Sentenza n. 218 del 1995

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SENTENZA N. 218

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, 1 della stessa legge 19 luglio 1993, n. 236, 2, comma 5, 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (Ulteriori interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), 5 del decreto- legge 11 dicembre 1992, n. 478, 5 del decreto legge 12 febbraio 1993, n. 431, 6, comma 7, del decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, promossi con quattro ordinanze emesse il 12 maggio 1994, dal pretore di Parma, il 30 maggio 1994 dal pretore di Bergamo, il 12 agosto 1994 dal pretore di Bologna, il 29 settembre 1994 dal pretore di Busto Arsizio iscritte rispettivamente ai nn. 443, 509, 661 e 663 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 30, 38 e 47, prima serie speciale, dell'anno 1994. Visti gli atti di costituzione di Ugolotti Giancarlo, Sangaletti Primo, Vannini Graziano e dell'I.N.P.S., nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 1995 il Giudice relatore Renato Granata; uditi gli avv.ti Franco Agostini per Ugolotti Giancarlo e Sangaletti Primo, Giacomo Giordano e Giuseppe Fabiani per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. - Con ordinanza del 12 maggio 1994 il Pretore di Parma - nel corso del giudizio promosso da Ugolotti Giancarlo nei confronti dell'INPS per il riconoscimento della differenza tra il trattamento di mobilità, spettantegli per essere stato assoggettato a licenziamento collettivo, e l'assegno di invalidità, differenza prima erogatagli dall'INPS fino al 14 dicembre 1992, ma successivamente sospesa a seguito dell'incompatibilità tra i due istituti previdenziali introdotta dall'art. 5 del decreto-legge n.478 del 1992 - ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonchè dell'art. 1 della legge n. 236 del 1993 nella parte in cui fa salvi gli effetti prodotti dall'art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992, dall'art. 5 del decreto-legge n. 31 del 1993, dall'art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 57 del 1993, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Premette il giudice rimettente che - mentre in precedenza l'art. 10, quattordicesimo comma, della legge 22 dicembre 1984, n.887 faceva salva in ogni caso la quota del trattamento di disoccupazione eventualmente eccedente l'importo del trattamento pensionistico - il cit. art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992 ha stabilito la totale incompatibilità fra i trattamenti di disoccupazione e l'indennità di mobilità, da un lato, ed i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, dall'altro.

Non essendo intervenuta la conversione in legge, il suo contenuto è stato reiterato con i decreti-legge n. 31 del 1993 (art. 4) e n. 57 del 1993 (art. 6, comma 7), anch'essi non convertiti e infine con il decreto-legge del 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, che all'art. 6, comma 7, ha disposto la totale incompatibilità fra indennità di mobilità e trattamenti pensionistici. L'art. 1 della legge di conversione ha fatto salvi gli effetti dei precedenti decreti non convertiti. In via interpretativa il pretore rimettente ritiene che nella categoria dei <trattamenti pensionistici>, previsti dall'art. 10, quarto comma, della legge 22 dicembre 1984, n.887 come incompatibili con i trattamenti ordinari di disoccupazione rientri anche l'assegno di invalidità e che d'altra parte l'indennità di mobilità (conseguente al licenziamento collettivo) ben può qualificarsi come un trattamento di disoccupazione. Quanto alla lesione dei parametri evocati, il pretore rimettente ritiene sussistere un principio generale per cui, in caso di concorrenza fra due prestazioni non cumulabili, al titolare deve essere garantita la possibilità di optare per l'una o l'altra prestazione. La mancanza di tale possibilità urta contro il principio di ragionevolezza, crea disparità di trattamento ed appare in contrasto con l'art. 38 della Costituzione che esige che il lavoratore venga garantito sia in caso di invalidità che in caso di disoccupazione involontaria. In sostanza, afferma il giudice a quo, si può escludere il cumulo, ma non anche il diritto di opzione o la conservazione del secondo beneficio nei limiti della differenza. Anche sotto un altro profilo c'è poi violazione del principio di uguaglianza perchè la totale incompatibilità sussiste solo per il breve spazio di tempo dall'entrata in vigore del decreto-legge n. 478 del 1992 all'entrata in vigore del decreto-legge n.40 del 1994 che ha introdotto la facoltà di opzione (comunque non rilevante per il ricorrente perchè a quest'ultima data era ormai già scaduto il periodo di spettanza dell'indennità di mobilità); peraltro il decreto- legge n.40 del 1994, non convertito, è stato reiterato con il decreto-legge n. 185 del 1994.

