Ordinanza n. 283 del 1995

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ORDINANZA N. 283

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 662 (recte: art. 660), comma 2, del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 28 settembre 1994 dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di Bari sulle richieste proposte da M.F. e C.P., iscritte ai nn. 679 e 702 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 47 e 49, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

RITENUTO che il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di Bari, richiesto di procedere alla conversione delle pene pecuniarie inflitte a due minori condannati con sentenza definitiva, ha, con altrettante ordinanze dal contenuto pressochè identico, entrambe emesse il 28 settembre 1994, sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 660, comma 2, del codice di procedura penale, "con riferimento ai minori, in relazione alla incapacità di disporre economicamente di cui agli artt. 311, 320 e 324" del codice civile; che, secondo il giudice a quo, il principio della personalità della responsabilità penale sarebbe vulnerato perchè resterebbero assoggettati a sanzione penale - almeno fino al compimento del diciottesimo anno di età - gli esercenti la patria potestà sul minore non emancipato ed ai quali competono la rappresentanza, l'amministrazione e l'usufrutto dei beni del minore stesso; che risulterebbe compromesso anche il rispetto del principio di eguaglianza, sia perchè un'identica situazione giuridica - e cioè la "condanna di minori a pene pecuniarie" - ha conseguenze diverse a seconda delle condizioni economiche e della disponibilità degli esercenti la patria potestà, disparità non ovviabile con la richiesta di dilazione o rateizzazione, sia perchè viene instaurato un regime diverso rispetto a quello prescritto per il pagamento delle spese processuali dal quale i minori sono esonerati ai sensi dell'art. 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272; che in nessuno dei due giudizi si è costituita la parte privata nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

CONSIDERATO che i giudizi, concernendo questioni identiche, vanno riuniti; che, pur non essendo agevolmente decifrabile il petitum perseguito dal giudice a quo - ora censurandosi che possa essere addebitato a persone diverse dal condannato il pagamento delle pene pecuniarie, e, quindi, l'irrogazione nei confronti di tali persone di una sanzione penale, ora, invece, denunciandosi il regime stesso della conversione della pena pecuniaria riguardo ai minori - dall'integrale contesto delle ordinanze di rimessione culminante con la denuncia dell'art. 660, comma 2, del codice di procedura penale, può ritenersi che le doglianze risultino incentrate sull'inevitabile conversione della pena pecuniaria pure nei confronti dei condannati minorenni e sui riverberi che la conversione determina relativamente ai parametri costituzionali invocati; che la questione è manifestamente infondata sia sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza sia sotto il profilo della violazione della personalità della responsabilità penale; che, in relazione alle doglianze incentrate sull'art. 3 della Costituzione, relativamente alla distinzione fra minori i cui genitori siano abbienti e disponibili al pagamento della pena pecuniaria e minori i cui genitori tali non siano, questa Corte non può non convenire, non risultando la problematica, sotto questo profilo, diversa da quella riguardante gli imputati maggiorenni, che "appare insanabilmente contraddittorio pretendere di fondare la soddisfazione del principio di eguaglianza di fronte al reato ed alla pena, proprio sul sacrificio dell'eguaglianza stessa, introducendo una discriminazione determinata unicamente dalle condizioni del condannato", secondo una delle rationes decidendi che hanno provocato la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 136 del codice penale, prima della sua sostituzione ad opera dell'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (v. sentenza n. 131 del 1979); che, però, occorre anche ribadire che la detta pronuncia ritenne illegittima quella particolare configurazione della conversione, "retaggio di concezioni arcaiche", tanto "per i suoi effetti sostanziali di privazione della libertà personale", quanto "per il meccanismo processuale adottato" (v. anche sentenza n. 108 del 1987), puntualizzando come non fosse "concretamente evitabile nè la previsione di misure succedanee alla pena pecuniaria non corrisposta per insolvibilità, nè che queste possano incorporare, rispetto a quella, un margine di maggiore afflittività", purchè vengano adottate "misure sostitutive che riducano al minimo possibile tale divario e che nel contempo si adottino disposizioni che, agevolando l'adempimento della pena pecuniaria e rendendo effettivo il controllo sulla sussistenza di reali situazioni di insolvibilità, circoscrivano nella massima misura possibile l'area della concreta operatività della conversione" (v. ancora, sentenza n. 108 del 1987), un assetto ritenuto raggiunto in forza nel nuovo sistema di conversione introdotto dalla modificazione dell'art. 136 del codice penale, senza contare la disciplina della dilazione e del pagamento rateale, utilizzabile anche dai condannati minorenni; che, pure sotto il profilo della dedotta disparità di trattamento rispetto al diverso regime delle spese processuali al cui obbligo sono sottratti i condannati minorenni a norma dell'art. 29 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, la questione è manifestamente infondata, trascurando del tutto il giudice a quo che la ratio alla base della norma ora ricordata è coessenziale alla natura dell'obbligo del pagamento delle spese processuali, cosicchè la sua previsione anche nel processo minorile, "finendo per gravare più che sul minore sulla sua famiglia, non corrisponderebbe al suo scopo intrinseco e si risolverebbe in un'ulteriore penalizzazione dei familiari" (v. Relazione al Progetto definitivo delle norme di attuazione di coordinamento e transitorie sul processo penale a carico di imputati minorenni), una ratio certo non invocabile con riferimento alla pena pecuniaria, il cui pagamento ed il cui conseguente regime derivante dall'insolvibilità si giustificano, oltre tutto, in funzione del principio dell'inderogabilità della pena; che nessuna lesione del principio sancito dall'art. 27, primo comma, della Costituzione è ravvisabile nella possibilità che l'adempimento dell'obbligazione derivante dalla pena pecuniaria venga effettuato dagli esercenti la patria potestà del minore, trattandosi di obbligazione cui essi non sono tenuti se non nei casi stabiliti dall'art. 196 del codice penale, certamente non lesivi del principio della responsabilità penale personale; che, infine, non appare inutile ricordare che l'attività di rappresentanza ed amministrazione degli esercenti la potestà sul minore consente a costoro di provvedere al pagamento della pena pecuniaria inflitta ove l'incapace di agire sia titolare di un proprio patrimonio. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 660, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di Bari con le due ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/06/95.