Sentenza n. 320 del 1995

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SENTENZA N. 320

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del- l'art. 1, n. 3, del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71 (Disposizioni in materia di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 10 novembre 1993 dal Pretore di Bari nel procedimento civile vertente tra la Gestione commissariale governativa per le Ferrovie del Sud-Est e servizi automobilistici e l'INPS iscritta al n. 370 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1994; 2) ordinanza emessa il 10 ottobre 1994 dal Pretore di Avellino nel procedimento civile vertente tra l'Azienda Trasporti Irpini (ATI) e l'INPS iscritta al n. 734 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visti gli atti di costituzione dell'INPS e dell'ATI, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; nell'udienza pubblica del 30 maggio 1995 il Giudice relatore Fernando Santosuosso; uditi gli avvocati Vittorio Benevento e Lucio Valerio Moscarini per l'ATI, Fabio Fonzo per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un giudizio civile vertente tra la Gestione commissariale governativa per le Ferrovie del Sud-Est e servizi automobilistici e l'INPS, il Pretore di Bari, con ordinanza emessa il 10 novembre 1993, pervenuta alla Corte costituzionale il 1° giugno 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 20 maggio 1993, n. 151 (recte: art. 1, n. 3, del decreto- legge 22 marzo 1993, n. 71 "Disposizioni in materia di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di fiscalizzazione degli oneri sociali", convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151), nella parte in cui prevede che il rimborso delle somme dovute a titolo di sgravi degli oneri sociali in favore delle imprese operanti nel Mezzogiorno a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 261 del 1991 è effettuato dall'INPS, previa presentazione di domanda, in dieci rate annuali di pari importo, senza alcun aggravio per rivalutazione e interessi e senza la possibilità di compensare con le suddette somme i debiti dell'imprenditore nei confronti dell'Istituto. Osserva il giudice a quo che la norma impugnata violerebbe l'art. 3 della Costituzione sotto un duplice profilo: in primo luogo perchè attribuisce all'INPS una posizione di privilegio rispetto agli altri debitori, tenuti al pagamento della rivalutazione e degli interessi; in secondo luogo perchè discrimina le aziende che si giovano della sentenza n. 261 del 1991 rispetto a quelle che hanno potuto beneficiare degli sgravi fin dall'inizio. Sussisterebbe altresì la violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione dal momento che, per effetto della norma denunciata, il cittadino viene privato della potestà di chiedere la tutela in giudizio delle sue posizioni di diritto soggettivo scaturenti dalla citata sentenza n. 261 del 1991; inoltre, discriminante apparirebbe l'avere subordinato l'esercizio del diritto alla presentazione di una domanda all'Istituto volta ad ottenere la restituzione delle somme dovute. Anche l'art. 97 della Costituzione sarebbe violato, sotto il profilo dell'obbligo di imparzialità della pubblica amministrazione, a causa della lunghissima rateizzazione prevista unitamente alla non consentita possibilità di opporre in compensazione i debiti dell'imprenditore; infine, la norma sarebbe in contrasto con i principi sanciti dall'art. 41 della Costituzione.

2. - Nel giudizio avanti alla Corte costituzionale si è costituito l'INPS concludendo per la non fondatezza della questione. La difesa dell'INPS, nel riportarsi a quanto già dedotto nell'analogo giudizio incidentale di legittimità costituzionale sollevato dal Pretore di Crotone, ha in particolare osservato che è erroneo parificare la pretesa delle aziende che hanno diritto agli sgravi a seguito della sentenza n. 261 del 1991 a quella di un normale creditore, dovendo tenersi conto della natura dello sgravio, che ha funzione incentivante e di sostegno delle aziende che operano nel Mezzogiorno, funzione questa, che non può essere assolta dal riconoscimento ex tunc del diritto agli sgravi.

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, insistendo per la manifesta infondatezza della questione, e riportandosi a quanto dedotto nell'analogo giudizio di legittimità costituzionale sollevato dal Pretore di Crotone.

