Sentenza n. 237 del 1995

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SENTENZA N. 237

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 675 del codice di procedura civile, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 6 ottobre 1994 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Guglieri Domenico e il fallimento della s.p.a. G.F.P., iscritta al n. 757 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1995; 2) ordinanza emessa il 14 ottobre 1994 dal Tribunale di Pinerolo nel procedimento civile vertente tra Stilli Antonietta e il Conservatore dei registri immobiliari di Pinerolo ed altri, iscritta al n. 758 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visti l'atto di costituzione del fallimento della s.p.a. G.F.P., nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 3 maggio 1995 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di un giudizio - avente ad oggetto la declaratoria dell'inefficacia del sequestro conservativo per tardiva introduzione della causa di merito e tardiva esecuzione del sequestro - vertente tra Guglieri Domenico ed il fallimento della s.p.a. G.F.P., il Tribunale di Milano, con ordinanza emessa il 6 ottobre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 675 del codice di procedura civile nella parte in cui non prevede che il termine per l'esecuzione del sequestro inizi a decorrere dalla data del deposito del provvedimento e non, invece, dalla sua comunicazione. Osserva il giudice a quo che il legislatore del 1990, con l'introduzione dell'art. 669-octies del codice di procedura civile, ha previsto espressamente che il termine per l'inizio del giudizio di merito, nel caso di pronuncia del provvedimento positivo fuori udienza, decorra dalla comunicazione a cura della cancelleria. Tuttavia, rileva il giudice rimettente, non appare possibile estendere analogicamente tale disciplina al caso previsto dall'impugnato art. 675 del codice di procedura civile, non trattandosi di colmare una lacuna normativa ed ostandovi il dato letterale della norma impugnata. Conclude pertanto il giudice a quo, che, avendo la stessa Corte costituzionale riconosciuto l'esistenza di un principio generale secondo il quale i termini di decorrenza (tanto se riferiti ai gravami, quanto ad attività processuali da compiere a pena d'inefficacia) scattano solo dal momento in cui alla parte onerata è data formale comunicazione della esistenza del provvedimento da impugnare o da eseguire, l'art. 675 del codice di procedura civile non può sottrarsi al sindacato di costituzionalità, sia con riferimento all'art. 24 che all'art. 3 della Costituzione, atteso che la mancata riforma dell'art. 675 del codice di procedura civile rende irragionevolmente meno agevole il diritto di difesa del sequestrante rispetto a colui che ricorra ad un qualsiasi altro procedimento cautelare disciplinato dagli artt. 669-octies e novies del codice di procedura civile.

2. - Identica questione di costituzionalità è stata sollevata dal Tribunale di Pinerolo con ordinanza emessa il 14 ottobre 1994 nel corso di un procedimento civile vertente tra Stilli Antonietta ed il Conservatore dei registri immobiliari di Pinerolo avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia del sequestro effettuato oltre il termine previsto dall'art. 675 del codice di procedura civile.

3. - In entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la manifesta infondatezza della questione. Ha in particolare osservato la difesa erariale che gli argomenti utilizzati dalla stessa Corte costituzionale per respingere identica questione, devono ritenersi ancora validi nonostante la sopravvenuta disciplina.

4.- Fuori termine si è costituito il fallimento della s.p.a. G.F.P., insistendo per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Milano.

Considerato in diritto

 

1. - La questione sottoposta dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Pinerolo all'esame della Corte è se l'art. 675 del codice di procedura civile, nella parte in cui prevede che il termine per l'esecuzione del sequestro cominci a decorrere dal deposito del provvedimento cautelare anzichè da quello della sua formale comunicazione, sia in contrasto: - con l'art. 3 della Costituzione in quanto discrimina irragionevolmente il sequestrante rispetto a colui che ricorra ad altre misure cautelari in ordine alle quali, ai sensi dell'art. 669-octies, il termine per l'inizio del giudizio di merito decorre dalla formale comunicazione del provvedimento, se la pronuncia è avvenuta fuori udienza; - con l'art. 24 della Costituzione in quanto il diritto di difesa del sequestrante viene reso meno agevole imponendosi ad esso l'eccessivo onere di informarsi continuamente in cancelleria dell'avvenuto deposito del provvedimento cautelare.

2. - Deve anzitutto dichiararsi l'inammissibilità dell'atto di costituzione del fallimento della s.p.a. G.F.P. in quanto depositato il 12 aprile 1995 oltre il termine di venti giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'ordinanza di rimessione avvenuta il 4 gennaio 1995.

3. - Vanno inoltre riunite in un solo giudizio le ordinanze emesse dal Tribunale di Milano e dal Tribunale di Pinerolo, in quanto relative alla stessa questione.

