Sentenza n. 309 del 1995

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SENTENZA N. 309

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonchè altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75, promossi con 24 ordinanze emesse il 2 dicembre 1993 dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma iscritte ai nn. da 459 a 482 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visto l'atto di costituzione della Soc.r.l. MIMA nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1995 il Giudice relatore Massimo Vari; uditi l'avv. Valerio Onida per la Soc.r.l. MIMA e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1.-- Con 24 ordinanze di identico contenuto emesse in data 2 dicembre 1993 (R.O. dal n. 459 al 482 del 1994) la Commissione tributaria di primo grado di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonchè altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75.

2.-- I singoli giudizi a quibus sono stati instaurati avverso il silenzio- rifiuto dell'Amministrazione finanziaria sulle istanze di rimborso di importi corrisposti quale imposta straordinaria su gli immobili (I.S.I.), prevista dall'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359. Il giudice remittente, premesso che il riferimento alle rendite catastali, di cui al comma 3 dell'art. 7 della legge istitutiva della imposta predetta, deve intendersi oggi operante non più di rettamente nei confronti della regolamentazione contenuta nei decreti ministeriali 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991, "bensì nei confronti dei criteri valutativi individuati nell'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, che ha conferito dignità di norma di legge a quei provvedimenti", lamenta violazione dell'art. 53 della Costituzione, "per l'intrinseca irrazionalità della determinazione delle rendite, sul cui valore viene ad incidere il tributo, in base a criteri di cui la stessa norma prevede l'abbandono nei periodi successivi al 1° gennaio 1995". Inoltre, lo stesso art. 2 riconosce la provvisorietà delle attuali rendite prevedendo la possibilità di un loro successivo adeguamento ad al tre diversamente determinate e con efficacia retroattiva rispetto a versamenti di imposta già effettuati. Ne discende che la norma denunciata "sottopone medio tempore il contribuente ad una tassazione avulsa dalla sua capacità contributiva correlata ad una qualificata capacità economica, proponendo, tra l'altro, surrettiziamente, una illegittima forma di solve et repete" e configurando, altresì, un eccesso di potere legislativo per la contraddittoria previsione dell'imposizione di un "pagamento condizionato" e della "possibile erroneità della base imponibile". Sarebbe violato anche l'art. 3 della Costituzione per la discriminazione "tra il contribuente che avrà gli estimi confermati e contribuente che avrà gli estimi ridotti e, quindi, realizzerà un credito nei confronti dell'erario", producendosi, "senza alcun fondamento di ragionevolezza, una netta distinzione tra coloro i quali, assolvendo esattamente il tributo in base alle attuali tariffe, rendono definitiva la loro posizione contributiva e coloro che, assolvendo anch'essi esattamente il tributo in base alle attuali tariffe, sono costretti ad esercitare ulteriori azioni a tutela del credito derivante da una successiva definizione del rapporto". Si profila, d'altra parte, violazione anche del diritto di difesa, di cui all'art. 24 della Costituzione, considerando che la procedura di rimborso, "stante la connessa aleatorietà del recupero determinata dai brevi termini prescrizionali e dalle complesse formalità di rito, renderebbe, comunque, incerto e difficoltoso l'esercizio del diritto costituzionalmente tutelato".

3.-- In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non ammissibile o, in subordine, non fondata. Nell'atto di intervento si sostiene che le considerazioni delle ordinanze di rimessione, tutte basate sulla asserita 'provvisorietà' delle rendite, sarebbero "palesemente non pertinenti", in quanto la provvisorietà sarebbe prevista "ai soli fini delle imposte sui redditi" e non dell'I.S.I., esauritasi nel 1992. Si osserva poi che il profilo riguardante l'art. 24 della Costituzione sarebbe inammissibile, "posto che le 'complesse formalità' cui l'ordinanza allude non riguardano il processo giurisdizionale", non senza rammentare che la norma denunciata è già stata scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 263 del 1994. Con successiva memoria, depositata nell'imminenza dell'udienza, l'Avvocatura dello Stato, nel ribadire le argomentazioni già svolte, osserva altresì che la questione proposta riguarda le ipotetiche modalità del "recupero" di diverse differenze: quelle "che sarebbero derivate dall'applicazione dei commi 1-bis e 1-ter inseriti nello stesso art. 2 della legge di conversione, se tale applicazione avesse interessato (e non ha interessato) gli immobili dei singoli ricorrenti e fosse stata rilevante (il che non è) anche per l'I.S.I.", riferendosi, pertanto, a "controversie virtuali non proposte".

