Sentenza n. 246 del 1995

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SENTENZA N. 246

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     giudice Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 116, comma 13 e dell'art. 125, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso con ordinanza emessa il 6 ottobre 1994 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Bari nel procedimento penale a carico di Petruccelli David Fabio, iscritta al n. 753 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Petruccelli David Fabio, imputato del reato previsto dall'art. 116, comma 13, del codice della strada (di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285) per aver guidato l'11 maggio 1994 una moto con cilindrata pari a 250 centimetri cubi, essendo privo della patente di categoria A, ma in possesso di quella B conseguita in data successiva al 26 aprile 1988, il Pretore di Bari ha sollevato, in relazione all'art. 3 della Costituzione, questione di costituzionalità degli artt. 116, comma 13, e 125, comma 3, del citato decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). Ha osservato il giudice rimettente che il combinato disposto degli articoli predetti sanziona penalmente il comportamento di colui che guida un motociclo essendo munito della patente di categoria B, C o D rilasciata in una data successiva al 26 aprile 1988. Al contrario, è soggetto a una sanzione di tipo amministrativo chi - essendo munito di una patente appartenente alle categorie B, C o D - guida un autoveicolo per il quale è richiesta una categoria diversa da quella in suo possesso. Ne risulterebbe dunque una disparità di trattamento in presenza di situazioni analoghe, ancor più evidente se si pensi che, prima della novella introdotta dal decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), il caso di specie veniva sanzionato solo in via amministrativa.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la non fondatezza della questione sollevata. Le situazioni raffrontate nell'ordinanza di rimessione sono, ad avviso dell'Avvocatura, tra loro eterogenee e ben giustificano il diverso trattamento sanzionatorio. In particolare, la fattispecie prevista dall'art. 125, comma 3, che sanziona in via amministrativa la guida di un autoveicolo per il quale è richiesta una patente di categoria di versa da quella posseduta dal conducente, si riferisce soltanto alle patenti B, C e D che sono idonee esclusivamente per la guida dei veicoli a quattro ruote, onde la sanzione amministrativa punisce la guida per chi sia validamente abilitato per altro veicolo. In ragione della peculiare specializzazione richiesta per la guida dei motocicli, l'art. 125, comma 3, ha invece volutamente irrogato la sanzione penale a tutti i titolari di categoria di patenti diversa dalla A, ad eccezione di coloro i quali, in base alla precedente normativa, avevano già acquisito il diritto alla guida dei motocicli, loro riconosciuto (fino alla data del 26 aprile 1988) ai sensi dell'art. 129 del decreto legislativo n. 360 del 1993, che ha modificato l'art. 236 del decreto legislativo n. 285 del 1992. Per la guida dei motocicli occorre, insomma, una specializzazione che - se non conseguita direttamente - comporterebbe carenza di titolo abilitativo, sanzionata in modo più grave rispetto alle ipotesi, nell'ambito dello stesso genus, previste per i veicoli a quattro ruote.

Considerato in diritto

1. - Viene all'esame della Corte, perchè so spettata di violare il principio di uguaglianza, la previsione della sanzione penale, stabilita dall'art. 116, comma 13, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nei confronti del conducente munito di patente B, C o D, conseguita in una data posteriore al 26 aprile 1988, che sia trovato a guidare un motociclo per il quale è richiesta, invece, la patente A.

La denunciata disparità si configurerebbe in relazione alla previsione di una sanzione amministrativa stabilita dall'art. 125, comma 3, dello stesso codice per la guida di autoveicolo da parte di chi possegga titolo abilitativo diverso da quello prescritto.

