Ordinanza n. 282 del 1995

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ORDINANZA N. 282

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 445, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1994 dal Pretore di Cremona nel procedimento penale a carico di Faisi Gianfranco Cristiano, iscritta al n. 437 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

RITENUTO che il Pretore di Cremona, prima ancora di aprire il dibattimento a carico di un imputato della contravvenzione di possesso ingiustificato di valori prevista dall'art. 708 del codice penale, ha, di fronte alla concorde richiesta della parti di applicazione della pena a norma degli artt. 444 e seguenti del codice di procedura penale, con ordinanza del 23 marzo 1994, denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, l'art. 445, comma 1, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede che il giudice, pronunciando la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ordini la confisca delle somme e degli oggetti di cui l'imputato della contravvenzione p. e p. dall'art. 708 CP non giusti fichi la provenienza"; che il giudice a quo, premesso che le somme in questione, non costituendo prezzo ma profitto del reato, non rientrano fra le cose assoggettabili a confisca ai sensi dell'art. 240, secondo comma, del codice penale, appositamente richiamato dalla norma denunciata, ravvisa nel sistema così articolato una rinuncia "ad espropriare cose che con alta probabilità ritorneranno nel circuito criminoso" vanificando, per giunta, lo stesso precetto dell'art. 708 del codice penale; che, in tal modo, l'art. 445 del codice di procedura penale vulnererebbe sia l'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, consentendo all'imputato di ricavare utilità dal proprio operare contra legem, sia l'art. 27 della Costituzione, perchè l'impossibilità di "espropriare il denaro e le altre utilità provenienti dall'attività delinquenziale, pur nella logica di premialità che ispira il patteggiamento, neutralizza la funzione di tendenziale recupero sociale" che l'ora indicato parametro costituzionale assegna alla pena; che nel giudizio non si è costituita la parte privata nè ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

CONSIDERATO che il giudice a quo richiede a questa Corte una statuizione solo apparentemente di tipo demolitorio, ma in realtà diretta ad introdurre, in relazione al regime dell'applicazione della pena su richiesta, una disciplina che consenta di adottare una misura di sicurezza oltre i limiti segnati dall'art. 445, comma 1, del codice di procedura penale; che, come già statuito con riferimento ad un'analoga questione avente ad oggetto la sottoponibilità a confisca, in esito a sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, delle somme costituenti il profitto della illecita cessione di sostanze stupefacenti, la realizzazione del petitum che il giudice a quo tende a conseguire resta preclusa a questa Corte, <spettando interventi additivi di tal genere al solo legislatore che, nella sfera della sua discrezionalità, può operare scelte anche derogatorie rispetto a quelle previste in via generale in relazione alla sentenza di patteggiamento> (v. ordinanza n. 334 del 1994); che la questione è, dunque, manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 445, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Pretore di Cremona con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 giugno 1995.