4.-- Nel giudizio instaurato con l'ordinanza di cui al R.O. n. 476 del 1994 si è anche costituita la Soc.r.l. MIMA, rappresentata e difesa dagli avvocati Pietro Ricci e Valerio Onida, per chiede re, in adesione alle ragioni esposte dal remittente, una "declaratoria di illegittimità del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16".

Considerato in diritto

 

1.-- Le ordinanze in epigrafe, emesse in controversie aventi ad oggetto richieste di rimborso dell'imposta straordinaria sugli immobili di cui all'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevano questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75. Secondo il giudice remittente la disposizione contrasterebbe con: -- l'art. 53 della Costituzione, per "l'intrinseca irrazionalità della determinazione delle rendite, sul cui valore viene ad incidere il tributo, in base a criteri di cui la stessa norma prevede l'abbandono nei periodi successivi al 1° gennaio 1995"; -- l'art. 53 della Costituzione, atteso che lo stesso art. 2, riconoscendo la provvisorietà delle attuali rendite e prevedendo la possibilità di un loro successivo adeguamento ad altre diversamente determinate con efficacia retroattiva, sottopone medio tempore il contribuente ad una tassazione avulsa dalla sua capacità contributiva; -- gli artt. 3 e 53 per la discriminazione tra il contribuente che avrà gli estimi confermati e il contribuente che avrà gli estimi ridotti e, quindi, realizzerà un credito nei confronti dell'erario; -- gli artt. 3 e 24 della Costituzione, "stante la connessa aleatorietà del recupero determinata dai brevi termini prescrizionali e dalle complesse formalità di rito".

2.-- I giudizi, in quanto promossi con ordinanze di identico contenuto, possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.

3.-- Onde cogliere esattamente la portata delle questioni sollevate, anche sotto il profilo della loro rilevanza, va rammentato che l'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, dopo aver previsto al primo comma l'istituzione di un'imposta straordinaria immobiliare sul valore dei fabbricati, siti nel territorio dello Stato a qualsiasi uso destinati, ha fissato la medesima nella misura del 2 per mille del valore costituito, per i fabbricati iscritti in catasto, da quello risultante dall'applicazione di un moltiplicatore all'ammontare delle rendite catastali determinate a seguito della revisione generale disposta con il decreto del Ministro delle finanze 20 gennaio 1990. Peraltro, a seguito dell'avvenuto annullamento di quest'ultimo, da parte del giudice amministrativo, unitamente al decreto 27 settembre 1991 che, in conformità ad esso, aveva stabilito le nuove tariffe d'estimo per l'intero territorio nazionale con effetto dal 1° gennaio 1992, il Governo ha emanato una serie di decreti-legge, l'ultimo dei quali è quello in data 23 gennaio 1993, n. 16, il cui art. 2 forma oggetto della sollevata questione e che ha rinviato alla disciplina dei predetti decreti. La stessa norma ha, poi, disposto -- con effetto dal 1° gennaio 1995 -- una nuova revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe di estimo, delle rendite delle unità immobiliari urbane e dei criteri di classamento, ad opera di un decreto ministeriale volto a determinare la redditività media, in riferimento al valore del mercato degli immobili e delle locazioni, in luogo del valore unitario di mercato ordinariamente ritraibile, determinato come media dei valori riscontrati nel biennio 1988-1989, giusta la previsione dei precedenti provvedimenti sopra menzionati. Lo stesso art. 2 del decreto-legge impugnato ha stabilito, inoltre, fino al 31 dicembre 1993, la permanenza in vigore e quindi l'applicazione delle tariffe di estimo e delle rendite già determinate in esecuzione del decreto 20 gennaio 1990 (art. 2, comma 1, terzo periodo). A sua volta la legge 24 marzo 1993, n. 75, nel convertire il decreto menzionato, ha aggiunto al predetto art. 2 i commi 1-bis e 1-ter, con i quali si è data facoltà ai comuni di ricorrere alle commissioni censuarie provinciali e, in sede di appello, alla commissione censuaria centrale "con riferimento alle tariffe di estimo e alle rendite vigenti ai sensi del primo comma" del medesimo art. 2. Le tariffe d'estimo e le rendite modificate in conseguenza di tali ricorsi, nonchè quelle derivanti da ulteriori modificazioni al fine di mantenere l'invarianza del gettito, recepite in un apposito decreto legislativo, secondo quanto stabilito dall'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75, sarebbero state applicate per l'anno 1994. Peraltro, ai fini delle imposte dirette (salve alcune esclusioni), l'applicazione sarebbe stata anticipata al 1° gennaio 1992 ove fossero risultate inferiori a quelle stabilite col decreto ministeriale 27 settembre 1991.