4. - Analoga questione è stata sollevata dal Pretore di Avellino con ordinanza emessa il 10 ottobre 1994 nel corso di un procedimento civile vertente tra ATI e INPS. Rileva il giudice a quo che l'art. 1, comma 3, del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71, convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, nella parte in cui prevede che le somme dovute dall'INPS a titolo di sgravi degli oneri sociali per effetto della sentenza n. 261 del 1991 della Corte costituzionale, sono rimborsate in dieci rate annuali senza alcun aggravio per rivalutazione ed interessi, si pone in contrasto con gli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, in quanto "produce un irragionevole pregiudizio nei confronti del soggetto che ha indebitamente pagato e si trova a subire la decurtazione della rivalutazione ed interessi che pure costituiscono componenti del complesso credito previdenziale".

5. - Nel giudizio relativo all'ordinanza del Pretore di Avellino si sono costituiti sia l'INPS che la parte privata. La difesa dell'INPS ha osservato che la questione dovrebbe in primo luogo essere ritenuta inammissibile, sia in quanto l'ordinanza di rimessione difetta di motivazione in punto di non manifesta infondatezza della questione, sia perchè analoga questione è stata già dichiarata inammissibile dalla Corte con la sentenza n. 362 del 1994. Nel merito la questione sarebbe infondata, in quanto la disciplina della cui legittimità si dubita è di per sè transitoria e limitata nel tempo e come tale perfettamente legittima sotto il profilo della costituzionalità, atteso che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, lo stesso fluire del tempo costituisce elemento differenziatore; a tal proposito sarebbe invero sufficiente considerare che le aziende interessate al rimborso hanno impostato il loro esercizio finanziario senza fare affidamento su tale sopravvenienza attiva. Nè sarebbe possibile imputare all'INPS il ritardo nel conseguimento del beneficio dal momento che, se la normativa consentiva fin dall'origine di avvalersi dello sgravio e le imprese non se ne sono avvalse, non possono ora pretendere la rivalutazione e gli interessi, tanto più che non sussiste un diritto costituzionalmente protetto alla rivalutazione ed agli interessi quali "componenti del complesso credito previdenziale". Non pertinente sarebbe infine il denunciato contrasto con gli artt. 23 e 53 della Costituzione. La difesa dell'ATI ha insistito per l'accoglimento della questione rilevando che la norma denunciata non solo si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ma finisce con il mortificare, ed anzi con l'obliterare quelle finalità indicate dalla Corte costituzionale nella richiamata sentenza, disattendendo altresì "il principio di equo concorso alla spesa pubblica imponendo al privato, leso da un atto illegittimo della pubblica amministrazione, un sacrificio in evidente contrasto con gli artt. 23 e 53 della Costituzione".

6.- Anche in tale giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione. La questione sarebbe inammissibile sia per carenza di adeguata motivazione in punto di non manifesta infondatezza, sia per il fatto che in base alla sentenza n. 362 del 1994, gli sgravi contributivi riguardano solo le "imprese industriali" operanti nel Mezzogiorno. Nel merito, ha osservato la difesa erariale, la norma denunciata rientra nell'ambito di una scelta discrezionale del legislatore, ampiamente giustificata dalla posizione di vantaggio nella quale vengono a trovarsi le aziende per una sopravvenienza attiva non prevista nei bilanci degli esercizi pregressi. Inconferente, ancorchè del tutto carente di qualsiasi motivazione, sarebbe, infine, la asserita violazione degli artt. 23 e 53 della Costituzione riferendosi tali norme alla materia tributaria, estranea alla fattispecie in argomento.

