Ordinanza n. 257 del 1995

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ORDINANZA N.257

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, lettera m), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1994 dal Pretore di Milano nel procedi mento penale a carico di Anna Denti, iscritta al n. 52 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

RITENUTO che con ordinanza emessa il 26 ottobre 1994, nel corso di un procedimento penale nei confronti di Anna Denti, citata a giudizio con l'imputazione di truffa aggravata ai danni dello Stato, il Pretore di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76 e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, lettera m), del codice di procedura penale; che la disposizione denunciata stabilisce la competenza del pretore per giudicare del delitto di truffa aggravata, compresa la truffa ai danni dello Stato, punibile con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire seicentomila a tre milioni (art. 640, secondo comma, del codice penale); che il giudice rimettente considera il reato di truffa di non facile indagine e ritiene che sia attribuito alla competenza del pretore solo seguendo il criterio della quantità della pena edittale, sicchè a maggior ragione la truffa aggravata, in precedenza non attribuita alla competenza del pretore, non potrebbe essere ritenuta di rapida e facile indagine, mentre si dovrebbe considerare che tale delitto è spesso collegato con altri reati contro la pubblica amministrazione, di competenza del tribunale; che, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denunciata sarebbe in contrasto con vari parametri costituzionali: con l'art. 76, essendo indeterminati i principi e criteri direttivi della legge di delegazione (direttiva n. 12 di cui all'art. 2 della legge 16 febbraio 1987, n. 81), se interpretata in senso diverso dalla attribuzione della competenza in base alla ricognizione della situazione legislativa già esistente; con l'art. 25, per la mancata corretta predeterminazione del giudice naturale; con l'art. 3, per l'irragionevole disparità di trattamento tra cittadini; con l'art. 24, per la compressione del diritto di difesa, mancando nel giudizio dinanzi al pretore l'udienza preliminare; con l'art. 97, primo comma, essendo stata la competenza del pretore estesa in modo eccessivo rispetto alle strutture ed alle capacità operative di tale ufficio giudiziario ed in modo incompatibile con l'obiettivo della massima semplificazione del processo, fissato dalla legge delega; che nel giudizio dinanzi alla Corte è inter venuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la non fondatezza della questione.

CONSIDERATO che l'art. 7 del codice di procedura penale stabilisce la competenza del pretore in attuazione della direttiva n. 12 dell'art. 2 della legge di delegazione n. 81 del 1987, laddove si prevede l'attribuzione alla cognizione per materia di quel giudice -- sulla base della pena edittale e della qualità del reato -- di tutte le contravvenzioni e dei delitti punibili con la multa o con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, nonchè di altri delitti da indicare specificamente; che la discrezionalità del legislatore delegato è delimitata dalle particolari previsioni della norma delegante, dal complesso dei criteri direttivi impartiti e dalle ragioni e finalità generali della delega. Quanto alla ripartizione della competenza per materia nel processo penale, il legislatore delegante ha tenuto conto della linea di tendenza volta ad aumentare il numero dei reati di competenza del pretore, considerando che nel nuovo processo è venuto meno l'ostacolo costituito dal cumulo, nel pretore stesso, delle funzioni requirenti e giudicanti, sicchè il criterio generale della semplificazione ha consentito di ricorrere ragionevolmente alla snellezza e celerità del processo pretorile per reati in relazione ai quali le indagini non siano con esso incompatibili; che, peraltro, la soluzione adottata dall'art. 7, comma 2, lettera m), del codice di procedura penale per la truffa aggravata non eccede i principi e criteri direttivi della delega. Nell'attribuire al pretore, già competente secondo il criterio quantitativo della pena per il reato di truffa (art. 640, primo comma, del codice penale), anche la competenza in ordine all'ipotesi di truffa aggravata (art. 640, secondo comma, del codice penale) non irragionevolmente è stata considerata prevalente, ai fini della semplificazione del processo, l'attrazione della competenza nell'ambito di quella già prevista per il reato base; che non risulta violato l'art. 25 della Costituzione, giacchè il principio del giudice naturale precostituito per legge richiede che la competenza degli organi giurisdizionali sia prede terminata e sottratta ad ogni possibilità di arbitrio mediante la precostituzione per legge del giudice in base a criteri fissati in anticipo e non in vista di singole controversie, mentre non assume rilievo la presunta maggiore o minore idoneità o qualificazione che possa essere rivendicata ovvero riconosciuta all'uno o all'altro organo della giurisdizione (sentenza n. 460 del 1994; ordinanza n. 130 del 1995); che l'attribuzione alla cognizione del pretore, anzichè a quella del tribunale, del delitto di truffa aggravata previsto dall'art. 640, secondo comma, del codice penale non è in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, giacchè la difesa si svolge e si sviluppa in un complesso di presenze attive ed efficaci dell'imputato, che lo accompagnano in ogni stato e fase del processo, qualunque sia il giudice chiamato a decidere in base alla ripartizione delle competenze (sentenza n. 72 del 1976); che, inoltre, nessuna violazione del diritto di difesa è determinata dalla mancanza dell'udienza preliminare nel procedimento dinanzi al pretore, essendo tra l'altro comunque consentita l'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, ai sensi dell'art. 129 del codice di procedura penale (ordinanza n. 22 del 1995); che non è violato il principio di eguaglianza, non essendo irragionevole la determinazione della competenza dei diversi organi di giurisdizione, operata dal legislatore nell'ambito di valutazioni di natura politica; che, infine, con riferimento all'art. 97, primo comma, della Costituzione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, pur potendo riferirsi anche agli organi dell'amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo, mentre è del tutto estraneo alla materia dell'esercizio della funzione giurisdizionale nel suo complesso (da ultimo ordinanze n. 39 del 1995 e n. 275 del 1994; sentenze n. 428 e n. 376 del 1993) e quindi ai criteri di ripartizione delle competenze tra organi giudiziari; che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, lettera m), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 76 e 97, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 giugno 1995.