4.-- Ciò stante, può concordarsi con il giudice remittente, nel senso che il riferimento alle rendite catastali di cui al comma 3 dell'art. 7 della legge istitutiva dell'imposta straordinaria immobiliare debba intendersi oggi operante non più direttamente nei confronti della disciplina contenuta nei predetti decreti ministeriali, bensì nei confronti di quella contenuta nell'art. 2 del decreto- legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito con modificazioni nella legge n. 75 del 1993, con il quale si fa rinvio ai decreti stessi.

5.-- Quanto detto consente di ritenere le proposte questioni rilevanti ai fini del decidere, anche se, nel merito, le stesse sono da reputare non fondate. Il remittente lamenta, anzitutto, violazione dell'art. 53, deducendo al riguardo che la disposizione censurata si appaleserebbe affetta da irrazionalità per essere informata a criteri di cui la stessa norma prevede l'abbandono a partire dal 1995. Osserva la Corte che la censura, anche in ragione della sua assoluta genericità e della invero non chiara connessione che il remittente tende a stabilire fra transitorietà ed irrazionalità della norma, non permette in definitiva di scorgere sotto quale aspetto si verificherebbe l'ipotizzato contrasto con il principio della capacità contributiva sancito dal richiamato parametro costituzionale. Non può ignorarsi che la norma di cui trattasi è già stata sottoposta, sotto il profilo della eventuale violazione dell'art. 53, al vaglio di questa Corte che, con sentenza n. 263 del 1994, ha rilevato, tra l'altro, che il previsto mutamento di indirizzo normativo in materia, a partire dal 1995, per effetto dei nuovi criteri indicati dal legislatore, e cioè il valore di mercato insieme al valore locatizio, si spiega con la più recente evoluzione legislativa che tende, come è noto, a superare il regime vincolistico delle locazioni. Lo stesso remittente dubita, poi, della legittimità della disposizione di cui trattasi, per il fatto che essa riconoscerebbe la provvisorietà delle attuali rendite, prevedendo la possibilità di un loro successivo adeguamento ad altre diversamente determinate, con efficacia retroattiva rispetto a versamenti di imposta già effettuati. Da tale prospettazione, nella quale appare evidente il sia pure implicito riferimento all'eventuale attivazione della procedura di revisione degli estimi contemplata dai commi 1-bis e 1-ter del medesimo art. 2, non è, ad avviso della Corte, possibile far discendere la conclusione cui perviene il giudice a quo lamentando il contrasto con l'art. 53 della Costituzione. Non si può ritenere violato il principio di capacità contributiva per il solo fatto che una disposizione preveda, in via oltretutto eventuale, la revisione degli estimi, senza coinvolgere i criteri di determinazione delle rendite fissati dal legislatore, bensì i soli risultati applicativi di essi, in vista di una loro più esatta determinazione.

6.-- Ulteriori doglianze vengono avanzate con riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, assumendo la discriminazione di quei contribuenti che, effettuando esborsi per somme che risultino, in seguito, eccedenti il dovuto, maturino un credito nei confronti del fisco; nonchè in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione in relazione all'onere, imposto ai medesimi contribuenti, di intraprendere le procedure di rimborso. A parte l'improprio riferimento all'art. 24 della Costituzione, che concerne il diritto alla tutela giurisdizionale, che non è in discussione, dal momento che i dubbi sollevati dal giudice remittente attengono a procedure di rimborso in via amministrativa di quanto eventualmente pagato in eccedenza al fisco, non pare a questa Corte che i prospettati risultati, cui l'applicazione della norma può portare, vadano al di là di inconvenienti di fatto, tali comunque da non configurare vizi di costituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, del decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari, nonchè altre disposizioni tributarie), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1993, n. 75, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 luglio 1995.