2. - La questione è inammissibile. Compiendo una scelta opposta a quella del vecchio codice della strada, nel suo articolato originario, la legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale), indicava nella depenalizzazione il principio direttivo al legislatore delegato, ma con la previsione, <nelle ipotesi più gravi di comportamento, da cui derivi pericolo o pregiudizio per la circolazione e per la sicurezza individuale e collettiva, di nuovi reati e modifica delle sanzioni penali vigenti> (art. 2, lett. gg). La legge di delega conteneva, come primo criterio ispiratore, l'<adeguamento della disciplina alla normativa comunitaria> (art. 2 lettera a). Ma essendo, nel frattempo, entrata in vigore la legge 18 marzo 1988, n. 111 (Norme sulla istituzione della patente di guida comunitaria) occorreva, in sede di redazione del nuovo codice, tenerne conto sia per la disciplina della guida dei motoveicoli, con l'introduzione d'una prova pratica per il rilascio della patente A, sia per la regolamentazione delle patenti del medesimo tipo, conseguite in epoca anteriore all'entrata in vigore (24 aprile 1988) della citata legge. Il nuovo codice della strada ha quindi stabilito che <chiunque guida un veicolo per il quale è richiesta una patente di categoria diversa da quella della patente di cui è in possesso...è soggetto alla sanzione amministrativa> (art. 125, comma 3), di contro alla previsione del reato per colui che <guida autoveicoli o motoveicoli senza aver conseguito la patente di guida> (art. 116, comma 13). Se era chiara per la parte riguardante le sanzioni (amministrative) applicabili ai sensi del l'art. 125, comma 3, la posizione dei titolari di patenti diverse da quella del tipo A, non lo era per i diritti quesiti per la guida di motoveicoli, prima della legge n. 111 del 1988, dai titolari degli altri tipi di patenti di guida, avendo il nuovo codice, all'art. 231, espressamente abrogato quella legge.

In proposito, il decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285) ha, da un lato, precisato la sorte dei diritti quesiti, riconoscendo la possibilità di guidare i motocicli anche ai titolari di patenti B, e superiori, rilasciate prima del 26 aprile 1988 (art. 129 che ha modificato l'art. 236, comma 1, ultima parte del nuovo codice della strada di cui al decreto legislativo n. 285 del 1992) e, dall'altro, ha introdotto, una differenziazione nei trattamenti sanzionatori per coloro che guidano un veicolo con patente di tipo diverso da quella necessaria. L'art. 125, comma 3, del nuovo codice della strada ha visto infatti restringersi l'area della sanzione amministrativa alle ipotesi di guida con patente diversa soltanto per gli autoveicoli, con la esclusione dei motocicli. Da questa modifica conseguirebbe - secondo il giudice a quo - l'assoggettabilità alla sanzione penale dei possessori delle patenti di categoria B, C e D, facendo rientrare tali comportamenti nella generale previsione incriminatrice dell'art. 116, comma 13. La ricostruzione, avvalorata dalla dottrina, sembrerebbe ispirata dalla riconsiderazione delle peculiari caratteristiche tecniche dei motocicli (guida su due ruote), dalla loro diffusione, dalle difficoltà di guida nel traffico urbano e dalla notevole velocità che si può raggiungere in ambiti autostradali e assimilati.

3. - Non v'è, tuttavia, chi non veda la sproporzione del trattamento riservato a coloro che - per essere in possesso di patente del tipo diverso da quello prescritto - guidano un motociclo, per quanto di ampia cilindrata, rispetto a quello previsto per coloro che commettono una pari o più grave infrazione guidando mezzi pesanti. Ciononostante, la censura di irragionevolezza e disparità di trattamento - volta a conseguire la omogenizzazione delle previsioni sanzionatorie, riportando, sul piano amministrativo, anche per la condotta attualmente configurata come criminosa ai sensi dell'art. 116, comma 13, - non può trovare accoglimento. Il legislatore non è infatti tenuto a una scelta obbligata nel senso della depenalizzazione, in una materia delicata come quella in esame, restando libero - nella sua discrezionalità - anche di razionalizzare le previsioni normative, uniformandole tutte nel senso della sanzione penale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 116, comma 13 e dell'art. 125, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Bari con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/06/95.