4. - Sempre con riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, la questione era già stata sollevata con ordinanza 1° ottobre 1982 dal Tribunale di Palermo, e ritenuta da questa Corte manifestamente infondata con ordinanza 23 marzo 1988 n. 386 per le seguenti considerazioni: a) che, nell'istituire un termine di efficacia di trenta giorni del provvedimento di sequestro, alla cui scadenza cessa l'autorizzazione ad eseguire il sequestro stesso, il legislatore ha giustamente posto, a carico della parte interessata alla misura cautelare, un preciso onere di diligenza strettamente connesso con la natura di detta misura che esige una rapida esecuzione; b) che l'adempimento di tale onere di diligenza implica preliminarmente, per un evidente nesso logico, che il sequestrante - nella ipotesi in cui il provvedimento venga emesso fuori dall'udienza - segua lo svolgimento della procedura da lui messa in moto e venga così a conoscenza dell'avvenuto deposito del provvedimento richiesto; c) che la previsione di un attivo impegno della parte istante nell'informarsi sull'esito del procedimento da essa promosso, non può certo considerarsi intrinsecamente irrazionale perchè intimamente connesso alla sua richiesta, sicchè non è configurabile alcuna violazione del diritto di difesa.

5. - In realtà la questione oggetto dell'ordinanza del 1982 non è del tutto identica a quelle ora sollevate dai Tribunali di Milano e di Pinerolo, dal momento che con la precedente si denunziava anche l'ingiustificata disparità di trattamento a seconda che il sequestro fosse stato pronunciato in udienza o fuori udienza, peraltro con un'arbitraria discriminazione delle parti in relazione al fatto del tutto casuale della maggiore o minore tempestività della comunicazione. Inoltre, a notevole distanza di tempo, gli attuali giudici rimettenti ravvisano nuovi elementi sopravvenuti (in particolare la legge n. 353 del 1990 di riforma del codice di procedura civile) che giustificano una rivisitazione del problema.

6. - Il Tribunale di Milano non ignora che, nel vigore della disciplina anteriore alla Novella del 1990, per un verso la Corte di cassazione riteneva che il termine di trenta giorni per l'esecuzione del sequestro decorresse dal momento del deposito del provvedimento in cancelleria, e per altro verso che la Corte Costituzionale aveva dichiarato - come già ricordato - manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 675 del codice di procedura civile in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Rileva ancora il giudice a quo che alcuni interpreti della nuova disciplina superano la disposizione del menzionato art. 675 ritenendo possibile l'applicazione - anche all'ipotesi del termine per l'esecuzione del sequestro - del nuovo criterio di decorrenza previsto dall'ultimo comma dell'art. 669-octies, e cioè "dalla pronuncia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione". Il Tribunale di Milano tuttavia esclude la possibilità di far luogo a tale applicazione in via meramente interpretativa, e ritiene la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'art. 675 del codice di procedura civile, alla luce delle sopravvenute norme del codice di procedura civile, di altri principi desumibili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e di alcuni orientamenti della dottrina e della giurisprudenza di merito. In particolare si osserva che, se la ratio legis della novellazione in materia di procedimenti cautelari è stata quella di una razionalizzazione e di una uniformità di tutti i procedimenti stessi, e se l'orientamento della Corte costituzionale appare chiaramente indirizzato verso il principio generale secondo il quale i termini per gravami o altre attività processuali da compiere a pena di inefficacia scattano solo dal momento in cui alla parte "onerata" è data formale comunicazione dell'esistenza del provvedimento giudiziario da impugnare o da eseguire, appare inspiegabile la mancata riforma dell'art. 675; la disposizione, pertanto, risulterebbe in contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento rispetto alla disciplina di altri procedimenti cautelari, ai quali si applicano le regole dettate circa la decorrenza dei termini dall'art. 669 octies e novies del codice di procedura civile; b) con l'art. 24 della Costituzione in quanto rende meno agevole il diritto di difesa del sequestrante rispetto ai ricorrenti di altri procedimenti, che non hanno l'onere di informarsi quotidianamente in cancelleria sull'avvenuto deposito del provvedimento.

7. - Il Tribunale di Pinerolo solleva la stessa questione di costituzionalità osservando in particolare: a) "che l'attuale formulazione dell'art. 669-octies, comma 3, del codice di procedura civile denota come il legislatore abbia inteso assicurare l'esercizio del diritto di difesa sì da evitare l'inefficacia dei provvedimenti cautelari pronunciati fuori udienza qualora venga omessa la tempestiva instaurazione del giudizio di merito da parte di chi non è stato informato dell'avvenuta pronuncia di detti provvedimenti, di modo che non sussiste più un generale onere di diligenza che impone alla parte interessata di attivarsi per conoscere la decisione del giudice onde evitare decadenze"; b) "che la legge 26 novembre 1990, n. 353 ha disciplinato in modo unitario i procedimenti cautelari e che la necessità di rapida esecuzione sussiste tanto per i sequestri quanto per le altre misure cautelari (in particolare i provvedimenti di urgenza ex art. 700 del codice di procedura civile), con la conseguenza che la disposizione dettata dall'art. 675 del codice di procedura civile per i soli sequestri non pare più avere oggettiva giustificazione e può così ravvisarsi un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi intenda eseguire le diverse misure cautelari".