1.2 - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata. L'Avvocatura - nel ricordare che con decreto-legge 18 gennaio 1994, n. 40 (art. 2, comma 5) e con decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (art. 2, comma 5), è stato abrogato il principio della incompatibilità di cui alle norme censurate ed introdotto il diritto di conservare il trattamento più favorevole per il lavoratore - rileva che la limitatezza temporale del periodo nel quale ci sarebbe stata la pretesa violazione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza, da un lato, può essere indice di una valutazione del legislatore ispirata alle particolari condizioni economiche e sociali del paese; d'altra parte, la ridotta incidenza del presunto contrasto con i precetti costituzionali non può considerarsi espressione di una generale vulnerazione del principio di ragionevolezza e di uniformità di trattamento cui devono ispirarsi le leggi in genere.

1.3. - Si è costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Premessa la non assimilabilità dell'indennità di mobilità al trattamento di integrazione salariale, sicchè trattasi di situazioni non omogenee, la difesa dell'INPS osserva che rientra nella discrezionalità del legislatore prevedere, nei vari ordinamenti previdenziali, le prestazioni che meglio si adattano alle particolarità delle singole situazioni, predisponendo i mezzi finanziari all'uopo necessari.

1.4. - Si è costituita la difesa dell'Ugolotti sostenendo - anche con una successiva memoria - in via principale la erroneità della premessa interpretativa da cui muove il pretore rimettente (e quindi l'insussistenza della fattispecie del divieto di cumulo sia perchè l'assegno di invalidità non costituisce trattamento pensionistico, sia perchè l'indennità di mobilità non è assimilabile al trattamento di integrazione salariale); da ciò l'inammissibilità della questione di costituzionalità per difetto di rilevanza. Nel merito la difesa aderisce alle argomentazioni del pretore rimettente, concludendo quindi per l'incostituzionalità delle disposizioni censurate.

2.1. - Con ordinanza del 30 maggio 1994, emessa nel procedimento civile promosso da Sangalletti Primo (licenziato e posto in mobilità il 31 agosto 1991) contro l'INPS per ottenere il riconoscimento del diritto all'indennità di mobilità, il Pretore di Bergamo ha sollevato questione di legittimità costituzionale sia dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, conv. con modificazioni dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, sia degli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione Premesso (in via interpretativa) che, soprattutto dopo l'introduzione della facoltà di opzione con testuale riferimento all'assegno di invalidità, deve ritenersi che sussista l'incompatibilità tra tale prestazione previdenziale e quella dell'indennità di mobilità, il pretore rimettente sottolinea che l'assegno e la pensione di invalidità hanno natura molto diversa: mentre le pensioni INPS ordinarie hanno natura previdenziale, l'assegno di cui all'art. 1 della legge n. 222 del 1984 è una prestazione atipica ed ha natura eminentemente assistenziale; è temporaneo, rinnovabile solo a domanda (almeno le prime tre volte), non reversibile ai superstiti e può essere anche inferiore ai minimi vigenti per ogni altro trattamento pensionistico; lo stesso poi non esaurisce la possibilità di reddito del lavoratore, a cui residua una parte della sua capacità lavorativa; infine il primo a differenza della seconda può cumularsi con la retribuzione.