Considerato in diritto

1. - La questione sottoposta all'esame di questa Corte è se l'art. 1, n. 3, del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71 (Disposizioni in mate ria di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, nella parte in cui prevede che le somme dovute dall'INPS a titolo di sgravi contributivi per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 261 del 1991 siano rimborsate ratealmente in 10 anni senza oneri per l'Istituto di rivalutazione monetaria ed interessi e senza la possibilità di compensazione con i debiti dell'imprenditore nei confronti dell'INPS, sia in contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificato privilegio accordato all'INPS rispetto ad ogni altro debitore e per la discriminazione in danno delle imprese aventi titolo al rimborso per effetto della citata sentenza rispetto a quelle che hanno originariamente e regolarmente fruito dello sgravio in questione; b) con gli artt. 24 e 113 della Costituzione perchè la non completa reintegrazione patrimoniale, conseguente alla prevista modalità di rimborso, comporta l'impossibilità di ottenere esaustiva tutela giurisdizionale; c) con l'art. 41 della Costituzione per la limitazione della propria libertà di iniziativa economica che le imprese, come sopra discriminate, sono costrette a subire; d) con l'art. 97 della Costituzione perchè il privilegio accordato all'INPS si risolve in un fattore ostacolante rispetto al perseguimento dei fini di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa dell'Istituto; e) con gli artt. 23 e 53 della Costituzione.

2. - I due giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza avendo ad oggetto sostanzialmente la stessa questione, ancorchè in ordine a parametri costituzionali non del tutto coincidenti.

3. - Sia la difesa dell'INPS che quella dello Stato hanno dedotto preliminarmente l'inammissibilità delle questioni sollevate sostenendo che l'ordinanza del Pretore di Bari difetta di motivazione in punto di rilevanza, non essendosi il giudice a quo espresso sulla qualificazione industriale delle imprese interessate agli sgravi, mentre quella del Pretore di Avellino appare del tutto immotivata sotto il profilo della non manifesta infondatezza della sollevata questione di incostituzionalità. Tali eccezioni vanno disattese, sia considerando che il carattere di industrialità delle imprese richiedenti il rimborso - presupposto essenziale della pretesa (v. sentenze di questa Corte nn. 362 del 1994 e 261 del 1991) - costituisce la premessa delle ordinanze di rimessione che impostano la loro motivazione partendo proprio dalla prima delle sentenze ora ricordate, sia perchè, se pur concisamente, l'ordinanza del Pretore di Avellino non manca di osservare che la norma impugnata "produce un irragionevole pregiudizio nei confronti del soggetto che ha indebitamente pagato e si trova a subire la decurtazione della rivalutazione e degli interessi che pur costituiscono componenti del compresso credito previdenziale".

4. - Nel merito la questione è infondata con riferimento a tutti gli invocati parametri costituzionali. Per sgombrare subito il campo dalle censure sollevate in riferimento ai parametri meno conferenti alla sollevata questione, è appena il caso di osservare che, con riguardo agli artt. 24 e 113 della Costituzione, le esigenze di tutela giurisdizionale non appaiono violate dal momento che la norma denunziata non attiene ai limiti processuali di detta tutela; che la denunziata violazione degli artt. 23 e 53 della Costituzione si appalesa immotivata e comunque infondata poichè i richiamati principi costituzionali riguardano la diversa materia tributaria; che, infine, per essere ritenuto sussistente il contrasto con gli artt. 41 e 97 della Costituzione è necessario verificare se le scelte discrezionali del legislatore nel modulare gli incentivi alle diverse imprese, tenendo conto delle risorse dei pubblici bilanci, siano state o meno irragionevolmente esercitate.