8. - La questione non è fondata. È pur vero che la legge 26 novembre 1990, n. 353, inserisce nel Capo III del libro IV del codice di procedura civile una Sezione prima, contenente norme generali relative a tutti i procedimenti cautelari (tra le quali quella sulla nuova decorrenza del termine per l'inizio della causa di merito); e che tali disposizioni si dichiarano (nell'art. 669-quaterdecies) applicabili anche ai provvedimenti della Sezione seconda (relativa al sequestro), mentre solo per altri provvedimenti sono applicabili "in quanto compatibili"; ma ciò non toglie che, per la disomogeneità delle varie misure cautelari, nulla impedisca al legislatore di modulare diversamente alcuni aspetti dei vari procedimenti con speciali norme. In effetti non uniformi sono le discipline relative ai vari tipi di sequestro, e - per quanto qui interessa - diverse sono le norme che concernono le distinte ipotesi di inefficacia del provvedimento di sequestro: a) quella del mancato inizio del procedimento di merito nel termine perentorio che, per l'art. 669- octies, ultimo comma, "decorre dalla pronunzia dell'ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua comunicazione"; b) e l'ipotesi di mancata esecuzione del provvedimento stesso nel termine decorrente in ogni caso dalla pronuncia. Se quindi non si ravvisano elementi di ingiustificato trattamento, occorre, piuttosto, verificare se la diversa disciplina che il riformatore del 1990 ha voluto mantenere per questa seconda ipotesi di termine sollecitatorio risulti irragionevole o contrastante con altri principi costituzionali.

9. - In proposito l'ordinanza di rimessione fa leva su alcuni principi affermati anche recentemente da questa Corte, tra i quali vanno particolarmente considerati i seguenti: a) anche se il diritto di difesa può variamente atteggiarsi in funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento e delle esigenze di giustizia, esso deve essere assicurato in modo effettivo ed adeguato alle circostanze; in applicazione di tale principio è stato infatti ritenuto che i termini previsti per il gravame di provvedimenti o per compiere atti processuali, la cui omissione determini pregiudizio, decorrano dalla tempestiva ed effettiva conoscibilità dell'esistenza di detti eventi (sentenze nn. 68 del 1994 e 223 del 1993); b) nel quadro del diritto di difesa e con riferimento ad ipotesi in cui un termine sia stabilito per il compimento di atti la cui omissione importi un pregiudizio per situazione soggettiva giuridicamente tutelata, la garanzia di cui all'art. 24 della Costituzione deve estendersi alla conoscibilità del momento iniziale di decorrenza del termine stesso, al fine di assicurarne all'interessato l'utilizzazione nella sua interezza (sentenze nn. 223 del 1993; 303 del 1985; 155 del 1980; 14 del 1977; 255 del 1974); c) non può reputarsi legittimo un criterio per il quale il decorso di un termine sia ricollegato ad un evento la cui conoscibilità può ottenersi con l'impiego di una diligenza più che normale fino al punto di un controllo giornaliero (sentenze nn. 14 e 15 del 1977; 34 del 1970); d) la comunicazione del provvedimento è necessaria per il decreto di fissazione dell'udienza di discussione (sentenze nn. 120 del 1986 e 14 del 1977), e, in tema di procedure concorsuali, riguardo al deposito dello stato passivo (sentenze nn. 538 del 1990 e 102 del 1986), alla omologazione o rigetto del concordato preventivo (sentenza n. 255 del 1974), alla liquidazione del compenso ad ausiliari (sentenza n. 303 del 1985).

10. - Tuttavia questa linea tendenziale della giurisprudenza costituzionale circa la decorrenza dei termini dalla comunicazione dell'atto non impedisce di ritenere, da una parte, che nella presente ipotesi sussistano quelle peculiari caratteristiche del procedimento e quelle esigenze di giustizia che giustificano la decorrenza del termine di esecuzione dal momento dell'emissione della pronunzia di concessione del sequestro, e, dall'altra, che la conoscibilità dell'esistenza del provvedimento non richieda nella specie un eccessivo onere per l'interessato al di là della normale diligenza. Sotto il primo profilo, premesso in generale che è legittimo "imporre all'esercizio di facoltà o poteri processuali limitazioni temporali, al fine dell'accelerazione del corso della giustizia" (ord. n. 900 del 1988), va rilevata in particolare l'esigenza di un bilanciamento degli interessi del sequestrante con quelli del soggetto passivo del sequestro, la cui grave situazione non può essere protratta oltre una durata rigorosamente limitata. Ove il termine di esecuzione di questo provvedimento cautelare concesso fuori udienza dovesse decorrere dalla sua comunicazione più o meno tempestiva, si determinerebbe, non solo una ulteriore perdita di tempo per entrambe le parti, ma si toglierebbe al soggetto passivo la garanzia di un breve termine decorrente dal momento fisso della pronuncia. Quanto al profilo degli interessi del sequestrante, l'onere della sua attivazione - oltre a rispondere alla natura particolarmente urgente del procedimento - non può considerarsi eccessivamente gravoso, data la evidente attenzione al sollecito accoglimento della sua istanza; senza contare che la mancata esecuzione entro detto termine non gli impedisce di reiterare la richiesta.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 675 del codice di procedura civile sollevata dai Tribunali di Milano e Pinerolo, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 giugno 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 giugno 1995.