Pertanto viola il principio di eguaglianza il fatto che il legislatore tratti allo stesso modo due situazioni così diverse, sancendo che l'indennità di mobilità (tipico trattamento sostitutivo della retribuzione) sia incompatibile non solo con la pensione, ma anche con l'assegno di invalidità. Un ulteriore vizio di incostituzionalità sussiste poi sotto il profilo che la facoltà di opzione tra i due trattamenti, per i quali sussiste il divieto di cumulo, è stata - nel 1994 - introdotta soltanto per il futuro, nonchè - quanto ai collocamenti in mobilità già disposti - soltanto per la parte residua della prestazione, sicchè i lavoratori sono discriminati a seconda del momento della collocazione in mobilità o dell'ottenimento dell'assegno, senza che in ciò sia ravvisabile alcuna giustificazione. In entrambe le ipotesi (quella principale e quella subordinata) vi è poi violazione dell'art. 38 della Costituzione perchè per effetto della suddetta incompatibilità il lavoratore pensionato soffre ingiustificatamente una riduzione di reddito.

2.2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata manifestamente infondata.

2.3. - Si è costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. In particolare sostiene la piena equiparabilità dell'assegno ordinario di invalidità con la pensione ordinaria di inabilità sicchè giustificata è la loro assimilazione quanto al regime di incompatibilità. D'altra parte l'introduzione della facoltà di opzione soltanto per il futuro introduce un discrimine ratione temporis, ma ciò è giustificato dal principio di gradualità dell'intervento legislativo e dalla successione temporale di distinte fasi di sviluppo del sistema previdenziale.

2.4. - Si è costituito Sangalletti Primo aderendo - anche con successiva memoria - alle prospettazioni dell'ordinanza di rimessione e concludendo per la dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni censurate.

3.1. - In analogo giudizio - promosso da un lavoratore titolare di pensione di invalidità che, in quanto assoggettato a licenziamento collettivo, domandava il riconoscimento (anche) dell'indennità di mobilità, indennità negatagli dall'INPS in quanto incompatibile con il trattamento pensionistico in godimento - il Pretore di Bologna con ordinanza del 12 agosto 1994 ha sollevato questione della legittimità costituzionale dell'art. 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478, dell'art. 5 del decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31, dell'art. 6, comma 6 [rectius: comma 7], del decreto- legge 10 marzo 1993, n. 57; dell'art. 6, comma 7, decreto- legge 20 maggio 1993, n. 148 e della legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui dispongono la incompatibilità tra l'indennità di mobilità con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, senza prevedere la possibilità di conguaglio nel caso che il trattamento di pensione sia di importo inferiore a quello della indennità di mobilità, per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione.

3.2. - L'Avvocatura dello Stato e dell'INPS, nei rispettivi atti di intervento e di costituzione, hanno ripetuto le argomentazioni e le conclusioni già rassegnate nei precedenti giudizi incidentali.

3.3. - Si è costituito anche il ricorrente Vannini Graziano concludendo in via principale per l'inammissibilità della questione di costituzionalità ed in via subordinata per la dichiarazione di incostituzionalità delle disposizioni censurate.

Ed infatti - sostiene la difesa del ricorrente - il regime di incompatibilità è stato introdotto ex novo dall'art. 1 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n.478 e dalla corrispondente norma del decreto-legge 20 maggio 1993, n.148 a far tempo dal 15 dicembre 1992; quindi, ove il diritto all'indennità di mobilità sia maturato prima di tale data, anche i ratei successivi sono immuni dalla nuova più rigorosa disciplina; da ciò l'irrilevanza della questione di costituzionalità.

Nel merito ritiene sussistere la violazione dei parametri evocati aderendo alle argomentazioni del giudice rimettente.

