Sentenza n. 244 del 1995

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 244

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 3 e 4, del decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero) convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 1994, n. 71, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1994 dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, nel giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 1993, iscritta al n. 602 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 22 marzo 1995 il giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

 

1.-- Nel corso del giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 1993, la Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, con ordinanza emessa il 28 giugno 1994 (Registro ordinanze n. 602 del 1994) ha sollevato, in riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 3 e 4, del decreto- legge 1° dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero) convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 1994, n. 71.

2.-- Premette in punto di fatto l'ordinanza che il rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 1993 reca: a) nel conto del patrimonio, al conto generale n. 2, la partita n. 4047 concernente il credito del Tesoro pari a 27.626,651 miliardi per quota capitale e 22,604 miliardi per interessi, nei confronti dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni per anticipazioni concesse negli esercizi fino al 31 dicembre 1993, a copertura dei disavanzi di gestione; b) nella gestione del bilancio, l'iscrizione, in competenza, al capitolo n. 8316 dello stato di previsione del Ministero del tesoro, dell'importo di 3.466,685 miliardi, per "anticipazioni all'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni a copertura del disavanzo di gestione", con disponibilità, sullo stesso capitolo, in conto residui, di un importo di 1.666,534 miliardi, che risultano interamente pagati; c) nello stato di previsione dell'entrata, il rimborso delle quote di capitale, da reputarsi ricompreso, "anche se con una quantificazione genericamente riferita ad una pluralità di fonti", nel capitolo n. 4555; nonchè l'entrata per interessi, previsti al capitolo n. 3231, per i quali il rendiconto 1993 registra riscossioni per 22,604 miliardi, a fronte di previsioni definitive di competenza pari a 25 miliardi. Quanto al consuntivo dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, il conto del patrimonio (conto generale n. 5) reca, alla partita n. 23, il debito di 30.518,977 miliardi nei confronti del Tesoro e, alle partite da 1 a 24, il debito di 572,764 miliardi per anticipazioni della Cassa depositi e prestiti. A tali partite va poi aggiunto "l'ammontare registrato in entrata dal rendiconto 1993 dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni (capitolo 610), legato appunto ad anticipazioni della Cassa depositi e prestiti a copertura del disavanzo, per 2.663,771 miliardi".

3.-- Ritenendo, in via preliminare, non controversa, alla stregua anche delle precedenti pronunce di questa Corte, la propria legittimazione a sollevare, in sede di giudizio di parificazione, questioni di legittimità costituzionale, l'ordinanza investe, anzitutto, la disposizione dell'art. 7, comma 3, secondo la quale le anticipazioni dello Stato all'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni "si intendono, a tutti gli effetti, quali trasferimenti definitivi", assumendo di non poter condividere le motivazioni addotte, per giustificare la mancata copertura, nella Relazione tecnica governativa che, a suo tempo, accompagnava il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 487 del 1993. Non sarebbe, in particolare, persuasiva la tesi secondo la quale il debito assunto dal Tesoro -- con la trasformazione delle anticipazioni in trasferimenti definitivi -- non costituisce un nuovo onere dal momento che era già iscritto nel conto patrimoniale dell'Amministrazione delle poste e telecomunicazioni e quindi concorreva, comunque, a formare il debito complessivo dello Stato, tanto che si tratterebbe di modificare solo l'appostazione del debitore. Infatti, attesa la distinzione tra bilancio statale e settore statale, entro il quale sono incluse la gestione di tesoreria e la gestione di altri enti e di amministrazioni o aziende autonome, "la rinuncia da parte dello Stato ad un credito nei confronti di altri enti inclusi nel settore statale, ma con contabilità e finanze non ricomprese nel bilancio dello Stato, non può considerarsi compensata all'interno dell'operazione di consolidamento dello stesso settore statale, le cui finalità si legano ai conti di cassa ed alla definizione degli obiettivi programmatici, ma non cancellano la necessaria distinzione fra bilancio e rendiconto dello Stato, da un lato, e, dall'altro, risultati di cassa del più ampio aggregato incluso dentro la nozione di settore statale".

