Ordinanza n. 198 del 1995

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ORDINANZA N.198

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO,

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il l9 aprile 1994 dal Tribunale militare di Padova nel procedimento penale a carico di Rizzacasa Massimiliano iscritta al n. 449 del registro ordinanze l994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

RITENUTO che a seguito della rimessione degli atti per competenza da parte del Tribunale militare di Verona nel procedimento penale a carico di Rizzacasa Massimiliano, imputato di lesione personale aggravata, il Tribunale militare di Padova - rilevato un conflitto negativo di competenza - ne ha ordinato la trasmissione in copia alla Corte di cassazione e sollevato, in relazione agli artt. 101, secondo comma, 24, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 30, comma 3, del codice di procedura penale, in quanto non consente la sospensione del procedimento nel caso in cui sia il giudice rimettente a ritenere che sussista, nella sua effettività, il conflitto; che vi sarebbe comunque-ad avviso del giudice a quo -l'obbligo di proseguire il giudizio e, quindi, il dovere di sottostare alla decisione di un altro giudice, egualmente competente per materia, sulla base di una interpretazione della legge effettuata da < quel> giudice e divenuta vincolante e inderogabile; situazione invero paradossale che integrerebbe una lesione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione; che, inoltre, non soltanto nell'ipotesi di conflitto positivo, dove subisce ben tre procedimenti per uno stesso fatto (due dinanzi ai giudici del conflitto e uno davanti alla Corte di cassazione ex art. 669 del codice di procedura penale), ma anche in quello negativo l'imputato deve difendersi contemporaneamente, per un medesimo fatto, innanzi a più giudici; che tanto costituirebbe lesione del diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione, e determinerebbe inoltre spreco di attività con effetti perversi di disorientamento e incertezza circa l'esito del conflitto (di qui, la lesione del canone del buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione); che lo stesso tribunale assicura di non ignorare la recente decisione della Corte costituzionale-a seguito di un'ordinanza pronunciata dallo stesso organo giurisdizionale sulla legittimità costituzionale della disposizione nuovamente impugnata-e, tuttavia, ha riformulato la questione di costituzionalità, già a suo tempo prospettata in riferimento ad altri parametri costituzionali, valorizzando quella parte della sentenza ov'è l'auspicio di un intervento legislativo < volto ad approntare una disciplina idonea a contemperare in modo diverso gli interessi in gioco> (che il giudice a quo identifica, da un lato, nella necessità di impedire manovre dilatorie mediante prospettazione di conflitti pretestuosi e, dall'altro, nel diritto di difesa dell'imputato); che, prendendo atto della mancata adozione, da parte del legislatore, delle innovazioni auspicate da questa Corte, il giudice rimettente prospetta un intervento manipolativo sulla norma impugnata attraverso una sua declaratoria d'incostituzionalità < nella parte in cui non prevede la sospensione del procedimento> se non < nel caso in cui sia il giudice rimettente a ritenere fondata l'esistenza di un conflitto>; che in tale ipotesi non potrebbe ravvisarsi, infatti, quella temuta < fittizia manipolazione dilatoria> sui tempi del processo, da riservarsi soltanto alle eccezioni delle parti, di cui al secondo comma dell'art. 30 del codice di rito; che, in tal caso, un effetto sospensivo automatico del pro cedimento verrebbe a paralizzare il giudizio, in forza di un atto di parte meramente potestativo e come tale passibile di abusi, mentre l'equo contemperamento degli interessi sollecitato dalla sentenza n. 59 del 1993 sarebbe rinvenibile solo nella decisione del giudice circa la fondatezza, o meno, dell'esistenza di un conflitto (rilevato che sia dalle parti o dal giudice stesso); che in siffatta ipotesi non sussisterebbe neanche il rischio di effetti negativi prodotti dalla prescrizione, vigendo il disposto dell'art. 159, comma 1, del codice di procedura penale, che produce l'interruzione del processo nei casi o quando la sospensione è imposta da una particolare disposizione di legge; che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza.

CONSIDERATO che la questione di costituzionalità dell'art. 30, terzo comma, del codice di procedura penale, ha già formato oggetto di esame da parte di questa Corte che, con la sentenza n. 59 del 1993, l'ha dichiarata non fondata in riferimento agli artt. 2, 3, 25, 76, 77, 97 e 103, terzo comma, della Costituzione; che la questione ora ritorna, per violazione degli artt. 101, secondo comma, 97, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, per la parte in cui l'articolo impugnato dispone che la denuncia del conflitto di competenza e la conseguente ordinanza non hanno effetto sospensivo sui procedimenti in corso, sia perchè obbligherebbe il secondo giudice a sottostare alla decisione di un altro giudice ugualmente competente per materia e all'interpretazione (vincolante e inderogabile) della legge fornita da < quel> giudice; sia perchè appesantirebbe l'andamento dell'amministrazione giudiziaria tanto in caso di conflitto positivo, quanto in quello negativo, essendo chiamato l'imputato a rispondere più volte del medesimo addebito avanti a più giudici; sia perchè menomerebbe, infine, il diritto di difesa, costringendo l'imputato a difendersi contemporaneamente dinanzi a più giudici per un medesimo fatto; che i profili indicati dal rimettente hanno già formato, nella sostanza, oggetto di valutazione da parte di questa Corte che li ha ritenuti non fondati-anche se con riferimento ad altri parametri costituzionali-e che < l'inconveniente non trascurabile> segnalato al legislatore dalla citata sentenza n. 59 (vale a dire < la circostanza che nelle more della risoluzione del conflitto l'imputato sia costretto a difendersi per lo stesso fatto innanzi a più giudici>), pur non essendo ancora superato da un < intervento legislativo volto ad approntare una disciplina idonea a contemperare in modo diverso gli interessi in gioco>, non può essere risolto dalla pronuncia additiva sollecitata dal giudice a quo, stante la possibilità di dare al problema altre soluzioni (a solo titolo esemplificativo, l'estensione di alcuni istituti propri della disciplina della rimessione, quale il divieto di pronunciare ex art. 47, comma 1, del codice di procedura penale, la sentenza ovvero la possibilità di una sospensione del giudizio da parte della Corte di Cassazione, ex art. 47, comma 2, del codice di procedura penale); che, pertanto, si deve riaffermare l'esclusiva competenza del legislatore, il cui intervento va ancora auspicato.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 97, primo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 26/05/95.