimento al rapporto tra ex coniugi, l'ordinanza di rimessione prospetta la violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza. Tale principio, escludendo la legittimità di scelte arbitrarie del legislatore, imporrebbe di graduare il trattamento penale in relazione alla diversa gravità dei fatti, da individuare in base alla rilevanza costituzionale dei beni giuridici protetti. Da questo punto di vista il legislatore riserverebbe un trattamento deteriore alla fattispecie di maggiore rilievo nella gerarchia di valori enucleabile dalla Costituzione. Difatti l'art. 570 del codice penale prevede che sia perseguibile a querela della persona offesa la violazione dei doveri di assistenza nell'ambito della famiglia, radicati negli artt. 29 e 30 della Costituzione, mentre l'art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 considera perseguibile d'ufficio l'inadempimento di un obbligo patrimoniale. L'irragionevolezza viene anche prospettata con riferimento al sistema complessivo del codice penale, ispirato al criterio generale di esclusione della procedibilità d'ufficio per fatti di scarso interesse pubblicistico, nei quali il bene tutelato rientra nella disponibilità della persona offesa. Nella situazione esaminata l'ex coniuge avrebbe soprattutto interesse alla soddisfazione, sia pure tardiva, del proprio credito, ostacolata dall'irretrattabilità del procedimento penale. La questione di legittimità costituzionale è ritenuta rilevante nel giudizio principale, giacchè, se accolta, l'imputato potrebbe essere prosciolto, avendo l'ex coniuge rimesso, ed i figli maggiorenni non proposto, la querela.

2. -- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o la manifesta infondatezza della questione. L'Avvocatura ritiene che sia in gioco una sfera riservata alla discrezionalità del legislatore. La perseguibilità d'ufficio del reato previsto dall'art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 sarebbe giustificata dalla situazione delle parti. In costanza del vincolo matrimoniale, che la separazione personale dei coniugi non travolge, è rimesso all'interessato valutare l'opportunità di un intervento del giudice penale, il quale, agendo d'ufficio, potrebbe aggravare e compromettere definitivamente una crisi coniugale in ipotesi ancora rimediabile. Questa preoccupazione non sussiste più una volta intervenuto il divorzio. Anche se non muta il dovere di mantenimento dei figli, il divorzio - rileva l'Avvocatura - fa venir meno l'organicità del nucleo familiare. Fino allo scioglimento del matrimonio, il vincolo familiare lascia aperta la possibilità di una maggiore articolazione dei rapporti nella famiglia e costituisce un deterrente all'inosservanza dei singoli obblighi tra le parti.

Considerato in diritto

1. -- La questione di legittimità costituzionale concerne la perseguibilità d'ufficio, anzichè a querela di parte, del reato di sottrazione all'obbligo di corrispondere l'assegno dovuto, a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, all'altro coniuge o quale contributo per il mantenimento dei figli, anche maggiorenni. Questa figura di reato è stata introdotta dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, che ha aggiunto alla legge 1° dicembre 1970, n. 898 l'art. 12-sexies, per sanzionare la condotta del coniuge che non provvede ad erogare gli assegni dovuti in base agli artt. 5 e 6 della stessa legge con le pene previste dall'art. 570 del codice penale per la violazione degli obblighi di assistenza familiare. Il Pretore di Milano dubita che la procedibilità d'ufficio del reato sia in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo tanto della irragionevolezza che della disparità di trattamento, ed assume quale termine di comparazione lo stesso art. 570 del codice penale, che per la violazione degli obblighi di assistenza familiare stabilisce la punibilità, salvo alcune eccezioni, a querela della persona offesa. Difatti sarebbe identico, e con eguale radicamento costituzionale, il dovere del genitore di provvedere al mantenimento dei figli, sia in caso di convivenza o di separazione che di divorzio. Ma mentre è penalmente sanzionata, e perseguibile d'ufficio, la condotta del genitore divorziato che si sottrae al dovere di contribuire al mantenimento dei figli maggiorenni, non sarebbe sanzionata, o comunque sarebbe in ipotesi perseguibile a querela della parte offesa, la stessa condotta del genitore separato o convivente. Il Pretore ne deduce la lesione del principio di eguaglianza e denuncia come irragionevole la disparità di trattamento. Il dubbio di legittimità costituzionale viene prospettato anche con riferimento alla posizione del coniuge. Considerata giustificata l'esigenza di lasciare alla valutazione della persona offesa l'opportunità di portare all'esterno del nucleo familiare, in caso di convivenza o di separazione, una situazione forse transitoria che il ricorso al giudice penale potrebbe compromettere, il giudice rimettente ritiene che a maggior ragione dovrebbe essere esclusa la procedibilità d'ufficio per l'inadempimento di una mera prestazione patrimoniale, che altrimenti verrebbe sanzionato anche contro la volontà del creditore. L'irretrattabilità del procedimento penale ostacolerebbe, anzi, il soddisfacimento delle ragioni del coniuge più debole, giacchè l'imputato non sarebbe stimolato a soddisfare, sia pure tardivamente, il proprio debito, dato che non vedrebbe sostanzialmente mutata la propria posizione processuale. L'irragionevolezza viene anche prospettata in rapporto al criterio generale del sistema penale, che prevede la querela come condizione di procedibilità per fatti di scarso interesse pubblicistico, nei quali il bene tutelato rientra, come quando ha contenuto patrimoniale, nella disponibilità della persona offesa.