Tale distinzione "è ancor più necessaria", nella specie, dal momento che l'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, trasformata in ente pubblico economico, "esce dallo stesso aggregato del"settore statale" per restare inclusa entro la più ampia nozione di settore pubblico". Le operazioni di consolidamento, d'altra parte, all'interno di questo più vasto aggregato, "descrittive" di obiettivi e andamenti complessivi della finanza pubblica, "non conducono alla irrilevanza dei rapporti e dei flussi che legano la gestione del bilancio dello Stato e le risultanze del rendiconto generale dello Stato con le gestioni e le risultanze a consuntivo delle gestioni degli altri enti inclusi nel settore pubblico". D'altro canto, la rinuncia al credito da parte del Tesoro, "neutrale" sotto il profilo macroeconomico, provoca "un effetto profondo sul conto del patrimonio dello Stato": pur non aumentando il fabbisogno di cassa, determina "la crescita dello stock del debito pubblico a carico della gestione del bilancio statale". La norma impugnata incide sul conto del patrimonio dello Stato, che con il conto del bilancio "costituisce parte integrante del rendiconto generale dello Stato", "dal momento che risulta posta nel nulla la partita n. 4047 del conto generale n. 2", con un conseguente squilibrio che "costituisce un nuovo onere che avrebbe dovuto essere coperto da una specifica norma", ai sensi dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Quanto al conto del bilancio viene meno l'entrata per gli interessi da corrispondersi da parte dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni al Tesoro sul capitolo n. 3231 dello stato di previsione dell'entrata.

4.-- A proposito, poi, del comma 4 dello dello stesso art. 7, la Corte remittente osserva che questa disposizione, nell'attribuire al Tesoro l'onere del rimborso delle anticipazioni concesse all'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni dalla Cassa depositi e prestiti, incide sul conto del patrimonio dello Stato, tanto che "la legge si dà carico di formulare una norma di copertura" nell'art. 15, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 487 del 1993. Rilevato, tuttavia, che l'onere per la copertura dei disavanzi pregressi dell'Amministrazione postale, assunto dal Tesoro, "ha certamente natura di onere non comprimibile, assimilabile, per quanto attiene alle modalità di copertura, alle spese obbligatorie", si osserva che "la forma di copertura prevista -- in annualità ricavate all'interno delle risorse di bilancio in precedenza destinate alle anticipazioni all'Amministrazione postale -- appare in contrasto con il disposto dell'art. 11-ter, comma 1, lettera c) della legge n. 468 del 1978, come modificata dalla legge n. 362 del 1988"; "norma, quest'ultima, i cui precetti possono essere considerati, sulla base di un prudente apprezzamento delle concrete fattispecie, come integrativi dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione". Infatti aumentando, a carico di futuri esercizi, la quota di oneri non comprimibili, si accresce la rigidità del bilancio e "diviene maggiore il rischio che, in via generale, deriva dal restringersi dei margini di copertura per gli esercizi successivi al primo desumibili dal prospetto di copertura che costituisce parte integrante della legge finanziaria 1994".

5.-- In punto di rilevanza, il giudice remittente -- muovendo dalle motivazioni della sentenza n. 142 del 1968, con le quali questa Corte ha dichiarato inammissibili per manifesta irrilevanza questioni proposte in sede di giudizio di parificazione con riferimento alla conformità di talune leggi sostanziali di spesa al precetto dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione -- prospetta "due diversi ordini di argomentazioni" in base ai quali il problema andrebbe riconsiderato: a) la diversità delle fattispecie oggetto di giudizio, trattandosi ora di disposizioni "che direttamente incidono sul conto del patrimonio dello Stato alterandone le risultanze e modificandone, in senso peggiorativo, gli equilibri"; b) il diverso contesto normativo nel quale -- dopo le leggi n. 468 del 1978, n. 362 del 1988, e n. 20 del 1994 e secondo l'articolazione delle varie fasi del procedimento di bilancio riconosciute anche da questa Corte nella sentenza n. 2 del 1994 -- si colloca il giudizio di parificazione che riguarda "gli equilibri complessivi della gestione, quali sono espressi dal conto del bilancio e del patrimonio; equilibri da porre in relazione al sistema dei vincoli e limiti posti dalla legge finanziaria", donde la rilevanza, ai fini del decidere di disposizioni legislative che, come nella specie, "incidono direttamente ed alterano gli equilibri del rendiconto generale dello Stato". Rilevato, infine, che il giudizio di parificazione costituisce, per il 1993, "la prima occasione utile" per l'esame dei disavanzi pregressi della Amministrazione postale, dal momento che nel corso dell'esercizio "non sono stati sottoposti a controllo atti concernenti la concessione di anticipazioni del Tesoro o della Cassa depositi e prestiti", si osserva che, venuto meno, con la legge n. 20 del 1994, il controllo preventivo o successivo di legittimità su tutti gli atti di pagamento dello Stato, le "attività di verifica e di riscontro", a consuntivo della gestione, "lasciano impregiudicato un più ampio spazio di valutazione della legittimità dei presupposti della spesa, che trova espressione, fra l'altro, nella fase per sua natura conclusiva della deliberazione delle Sezioni riunite sul rendiconto generale dello Stato".