4. - Da ultimo il pretore di Busto Arsizio - in un giudizio promosso da una lavoratrice, titolare di pensione di invalidità, che domandava il riconoscimento dell'indennità di mobilità in quanto assoggettata a licenziamento collettivo, indennità anche in tal caso negatale dall'INPS in quanto incompatibile con il trattamento pensionistico in godimento - ha sollevato (con ordinanza del 29 settembre 1994) questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 conv. in legge 19 luglio 1993, n. 236 in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione. In particolare il pretore rimettente ritiene violato il principio di eguaglianza in ragione del trattamento deteriore riservato ai lavoratori titolari di pensione di invalidità nel periodo di vigenza del regime di totale incompatibilità con l'indennità di mobilità. Sarebbe poi violato anche l'art. 38 della Costituzione perchè viene assicurato il soddisfacimento delle esigenze di vita dell'assicurato di fronte all'evento protetto concretizzatosi prima (l'invalidità) e non invece di fronte a quello successivo (la disoccupazione involontaria), restando, il relativo trattamento assorbito dal primo; e ciò nonostante che il trattamento previsto per l'evento successivo sia ben maggiore. L'Avvocatura dello Stato e dell'INPS, nei rispettivi atti di intervento e di costituzione, hanno ripetuto le argomentazioni e le conclusioni già rassegnate nei precedenti giudizi incidentali. Non si è invece costituita la lavoratrice ricorrente.

Considerato in diritto

1. - Ancorchè le plurime censure sollevate dai giudici rimettenti abbiano una matrice comune, costituita dalla (ritenuta) illegittimità del regime di incompatibilità tra assegno (o pensione) di invalidità ed indennità di mobilità, tuttavia esse sono diversamente articolate e vanno distintamente esaminate. È stata innanzi tutto sollevata (dal Pretore di Bergamo) questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione - dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236 nella parte in cui prevede il divieto di cumulo tra indennità di mobilità ed assegno di invalidità (in particolare), per sospetta violazione del principio di eguaglianza perchè è previsto un trattamento analogo (ossia l'incompatibilità delle due prestazioni) al pari dell'ipotesi in cui con l'indennità di mobilità concorra la pensione di invalidità con la conseguenza che sono a tale effetto ingiustificatamente parificate situazioni differenziate (quella riferita alla titolarità rispettivamente dell'assegno di invalidità e della pensione di invalidità). In una prospettiva meno radicale è stata poi sollevata (dal Pretore di Parma, dal Pretore di Bologna e dal Pretore di Busto Arsizio) questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione - dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonchè dell'art. 1 della medesima legge n. 236 del 1993 che fa salvi gli effetti prodotti da precedenti analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (art. 5 del decreto-legge n.478 del 1992, art. 5 del decreto-legge n.31 del 1993, art. 6, comma 7, del decreto- legge n.57 del 1993) nella parte in cui - nel sancire l'incompatibilità dell'indennità di mobilità con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, tra i quali rientrano l'assegno di invalidità e la pensione di invalidità - non prevede la possibilità di opzione per il trattamento più favorevole ovvero non riconosce al titolare del trattamento di invalidità la differenza tra i due importi nel caso in cui (come nella fattispecie) l'ammontare del primo sia inferiore a quello della indennità di mobilità. È in particolare prospettata la possibile violazione: a) del principio generale secondo cui, in caso di concorso di due prestazioni previdenziali, pur rientrando nella discrezionalità del legislatore la previsione di un divieto di cumulo tra le stesse, è però necessario che a chi versi nella situazione di fatto per essere titolare di entrambe sia comunque assicurata la prestazione di importo più elevato (ovvero la differenza rispetto al trattamento più favorevole) dovendo il lavoratore essere garantito sia in caso di invalidità che di disoccupazione involontaria; b) del principio di eguaglianza perchè tale rigida ed assoluta incompatibilità, introdotta dalla normativa censurata (che ha fatto venir meno la precedente più favorevole disciplina che prevedeva invece la salvezza del trattamento più favorevole tra i due incompatibili: art. 10, quattordicesimo comma, della legge 22 dicembre 1984, n.887), risulta operante soltanto nel (limitato) periodo fino a quando il legislatore (prima con decreto-legge 18 gennaio 1994, n.40 e decreto-legge 18 marzo 1994, n.185 e da ultimo con l'art. 2, comma 5, del decreto-legge 16 maggio 1994, n.299, conv. in legge 19 luglio 1994, n.451) ha introdotto (ma solo ex nunc) la facoltà di opzione, emendando così il (prospettato) vizio di in costituzionalità; sussiste quindi disparità di trattamento tra lavoratori secondo il momento del collocamento in mobilità; c) (ancora) del principio di eguaglianza per disparità di trattamento tra lavoratori licenziati e collocati in mobilità perchè, a parità di altre condizioni, i lavoratori già titolari di assegno o di pensione di invalidità hanno un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto agli altri lavoratori perchè questi ultimi, e non anche i primi, percepiscono la (più favorevole) indennità di mobilità; d) dell'art. 38 della Costituzione perchè le esigenze di vita del lavoratore sono soddisfatte rispetto all'evento verificatosi per primo (invalidità), ma non anche rispetto a quello successivo (mobilità) malgrado il maggior favore del trattamento previsto per quest'ultimo. Infine il pretore di Bergamo ha (ulteriormente ed in via subordinata) censurato - in riferimento all'art. 3 e 38 della Costituzione - gli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (Ulteriori interventi urgenti a sostegno dell'occupazione) decreto- legge non convertito, ma i cui effetti sono stati (successivamente) fatti salvi dall'art. 1, comma 2, della legge 19 luglio 1994, n.451) perchè, nell'introdurre - ex nunc - la facoltà di opzione tra assegno di invalidità e indennità di mobilità, la limitano soltanto ai futuri collocamenti in mobilità e alla parte ancora residua del periodo di mobilità in corso, senza estendere il beneficio retroattivamente anche al periodo pregresso con conseguente disparità di trattamento tra lavoratori secondo il momento del collocamento in mobilità.