2. -- La norma sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale ha inteso assicurare l'assistenza di una sanzione penale a garanzia dell'obbligo di corrispondere gli assegni, per il coniuge e per i figli, disposti in base alla disciplina sullo scioglimento del matrimonio (artt. 5 e 6 della legge n. 898 del 1970), dopo che la giurisprudenza aveva escluso la possibilità, ammessa da precedenti orientamenti interpretativi, di applicare l'art. 570, secondo comma, numero 2), del codice penale anche al coniuge divorziato, che omettesse di corrispondere l'assegno all'ex coniuge. Il Pretore di Milano, aderendo all'indirizzo interpretativo prevalente, ritiene che l'art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 - introdotto dalla legge n. 74 del 1987 per assicurare tutela penale alle prestazioni patrimoniali che esprimono, pur cessato il vincolo matrimoniale, la residua solidarietà tra coniugi ed il dovere di concorrere al mantenimento dei figli - delinei una figura autonoma di reato, rinviando all'art. 570 del codice penale solo per la individuazione della sanzione. Esclude pertanto l'applicabilità del terzo comma dello stesso art. 570, che per la punibilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare richiede, salvo casi particolari, la querela della persona offesa.

3. -- Le differenze di trattamento determinatesi fra la tutela penale per i crediti spettanti in caso di divorzio e la tutela penale per le prestazioni dovute in caso di separazione personale dei coniugi sono state già esaminate dalla Corte e ritenute, quanto ai profili sostanziali, non in contrasto con l'art. 3 della Costituzione (sentenza n. 472 del 1989). La questione di legittimità costituzionale riguarda ora esclusivamente l'aspetto processuale della procedibilità d'ufficio del reato, anzichè a querela di parte. In precedenza la stessa questione era stata sollevata, in un caso nel quale la parte offesa aveva presentato querela e si era costituita parte civile manifestando la scelta di perseguire la punizione dell'ex coniuge sottrattosi al versamento dell'assegno. In assenza di una propensione del querelante a rimettere la querela, la questione era stata dichiarata inammissibile, in quanto inattuale o comunque prematura (sentenza n. 472 del 1989). Il dubbio di legittimità costituzionale viene riproposto, avendo l'ex coniuge, parte offesa, revocato la costituzione di parte civile e rimesso, con l'accettazione dell'imputato, la querela, manifestando così la volontà che il reato non sia perseguito. La soluzione del dubbio di legittimità costituzionale si presenta, quindi, attuale e rilevante nel giudizio principale. Quale ulteriore elemento per valutare se ricorra la violazione dell'art. 3 della Costituzione, è stata dedotta la situazione dei figli maggiorenni, i quali pure non hanno inteso perseguire penalmente il genitore inadempiente.

4. -- L'ordinanza di rimessione segnala le diversità riscontrabili confrontando la parallela disciplina penale della sottrazione agli obblighi di prestazioni patrimoniali e di assistenza nell'ambito familiare e la disciplina dei rapporti che residuano all'esito dello scioglimento del matrimonio, per dedurre la disparità di trattamento e l'irragionevolezza dell'omessa previsione della perseguibilità a querela della persona offesa per il reato previsto dall'art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970. Il rinvio che questa disposizione fa all'art. 570 del codice penale, sia pure inteso solo per l'identità delle sanzioni, segnala la radice comune di discipline volte a garantire, rafforzandola con l'assistenza della pena, l'osservanza di obblighi che traggono origine, attuale o pregressa, da un rapporto familiare fondato sul matrimonio. La sentenza di divorzio, difatti, "non elimina interamente la vis matrimonii, la quale permane sul piano dei rapporti patrimoniali nei limiti dell'ultrattività del rapporto regolata dall'art. 5 della legge n. 898 del 1970" (sentenza n. 1009 del 1988). Tuttavia, per quanto concerne l'assegno da corrispondere al coniuge divorziato, pur in presenza di elementi di analogia con l'assegno attribuito al coniuge separato, esistono profili soggettivi, attinenti al permanere o meno del vincolo matrimoniale, ed oggettivi, riferibili alla natura ed al contenuto dell'assegno, che rendono non del tutto omogenee le due situazioni. In ogni caso la condizione, indicata dal giudice rimettente come ingiustificatamente differenziata, nella quale verrebbe a trovarsi il coniuge divorziato rispetto a quello separato, riguarda la stessa configurazione del reato: diverse sono le condotte penalmente sanzionate dall'art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 e dall'art. 570 del codice penale, sicchè il discrimine non è rappresentato solo dalla diversa procedibilità del reato. La parificazione delle due situazioni, richiesta dal giudice rimettente, non può dunque essere ottenuta modificando il regime della procedibilità. Non potendosi considerare quello indicato dall'ordinanza di rimessione quale utile termine di comparazione, il ricorso al criterio di ragionevolezza sarebbe possibile solo se la disciplina normativa, in sè considerata, fosse palesemente arbitraria o manifestamente irrazionale; valutazione questa che non si attaglia alla scelta di considerare procedibile d'ufficio il reato configurato dalla norma denunciata.

5. -- Rimane da valutare il dubbio prospettato in relazione alla posizione dei figli. È evidente il comune fondamento delle prestazioni inerenti al loro mantenimento da parte dei genitori, prestazioni che possono atteggiarsi con modalità diverse, ma che sono comunque espressione di un medesimo dovere, indipendentemente dalla convivenza, dalla separazione o dal divorzio dei genitori. Tuttavia la descrizione della diversità di tutela penale fatta dall'ordinanza di rimessione, in particolare per le situazioni riferibili ai figli maggiorenni, segnala disarmonie nel disegno normativo, che possono essere superate dal legislatore secondo una ponderata valutazione dei diversi interessi. L'intervento che viene chiesto alla Corte non appare difatti idoneo a conseguire l'obiettivo proposto dall'ordinanza di rimessione, di rendere omogenee ed unitariamente coerenti le diverse discipline, perchè, se attuato, verrebbe in definitiva ad incidere su un solo elemento che concorre al denunciato squilibrio. La questione deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), aggiunto dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1995.