6.-- È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni vengano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate. Rammentato che la Corte costituzionale ha già in passato dichiarato inammissibili per manifesta irrilevanza questioni sollevate dalla Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione in ordine a leggi diverse da quelle che regolano il funzionamento dello stesso giudice contabile, si osserva che i principi allora enunziati "appaiono tuttora validi non avendo i contenuti sostanziali del rendiconto subito alcun mutamento per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 468 del 1978 e successive modificazioni e dalla legge n. 20 del 1994". Dopo aver ricordato che la scelta di trasformare l'Amministrazione postale in ente pubblico economico è apparsa come un ottimale raccordo tra "il modello privatistico dell'impresa" e "le finalità pubbliche che lo Stato intende perseguire", in un settore cui attribuisce primaria importanza nell'interesse della collettività, l'Avvocatura osserva che la tesi secondo la quale lo Stato, con il mancato recupero delle anticipazioni, avrebbe rinunciato ad un credito nei confronti dell'Amministrazione postale è fondata sul presupposto che Stato e Amministrazione postale siano "due soggetti distinti".

Un presupposto non condivisibile, dal momento che detta amministrazione "era pur sempre un organo di amministrazione diretta dello Stato" e che, "quindi, in tale specifico contesto, la posizione di debitore e di creditore coincide nello stesso soggetto". Osservato che "l'appostazione dei debiti dell'Amministrazione postale in voce di bilancio separata da quella riferibile al bilancio statale rispondeva ad un'esigenza meramente contabile" (il bilancio delle aziende autonome è allegato al bilancio del relativo Ministero), si sostiene che l'accollo al Tesoro del debito relativo al disavanzo di gestione dell'Amministrazione postale non comporta un maggior indebitamento, poichè il consolidamento dei conti tra ex Amministrazione e Tesoro porta "alla elisione delle due poste", tenendo, oltretutto, conto del fatto che il credito iscritto nel conto del patrimonio per le anticipazioni stesse "rappresenta la sommatoria dei conferimenti disposti nel corso di diversi esercizi e per i quali è già stata disposta a suo tempo la copertura finanziaria". Quanto ai mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti, "l'accollo al Tesoro comporta esclusivamente il cambio di appostazione del debitore nei conti patrimoniali della Cassa DD.PP., da Amministrazione poste e telecomunicazioni a Ministero del tesoro". "Ben diverso è l'oggetto del disposto dell'art. 15, comma 1, della medesima legge n. 71 del 1994", richiamato a sostegno della mancata copertura: si tratta "di un accollo da parte dello Stato di un onere finanziario quale quello del rimborso annuale delle quote di ammortamento del debito, per il quale sussiste copertura di presunti oneri". Nel complesso, "a fronte della eliminazione di un credito per lo Stato si riscontra una corrispondente eliminazione di un debito per l'Azienda ora trasformata in ente", con effetti compensativi che lascerebbero inalterata la consistenza dello stesso patrimonio pubblico.

Considerato in diritto

 

1.-- Con l'ordinanza in epigrafe, le Sezioni riunite della Corte dei conti hanno sollevato, nel corso del giudizio sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio 1993, questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, dell'art. 7, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 487 del 1993, concernente la trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e la riorganizzazione del Ministero, convertito nella legge n. 71 del 1994. Secondo il giudice a quo, il comma 3 della disposizione censurata, nel prevedere che "le anticipazioni dello Stato all'Amministrazione delle poste e telecomunicazioni a pareggio dei bilanci fino a tutto l'anno 1993 si intendono, a tutti gli effetti, quali trasferimenti definitivi", contrasterebbe con il predetto articolo della Costituzione, per non essere stata prevista "alcuna forma di copertura".