2. - In via pregiudiziale - riuniti i giudizi perchè oggettivamente connessi - vanno respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalle parti private sotto un duplice profilo. Le questioni di costituzionalità riguardanti l'assegno di invalidità sono rilevanti atteso che il giudice rimettente (pretore di Parma), con interpretazione a lui riservata nei limiti della plausibilità, ha ritenuto che tale prestazione previdenziale rientri tra i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti e quindi sussiste la censurata incompatibilità con l'indennità di mobilità. D'altra parte che l'assegno suddetto sia compreso nel regime di incompatibilità si evince dalla legislazione successiva sull'opzione che a tale prestazione fa espressamente riferimento (v. infra); l'indennità di mobilità è poi direttamente contemplata dalla normativa censurata.

Analogamente rilevante (e quindi ammissibile) è la questione di costituzionalità sollevata dal Pretore di Bologna; ancorchè nella specie il lavoratore licenziato sia stato collocato in mobilità prima che fosse introdotta l'incompatibilità tra indennità di mobilità e trattamento di invalidità, il giudice rimettente ha ritenuto non implausibilmente che sia applicabile ratione temporis la (successiva e meno favorevole) normativa censurata ancorchè soltanto per il periodo successivo alla sua entrata in vigore; l'introdotta incompatibilità incide infatti sul rapporto (in atto) e non già sul (pregresso) suo atto costitutivo.

