Sentenza n. 236 del 1995

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SENTENZA N. 236

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 721 e degli artt. da 718 a 722 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1994 dal Pretore di Lecce, sezione distaccata di Nardò, nel procedimento penale a carico di Mega Vincenzo, iscritta al n. 620 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 20 aprile 1995 il Giudice relatore Antonio Baldassarre

Ritenuto in fatto

1. -- Nel corso di un procedimento penale instaurato a carico del titolare di un circolo privato, imputato del reato previsto dall'art. 718 cod. pen., per aver consentito nel proprio locale l'esercizio di un gioco d'azzardo, il Pretore di Lecce, sezione distaccata di Nardò, con ordinanza emessa il 22 gennaio 1994, ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto, l'una, l'art. 721, e l'altra, gli artt. da 718 a 722 cod. pen., assumendo che le norme impugnate contrastino con gli artt. 3, 24, 25, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione. Riguardo alla questione di costituzionalità dell'art. 721 cod. pen., il Pretore rimettente precisa che nel corso del dibattimento il testimone, sentito sulle caratteristiche del gioco (la "stoppa") di cui veniva contestato l'esercizio nel locale gestito dall'imputato, non è stato in grado di riferire gli elementi di fatto idonei a qualificarlo o meno come gioco d'azzardo, sulla base dei criteri indicati dalla legge penale. Da ciò conseguirebbe, ad avviso del rimettente, che al giudice, tenuto a pronunciarsi sulla responsabilità penale dell'imputato, competerebbe, in mancanza di una espressa indicazione nella tabella prevista dall'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773), di accertare il carattere di aleatorietà del gioco in questione, ancorchè ignorandone le regole elementari di svolgimento. Proseguendo con una diffusa esposizione della giurisprudenza di merito relativa alla definizione dei caratteri identificativi del gioco d'azzardo, nell'opinione che le oscillazioni e i contrasti che hanno richiesto l'intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione abbiano le loro radici nella scelta del legislatore di devolvere al giudice, con formule oggettivamente troppo ampie, la qualificazione del gioco d'azzardo nei suoi elementi essenziali, il Pretore rimettente esprime il convincimento che, dato il carattere non esaustivo dell'elenco dell'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza rispetto alla categoria dei giochi d'azzardo, si verificherebbe un effetto di indeterminatezza nell'accertamento del reato, contrastante con diversi parametri costituzionali: segnatamente l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, per la violazione del principio che impone la soggezione del giudice alla sola legge; gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per la discriminazione di situazioni identiche, con conseguente pregiudizio per i diritti di difesa degli interessati; e con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per il mancato rispetto della regola costituzionale di tassatività delle fattispecie penali incriminatrici. Infine, il giudice rimettente solleva una ulteriore questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto la disciplina penale del gioco d'azzardo contenuta negli artt. da 718 a 722 cod. pen., adducendo il preteso contrasto delle norme impugnate con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in conseguenza del fatto che comportamenti uguali, nei quali siano riconoscibili i requisiti del gioco d'azzardo previsti dal codice penale, sarebbero esenti da pena, o meno, a seconda che siano esercitati, o meno, all'interno delle case da gioco autorizzate con legge dello Stato.

2. -- Il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto in giudizio per chiedere che le questioni di legittimità costituzionale in oggetto vengano dichiarate inammissibili, in quanto prive del requisito della rilevanza o, comunque, infondate. Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato il motivo di fondo, sul quale il giudice rimettente basa i propri dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 721 cod. pen., riguarda la difficoltà di accertare le caratteristiche del gioco, sottoposto al suo giudizio nel caso concreto, ai fini della qualificazione da assegnare ad esso in base ai requisiti dell'impugnato art. 721 cod. pen.. Ma la difficoltà di accertare le circostanze di fatto su cui verte la cognizione del giudice penale è regolata dalle norme ordinarie in tema di prove, che, nel caso di inidoneità delle stesse a confermare la sussistenza della fattispecie concreta, impongono una pronuncia assolutoria, sulla base di un procedimento di giudizio che non involge il libero convincimento del giudice ai fini della valutazione dei presupposti normativi elencati nell'art. 721 cod. pen.. La difesa erariale ricorda, peraltro, che proprio il libero convincimento del giudice è stato ritenuto da questa Corte come elemento essenziale della garanzia giurisdizionale apprestata dal legislatore come rimedio ad un'eventuale illegittima inclusione nell'elenco stabilito nell'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di un gioco non avente i requisiti dell'aleatorietà e del fine di lucro. Infine, l'Avvocatura contesta la irrilevanza nel presente giudizio della questione di legittimità costituzionale relativa alla deroga alla disciplina penalistica del gioco d'azzardo connessa all'esistenza di case da gioco autorizzate dallo Stato, richiamando a tale riguardo precedenti della Corte emessi in circostanze del tutto analoghe al caso in esame.