Sempre con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, colliderebbe altresì il comma 4 che, nell'attribuire al Ministero del tesoro l'onere del rimborso delle anticipazioni concesse all'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni dalla Cassa depositi e prestiti a pareggio dei bilanci fino a tutto il 1993, troverebbe una copertura -- e cioè quella prevista all'art. 15, comma 1, del medesimo decreto-legge n. 487 del 1993 - - contrastante con l'art. 11-ter, comma 1, lettera c), della legge n. 468 del 1978, norma quest'ultima i cui precetti, ad avviso del giudice remittente, "possono essere considerati, sulla base di un prudente apprezzamento delle concrete fattispecie, come integrativi" del menzionato articolo della Costituzione.

2.-- Va esaminata, preliminarmente, l'eccezione di inammissibilità delle questioni, sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato, in riferimento alle precedenti pronunzie di questa Corte che hanno già affrontato il problema della facoltà della Corte dei conti di proporre incidente di legittimità costituzionale in occasione del giudizio da essa svolto annualmente sul rendiconto generale dello Stato, sia sotto il profilo della legittimazione che sotto quello della rilevanza delle questioni. Sotto il primo aspetto, è da ricordare che la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente ammesso, in linea di principio, che la Corte dei conti abbia titolo a sollevare questioni di legittimità costituzionale, nel corso del giudizio di cui trattasi, considerato che esso si svolge con le formalità della giurisdizione contenziosa, con la partecipazione del Procuratore generale, in contraddittorio con i rappresentanti dell'amministrazione e si conclude con una pronunzia adottata in esito a pubblica udienza (sentenze nn. 165 del 1963, 121 del 1966, 142 e 143 del 1968). Tuttavia, questa Corte -- pur ravvisando nel giudizio sul rendiconto generale dello Stato la presenza delle condizioni ipotizzate dall'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, per la proposizione davanti ad essa di questioni di legittimità costituzionale -- ha più volte negato che queste possano investire la legge di bilancio o le leggi di spesa, attesa la loro irrilevanza ai fini del decidere, in relazione al peculiare ambito di cognizione affidato alla Corte dei conti, consistente essenzialmente nel verificare -- a mente dell'art. 39 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 -- se le entrate riscosse e versate ed i resti da riscuotere e da versare, risultanti dal rendiconto redatto dal Governo, siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dei conti dai singoli ministeri e se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio concordino con le scritture tenute o controllate dalla stessa Corte, nonchè nell'accertare i residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di impegno e alle scritture tenute dalla Corte dei conti.