3. - Infondata è la questione principale sollevata dal Pretore di Bergamo. Assegno di invalidità e pensione di invalidità sono prestazioni distinte, previste da diverse normative succedutesi nel tempo; ma da una parte esse sono pur sempre riconducibili ad una matrice comune, rappresentata dal verificarsi dell'evento protetto (l'invalidità del lavoratore, ancorchè diversamente definita dalla legge n. 222 del 1984 e dalla normativa precedente); d'altra parte rientra nella discrezionalità del legislatore, nel prevedere un regime di incompatibilità o di divieto di cumulo, catalogare le plurime prestazioni che in tale regime ricadono. La radicale prospettazione del giudice rimettente porterebbe alla paradossale conclusione che, una volta individuate (dal legislatore) due prestazioni incompatibili, tutti i possibili altri trattamenti previdenziali o assistenziali sarebbero necessariamente fuori da tale regime per il solo fatto di essere in qualche misura diversi dalle prime; è invece ben possibile che la medesima ratio dell'incompatibilità (o divieto di cumulo) sussista per una pluralità di prestazioni e le accomuni in una mede sima categoria connotata dal fatto che il lavoratore assicurato abbia già beneficiato di una prestazione assicurativa e quindi gli sia già stata apprestata una provvista che astrattamente lo rende meno vulnerabile di fronte al secondo possibile evento pregiudizievole. Tanto è sufficiente nella fattispecie per escludere che la evocata comparazione orizzontale delle prestazioni che fanno scattare il regime di incompatibilità (o di divieto di cumulo) possa radicare una violazione dei parametri indicati; mentre maggiormente delicata è la verifica (che si viene ora a fare) della costituzionalità dei singoli rapporti di incompatibilità tra distinte prestazioni.