5. - L'esame della questione va dunque concentrato sulla denunziata violazione dell'art. 3 della Costituzione, sia perchè la norma impugnata sarebbe viziata da irragionevolezza, sia soprattutto perchè essa determinerebbe una doppia disparità di trattamento: tra la posizione dell'INPS rispetto a tutti gli altri debitori, e tra le imprese che hanno potuto pienamente beneficiare degli sgravi e quelle cui è dovuta la restituzione dei contributi indebitamente pagati. Nell'argomentare le rispettive tesi, le parti costituite in questo giudizio hanno diffusamente esaminato il problema sotto molteplici aspetti: a) se al predetto rimborso da parte dell'INPS debba applicarsi la normativa relativa agli altri indebiti oggettivi; b) se allo stesso possa riconoscersi natura previdenziale, con la conseguenziale disciplina su rivalutazione e interessi; c) se il diritto alla rivalutazione e agli interessi debba intendersi effetto connaturale a qualsiasi debito e quindi anche a quello in oggetto; d) se alle imprese richiedenti non spettino gli sgravi in discussione in quanto le aziende di trasporto non avrebbero carattere industriale; e) se, godendo le imprese in questione del beneficio del "ripiano", a carico dello Stato, dei disavanzi degli esercizi economici, la eventuale restituzione dei contributi a titolo di sgravi aumentata della rivalutazione e degli interessi non si traduca in una ulteriore sopravvenienza attiva.

6. - Questa Corte ritiene che gli accennati aspetti del problema risultano assorbiti da altre considerazioni più pertinenti alla presente fattispecie in cui si ravvisa una posizione privilegiata che la norma riconoscerebbe all'INPS ed alle imprese che hanno già beneficiato pienamente degli sgravi contributivi. Il principio costituzionale della parità di trattamento può ritenersi violato solo quando il legislatore tratta senza giustificazione in modo diverso situazioni omogenee; nel caso di specie, tuttavia, è ravvisabile una disomogeneità con riguardo ad entrambe le posizioni prospettate. In casi nei quali, in esecuzione di sentenze di questa Corte, il legislatore ha apprestato la disponibilità di mezzi economici necessari, tenendo anche conto dell'ampiezza dell'onere richiesto, è stata ritenuta giustificata l'osservanza di particolari modalità e ragionevoli limiti, nonchè la gradualità corrispondente alle esigenze di reperimento delle risorse finanziarie (sentenze nn. 103 e 99 del 1995, 243 del 1993).

7. - Nella specie, il legislatore, nelle sue discrezionali scelte di politica economica, aveva emanato norme di favore per determinate imprese sgravandole dall'onere di corrispondere contributi sociali per incentivare la produzione e sviluppare l'occupazione. Le altre imprese escluse dal beneficio provvidero a realizzare i loro programmi di produzione ripartendo costi e ricavi secondo l'impostazione dei rispettivi bilanci. La successiva estensione degli stessi benefici a queste imprese, conseguente alla sentenza n. 261 del 1991, si differenzia da quella situazione originaria poichè il rimborso a distanza di tempo dei contributi già versati non consegue più quelle stesse finalità sociali che giustificavano lo sgravio contestuale allo sviluppo della produzione ed al corrispondente livello occupazionale. La sopravvenuta legge n. 151 del 1993 ha disciplinato gli effetti derivanti dalla pronuncia della Corte costituzionale tenendo conto, per un verso, dell'esigenza di ristabilire un certo equilibrio fra le imprese, e, per altro verso, della mutata logica di erogazione delle nuove provvidenze, non essendo più possibile "ora per allora" incentivare produzione e occupazione. In questa diversa prospettiva, e considerate anche le accennate esigenze di reperimento delle necessarie risorse finanziarie, il legislatore ha giustificatamente previsto limiti e gradualità nella concessione di tali sopravvenute erogazioni.

8. - Se, pertanto, non si ravvisa la lamentata violazione dell'art. 3 della Costituzione nella previsione del rimborso dei contributi "senza alcun aggravio per rivalutazione e interessi", parimenti deve ritenersi - per gli stessi motivi già esposti - giustificato che detti rimborsi avvengano con ulteriori limiti, e cioè in modo rateizzato e senza possibilità di compensazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, n. 3, del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71 (Disposizioni in materia di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito in legge 20 maggio 1993, n. 151, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 41, 53, 97 e 113 della Costituzione dal Pretore di Bari e dal Pretore di Avellino con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 luglio 1995.