3.-- Detta giurisprudenza, il cui ultimo precedente risale ordinanza n. 139 del 1969, rispecchiava l'ordinamento contabile e la disciplina del bilancio dello Stato contenuti nelle leggi in vigore prima della riforma addotta in subiecta materia dalla legge 5 agosto 1978, n. 468 (successivamente modificata dalla legge 23 agosto 1988, n. 362). Occorre considerare che, dopo la novella del 1978, il bilancio dello Stato ha subito una profonda trasformazione che, da strumento descrittivo di fenomeni di mera erogazione finanziaria, lo ha portato a connotarsi essenzialmente come mezzo di configurazione unitaria degli obiettivi economico- finanziari, nel quadro degli indirizzi socio-economici elaborati dal Governo ed approvati dal Parla mento, sicchè esso si pone ormai come strumento di realizzazione di nuove funzioni di governo (come la programmazione di bilancio, le operazioni di tesoreria, ecc.) e più in generale di politica economica e finanziaria. Tanto la Corte ha già avuto occasione di rilevare quando (sentenza n. 2 del 1994) ha posto in rilievo che la nuova articolazione della disciplina di bilancio si compone di una pluralità di provvedimenti legislativi, tra loro complementari e concorrenti, non senza evidenziare, altresì, che essa persegue, tra le altre, la finalità di meglio programmare, definire e controllare le entrate e le spese pubbliche, per assicurare l'equilibrio finanziario e la sostanziale osservanza, in una proiezione temporale che supera l'anno, dei principi enunciati dall'art. 81 della Costituzione. In questo contesto si collocano non solo la legge di bilancio, intesa come approvazione del bilancio annuale e pluriennale, ma anche la legge finanziaria che, nell'attuale disciplina, definisce le grandezze e le compatibilità economico-finanziarie nonchè le determinazioni quantitative, per gli anni considerati, degli stanziamenti e delle riduzioni di spesa. La nuova configurazione ed articolazione assunta dal bilancio preventivo, dopo la riforma, trova, inoltre, un fondamentale elemento di caratterizzazione nei c.d. risultati differenziali costituenti, nel loro insieme, il c.d. sistema dei saldi (risparmio pubblico, indebitamento o accreditamento netto, saldo netto da finanziare o da impiegare, ricorso al mercato) che, per effetto di quanto disposto dall'art. 6, ultimo comma, della legge n. 468 del 1978, vanno indicati distintamente nel quadro generale riassuntivo, con riferimento sia alle dotazioni di competenza che a quelle di cassa, in quanto espressivi degli equilibri complessivi della gestione, visti nella fase previsionale. Nella nuova fisionomia assunta dal bilancio, la funzione di riscontro, che costituisce l'essenza del giudizio di parificazione, attiene perciò anche alla verifica degli scostamenti che, negli equilibri stabiliti nel bilancio preventivo, si evidenziano in sede consuntiva, coerentemente con la previsione del primo comma dell'art. 39 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, alla luce dell'interpretazione in chiave sistematica di detta norma nel più recente quadro ordinamentale della materia. Questa norma, nell'indicare l'oggetto del giudizio sul rendiconto generale dello Stato, precisa, infatti, che la Corte dei conti in tale occasione confronta i risultati del rendiconto stesso, tanto per le entrate, quanto per le spese, "ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio", sì da verificare, in definitiva, i modi e la misura in cui le previsioni del bilancio stesso sono state adempiute ed i limiti in esso prestabiliti rispettati nel corso dell'esercizio. Non è dubbio, invero, che, tuttora, il giudizio di parificazione mantenga il suo oggetto, consistente nel riscontro e nella verifica, rispetto alla legge di bilancio, delle risultanze del rendiconto generale, composto, come si evince anche dall'art. 22 della legge n. 468 del 1978, dal conto del bilancio e da quello generale del patrimonio. Ma, al tempo stesso, non può ignorarsi il rilievo che il raffronto fra dati previsionali e consuntivi viene ad avere nel nuovo contesto normativo, sicchè la decisione da assumere non può non vertere anche sulla verifica, a consuntivo, del rispetto degli accennati equilibri, in relazione, tra l'altro, ai vincoli posti dalla legge finanziaria. Di recente, in relazione alle nuove disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti, emanate con legge 14 gennaio 1994, n. 20, questa Corte ha rilevato come la prassi giurisprudenziale e le leggi di attuazione della Costituzione, oltre ad estendere l'ambito del controllo esercitato dalla stessa Corte dei conti, interpretandone le funzioni in senso espansivo, come organo posto al servizio dello Stato-comunità e non già soltanto dello Stato-apparato, ne abbiano esaltato "il ruolo complessivo quale garante imparziale dell'equilibrio economico finanziario del settore pubblico" (sentenza n. 29 del 1995). Orbene, è proprio in relazione alla verifica degli equilibri cui attende l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, che il giudice remittente lamenta che la legge denunciata -- irrispettosa, a suo avviso, dei vincoli di copertura imposti dalla menzionata norma della Costituzione -- abbia comportato la cancellazione di taluni capitoli del conto del bilancio e di talune partite del conto del patrimonio dello Stato, incidendo così, negativamente, sulle risultanze a consuntivo degli equilibri stessi. In conclusione questa Corte è dell'avviso che, là dove vengano denunciate, per contrarietà con l'art. 81, quarto comma, della Costituzione, leggi che determinino veri e propri effetti modificativi dell'articolazione del bilancio dello Stato, per il fatto stesso di incidere, in senso globale, sulle unità elementari dello stesso, vale a dire sui capitoli, con riflessi sugli equilibri di gestione disegnati con il sistema dei risultati differenziali di cui all'art. 6 della legge n. 468 del 1978, le questioni sollevate non possono non assumere rilevanza ai fini della decisione di competenza della Corte dei conti, donde l'ammissibilità delle medesime.