Considerato in diritto

1. -- Il Pretore di Lecce, sezione distaccata di Nardò, sottopone al giudizio di questa Corte due distinte questioni di legittimità costituzionale, riguardanti la disciplina penale del gioco d'azzardo. Con la prima questione di costituzionalità -- avente ad oggetto l'art. 721 cod. pen., nella parte in cui prescrive che per aversi gioco d'azzardo è necessario accertare che "la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria" -- il giudice a quo dubita che la fattispecie normativa, per la eccessiva genericità della definizione adottata, riservi al giudice penale un ambito di discrezionalità troppo ampio e contrasti, pertanto, con il principio della sottoposizione dei giudici soltanto alla legge, stabilito dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione, con il principio di tassatività della fattispecie penale, garantito dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, e con il rispetto, in condizioni di parità, dei diritti della difesa consacrati negli artt. 3 e 24 della Costituzione. La questione di legittimità costituzionale non è fondata. Il giudice rimettente, nell'esporre i termini del preteso contrasto dell'impugnato art. 721 cod. pen. con i principi costituzionali invocati, adotta un'interpretazione del requisito oggettivo dell'aleatorietà, prefigurato dalla norma come condizione per la sussistenza del gioco d'azzardo, del tutto priva di fondamento. Egli ritiene, infatti, che il necessario accertamento della causa interamente o quasi interamente aleatoria della vincita o della perdita, richiesto dalla legge, imponga al giudice penale, in mancanza di un adeguato conforto probatorio sul punto e in difetto di un'espressa inclusione del particolare gioco d'azzardo nell'elenco compilato dall'autorità di pubblica sicurezza, ai sensi dell'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (r.d. 18 giugno 1931, n. 773), di fornire le conoscenze di fatto relative alle concrete modalità di svolgimento del gioco stesso. Tale non è il significato della norma impugnata che, nel prefigurare i requisiti identificativi del gioco d'azzardo, individua il connotato obiettivo delle modalità di realizzazione della vincita e, conseguentemente, del procacciamento della posta in gioco con una espressione valutativa tratta dal linguaggio comune, sulla base della quale il giudice, nell'ambito del normale esercizio della giurisdizione, è tenuto alla mera qualificazione dei fatti accertati applicando le ordinarie regole probatorie. Nè, come pare ritenere il giudice a quo, l'eventuale inclusione nella tabella vidimata dal questore e obbligatoriamente esposta, ai sensi dell'art. 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, del gioco di cui è contestato l'esercizio può essere considerata come sostitutiva della valutazione del giudice in ordine alla sussistenza dei requisiti indicati dall'art. 721 cod. pen., dal momento che il corretto esercizio della potestà amministrativa integratrice del precetto penale in questione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, è inderogabilmente assistito dalla garanzia giurisdizionale del sindacato del giudice penale (v. sentenze nn. 113 del 1972 e 88 del 1968).

2. -- Con la seconda questione di costituzionalità sollevata il giudice rimettente dubita della conformità agli artt. 3 e 24 della Costituzione delle norme che complessivamente sanzionano penalmente il gioco d'azzardo (artt. 718-722 cod. pen.), considerate in rapporto alla disciplina amministrativa che autorizza la tenuta di case da gioco per l'esercizio di attività aventi le medesime caratteristiche incriminate dalle disposizioni denunciate. Occorre rilevare che analoghe questioni sono state dichiarate non fondate da questa Corte. Infatti, la Corte ha rigettato in molteplici occasioni i dubbi di legittimità costituzionale riguardanti la pretesa disparità di trattamento comportata dalle norme che puniscono i giochi d'azzardo rispetto a quelle che li permettono all'interno delle case da gioco autorizzate (v. sentenze nn. 237 del 1975 e 80 del 1972; ordinanze nn. 90 del 1973 e 194 del 1972). E, poichè nel caso il giudice rimettente, oltre a invocare un parametro, come quello fornito dall'art. 24 della Costituzione, palesemente non pertinente, non adduce argomenti nuovi e ragioni ulteriori, tali da indurre questa Corte a rivedere l'orientamento costantemente seguito, la questione di legittimità costituzionale in esame va dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 721 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Lecce, sezione distaccata di Nardò, con l'ordinanza indicata in epigrafe; dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. da 718 a 722 del codice penale, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Lecce, sezione distaccata di Nardò, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/06/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/06/95.