4. - Passando a considerare questa seconda prospettazione e quindi ad esaminare le questioni di costituzionalità sollevate dai Pretori di Parma, Bologna e Busto Arsizio, può subito rilevarsi che il legislatore ha adottato, nel corso del tempo, tre distinti regimi: quello della non cumulabilità dei trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, con salvezza in ogni caso del trattamento di disoccupazione eventualmente eccedente l'importo del trattamento pensionistico (art. 10 della legge 22 dicembre 1984, n.887); quello (meno favorevole) dell'incompatibilità dei medesimi trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e dell'indennità di mobilità (prestazione introdotta nell'ordinamento previdenziale dall'art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223) ancora con i trattamenti pensionistici diretti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, ma senza alcuna salvezza del trattamento più favorevole (art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonchè in precedenza analoghe disposizioni di decreti legge non convertiti: art. 5 del decreto-legge n. 478 del 1992, art. 5 del decreto-legge n. 31 del 1993, art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 57 del 1993); quello dell'incompatibilità, come appena indicata, corretta dalla facoltà per coloro che fruiscono dell'assegno o della pensione di mobilità di optare a favore del trattamento di mobilità con conseguente temporanea sospensione del trattamento di invalidità per tutto il periodo di fruizione del primo (art. 2 del decreto-legge 16 maggio 1994, n.299, convertito in legge 9 luglio 1994, n.451, nonchè in precedenza analoghe disposizioni di decreti legge non convertiti: art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 40 del 1994, art. 2, comma 5, del decreto-legge n. 185 del 1994). Orbene rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire eventuali rapporti di non cumulabilità ovvero di incompatibilità tra diverse prestazioni previdenziali o assistenziali. È possibile quindi che in un bilanciamento complessivo degli interessi e dei valori in gioco che vede fronteggiarsi le esigenze della solidarietà e della liberazione dal bisogno (art. 38 della Costituzione) con i limiti conseguenti alla necessità di preservare l'equilibrio della finanza pubblica (art. 81 della Costituzione) il legislatore - in una situazione in cui si verifichino plurimi eventi oggetto di assicurazioni sociali - valuti come sufficiente l'attribuzione di un unico trattamento previdenziale al fine di garantire al lavoratore assicurato mezzi adeguati alle esigenze di vita sue e della sua famiglia. Questa concentrazione dell'intervento del sistema di sicurezza sociale in un'unica prestazione deve però soddisfare il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione) non potendo pretermettersi che in generale chi subisce plurimi eventi pregiudizievoli si trova esposto ad una situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e quindi il primo non potrà, rispetto a quest'ultimo, avere un trattamento deteriore, pur dovendo farsi a tal fine una ponderazione globale e complessiva (e non già limitata a specifici aspetti o periodi) della pluralità di trattamenti astrattamente spettanti in ragione della pluralità di eventi verificatisi. Nella fattispecie il regime della rigida incompatibilità, non temperata dalla facoltà di opzione, va valutata con riferimento alla particolare ipotesi in cui i plurimi eventi verificatisi sono quelli del collocamento in mobilità e quello dell'invalidità ed i trattamenti astrattamente concorrenti sono quelli dell'indennità di mobilità e dell'assegno (o pensione) di invalidità. La ponderazione comparata di tali due trattamenti svela l'intrinseca irragionevolezza, che ridonda in disparità di trattamento, del rigido criterio dell'incompatibilità. Pur essendo sia l'assegno che la pensione di invalidità idonei a realizzare singulatim la finalità previdenziale dell'assicurazione sociale (art. 38 della Costituzione), si ha però che il lavoratore parzialmente invalido, ove collocato in mobilità, viene a trovarsi in una situazione di più urgente bisogno del lavoratore valido, anch'egli collocato in mobilità, essendo prevedibile che egli, rispetto a quest'ultimo, abbia maggiori esigenze di mantenimento. Invece - essendo l'importo dell'indennità di mobilità maggiore sia della pensione che dell'assegno di invalidità - si ha che, nella medesima comunità di lavoratori collocati in mobilità, i lavoratori invalidi percepiscono una prestazione quantitativamente inferiore a quella dei lavoratori validi. Di tale palese incongruenza - nella fattispecie non giustificata neppure se si considera globalmente la possibile più estesa durata del trattamento di invalidità rispetto a quello di mobilità perchè lo stato di invalidità aggrava il rischio della disoccupazione involontaria insito nel collocamento in mobilità - si è reso conto il legislatore stesso che ha corretto il regime dell'incompatibilità introducendo la indicata facoltà di opzione; ma anche nel periodo precedente, per emendare l'evidenziato vulnus, la prevista incompatibilità, con riferimento ai suddetti trattamenti concorrenti, avrebbe dovuto comunque far salva la facoltà di opzione. La reductio ad legitimitatem è possibile con una pronuncia additiva perchè desumibile <a rime obbligate> dalla disciplina dell'opzione successivamente introdotta dagli artt. 2, comma 5, e 12, del decreto-legge n. 299 comma 2 del 1994, convertito in legge n. 451 del 1994 di cui mutua modi ed effetti; opzione quindi esercitabile ora per allora. In tale parte va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale della normativa denunciata, rimanendo assorbiti gli altri profili di censura.

5. - È infine inammissibile la censura subordinata mossa dal Pretore di Bergamo in quanto avente ad oggetto disposizioni (gli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994 e non convertito) non più in vigore già al momento di pubblicazione dell'ordinanza di rimessione (30 maggio 1994).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nonchè dell'art. 1 della medesima legge n. 236 del 1993 che fa salvi gli effetti prodotti da precedenti analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti (art. 5 del decreto-legge 11 dicembre 1992, n. 478, art. 5 del decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31, art. 6, comma 7, del decreto-legge del 10 marzo 1993, n.57), nella parte in cui non prevedono che all'atto di iscrizione nelle liste di mobilità i lavoratori che fruiscono dell'assegno o della pensione di invalidità possono optare tra tali trattamenti e quello di mobilità nei modi e con gli effetti previsti dagli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge del 16 maggio 1994, n.299, convertito in legge 19 luglio 1994, n.451; b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 7, decreto-legge del 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nella parte in cui prevede il divieto di cumulo tra indennità di mobilità ed assegno di invalidità, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal pretore di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe; c) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 5, e 12, comma 2, del decreto-legge 18 marzo 1994, n. 185 (Ulteriori interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal pretore di Bergamo con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 01/06/95.