4.-- Alla stregua del criterio testè enunciato, in ordine ai limiti di rilevanza delle questioni sollevate dalla Corte dei conti in sede di giudizio di parificazione, la prima delle questioni è da ritenere inammissibile. Essa concerne, come già detto, l'art. 7, comma 3, del decreto-legge n. 487 del 1993 che, nel quadro di trasformazione dell'Amministrazione postale in ente pubblico economico e successivamente in società per azioni, si dà carico di definire i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, prevedendo che le anticipazioni concesse dallo Stato a pareggio dei bilanci dell'Amministrazione predetta, fino a tutto l'anno 1993, si intendono, a tutti gli effetti, quali trasferimenti definitivi, così violando, secondo la prospettazione del remittente, l'art. 81, quarto comma, della Costituzione. Come risulta dall'allegato 3 alla Relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di conversione del decreto-legge di cui trattasi, nelle convenzioni con le quali tali anticipazioni furono a suo tempo concesse, si fece "riserva di concordare tempi e modalità di rimborso del capitale, che tuttavia non hanno mai trovato applicazione" sicchè "i debiti non sono mai andati in ammortamento". Considerati i termini di svolgimento della vicenda attinente ai rapporti finanziari pregressi fra lo Stato e l'Amministrazione postale, come emergono da detta Relazione, è ragionevole, in mancanza di elementi contrari, presumere che le anticipazioni stesse, così come deduce l'Avvocatura dello Stato nella memoria, abbiano a suo tempo trovato copertura negli esercizi in cui furono concesse, essendo comprese nella manovra di bilancio e negli equilibri definiti per ciascun esercizio. Del su ricordato assetto dei rapporti finanziario- contabili tra conti dello Stato e dell'Amministrazione postale parrebbe, del resto, avvertito lo stesso giudice remittente il quale, evidentemente non a caso, concentra la sua attenzione sul conto del patrimonio dello Stato, lamentando che risulti "posta nel nulla" la partita n. 4047 del conto generale n. 2 -- avente ad oggetto il credito del Tesoro nei confronti dell'Amministrazione postale -- con conseguente squilibrio che costituirebbe, a suo avviso, "un nuovo onere che avrebbe dovuto essere coperto da una specifica norma", ai sensi del predetto art. 81, quarto comma, della Costituzione. Ma la Corte è dell'avviso che il vincolo nascente da detta norma -- secondo la quale "ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte" -- si connette alla nozione stessa di legge di spesa, costituzionalizzando un criterio già rinvenibile nella normativa sulla contabilità generale dello Stato, e cioè quello della c.d. copertura finanziaria, che riguarda essenzialmente il conto del bilancio: a quest'ultimo viene infatti imposto l'equilibrio (v. sentenze nn. 1 del 1966, 12 del 1987, 384 del 1991), da conseguire mercè un adeguamento dei mezzi finanziari rispetto alle nuove maggiori spese ovvero -- come risulta dall'art. 11- ter, comma 1, della legge n. 468 del 1978, modificata dalla legge n. 362 del 1988 -- alle minori entrate. Va da sè che le correlazioni esistenti fra conto del bilancio e conto del patrimonio, espresse dai c.d. punti di concordanza fra le due contabilità, non rendono insensibili le partite del secondo alle variazioni che avvengono relativamente ai capitoli del primo, talchè anche l'osservanza o meno, nella gestione finanziaria, dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione è suscettibile di ripercuotersi sul medesimo conto del patrimonio, come del resto la trasformazione di cespiti patrimoniali in entrate finanziarie è tale da riflettere sul bilancio le modificazioni attinenti al patrimonio (v. sentenza n. 2 del 1994). È, però, da escludere che il conto del patrimonio - - fra le cui cause modificative vanno distinte quelle correlate con la gestione del bilancio da quelle indipendenti in quanto non trovano occasione di rilevazione in chiave di gestione finanziaria -- possa ritenersi direttamente astretto dal vincolo di cui alla norma costituzionale e che possa assumersi violazione di quest'ultima quando si denunci, come nella specie, l'eliminazione di una partita attiva del conto patrimoniale -- segnatamente quella concernente il credito maturato nei confronti dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni -- senza evidenziare una corrispondente eliminazione di un capitolo di entrata nel conto del bilancio. Tutto ciò a prescindere dalla problematica, sulla quale risulta non necessario soffermarsi, relativa al modo in cui vengono a configurarsi i rapporti di credito e debito fra lo Stato e le amministrazioni dotate di peculiari caratteristiche di autonomia, nell'ambito dell'ordinamento generale della finanza pubblica e della distinzione fra settore statale e settore pubblico allargato.

5.-- Non fondata è, invece, la questione concernente il venir meno, per effetto dell'art. 7, comma 3, degli interessi versati al Tesoro (0,10% annuo) per le anticipazioni in parola, in quanto, come osserva la Relazione tecnica, la minore entrata trova copertura "all'interno del trasferimento del Tesoro a pareggio del disavanzo dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni".

6.-- Non fondata è, del pari, la questione di legittimità relativa all'art. 7, comma 4, che accolla al Tesoro l'onere del rimborso delle anticipazioni concesse alla medesima Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni dalla Cassa depositi e prestiti a pareggio dei bilanci fino a tutto il 1993. L'ordinanza di rimessione, rilevato che la copertura dell'onere in questione viene rinvenuta dall'art. 15, comma 1, del medesimo testo legislativo, in annualità ricavate all'interno delle risorse di bilancio in precedenza destinate alle anticipazioni all'Amministrazione postale, prospetta l'illegittimità del menzionato art. 7, comma 4, per contrasto con il disposto dell'art. 11-ter, comma 1, lettera c) della legge n. 468 del 1978 che, tra le forme ammesse, prevede che la copertura finanziaria delle leggi che importino nuove o maggiori spese possa avvenire "a carico o mediante riduzione di disponibilità formatesi nel corso dell'esercizio sui capitoli di natura non obbligatoria, con conseguente divieto nel corso dello stesso esercizio di variazioni volte ad incrementare i predetti capitoli". Detta disposizione, i cui precetti, ad avviso del remittente, "possono essere considerati, sulla base di un prudente apprezzamento delle concrete fattispecie, come integrativi dell'art. 81, quarto comma, della Costituzione", risulterebbe violata in quanto l'onere per la copertura dei disavanzi pregressi dell'Amministrazione postale, assunto dal Tesoro, avrebbe "certamente natura di onere non comprimibile, assimilabile per quanto attiene alla modalità di copertura, alle spese obbligatorie". Va osservato che il giudice remittente, nel prospettare conclusivamente la questione di legittimità costituzionale, denuncia espressamente solo il predetto art. 7, comma 4, e non anche l'art. 15, comma 1, che, in ragione dell'inadeguatezza della copertura apprestata, concorrerebbe con l'altra norma a concretare la violazione del precetto costituzionale. Nell'esaminare la questione, la Corte è dell'avviso che si debba far riferimento ad ambedue le disposizioni che costituiscono il fondamento normativo della questione prospettata, che concerne perciò anche l'art. 15, comma 1. In tal senso va, pertanto, corretta l'insufficiente indicazione delle disposizioni di legge sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale, dal momento che i termini della questione risultano con sufficiente chiarezza nel senso ora indicato (v., da ultimo, sentenza n. 188 del 1994). Nel merito la Corte osserva come, anche a dare per scontate talune premesse, invero non del tutto incontrovertibili, dalle quali muove il giudice a quo, non può ignorarsi che il fine della disposizione di cui all'art. 11-ter, comma 1, lettera c) della legge n. 468 del 1978 è quello di evitare surrettizie scoperture attraverso l'utilizzo di disponibilità che, attenendo a spese obbligatorie, impongano poi una necessaria reintegrazione in corso di esercizio. Ma la stessa, per la ratio che la ispira, non è tale da impedire, una volta che il titolo di una determinata spesa sia venuto meno, che si possa procedere ad un differente utilizzo delle relative disponibilità. Del resto, lo stesso art. 11-ter, comma 1, lettera b) prevede che la copertura delle nuove spese possa rinvenirsi anche mediante riduzione di precedenti autorizzazioni legislative di spesa, come a ben vedere si verifica nel caso in questione, a seguito del venir meno del capitolo di bilancio relativo alle anticipazioni all'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 3, del decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 1994, n. 71, nella parte in cui comporta il venir meno del credito del Tesoro nei confronti dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, iscritto alla partita n. 4047 del conto del patrimonio dello Stato del 1993, sollevata dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, in riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 3, del decreto- legge 1° dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 1994, n. 71, nella parte in cui comporta il venir meno degli interessi versati al Tesoro in relazione al credito in parola, sollevata dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, in riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 4, e 15, comma 1, del decreto-legge 1° dicembre 1993, n. 487 (Trasformazione dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico e riorganizzazione del Ministero), convertito, con modificazioni, nella legge 29 gennaio 1994, n. 71, sollevata, in riferimento all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 14 giugno 1995.