Sentenza n. 186 del 1995

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SENTENZA N.186

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 54, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso con ordinanza emessa il 15 dicembre 1993 dal Tribunale di sorveglianza di Firenze nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Barra Raffaele, iscritta al n. 248 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio del 20 aprile 1995 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 54, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), del quale in particolare viene censurato l'automatismo che caratterizza la revoca del beneficio della liberazione anticipata nell'ipotesi in cui la persona subisca condanna per delitto non colposo commesso nel corso della esecuzione dopo la concessione del beneficio medesimo. Sulla base degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale in tema di revoca dell'affidamento in prova al servizio sociale e di revoca della liberazione condizionale - istituti, questi, diversi dalla liberazione anticipata, ma pur sempre accomunati dalla finalità di risocializzazione - il giudice a quo osserva che la revoca di un beneficio penitenziario dovrebbe essere determinata da un fatto che segna l'arresto ovvero addirittura l'inversione del processo di riabilitazione del soggetto, e non da circostanze episodiche che spesso possono scaturire dalle peculiari caratteristiche della condizione carceraria, "fisiologicamente segnata da situazioni di disagio e di tensione". A conforto del proprio assunto il rimettente ha posto in risalto la diversa disciplina che caratterizza la revoca dell'affidamento in prova, della detenzione domiciliare e della semilibertà, evidenziando come la revoca automatica della detenzione domiciliare e della semilibertà a seguito di evasione si giustifichi proprio per la rottura del rapporto esecutivo che in quella ipotesi si determina: una eccezione del tutto ragionevole, dunque, che ad avviso del giudice a quo starebbe a dimostrare la validità della opposta regola. Una ulteriore conferma il Tribunale rimettente desume anche dalla disciplina della conversione delle sanzioni sostitutive per violazione delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione o alla libertà controllata, nonché dai princip/' che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare in tema di revoca della liberazione condizionale per trasgressione degli obblighi inerenti alla libertà vigilata; ipotesi, queste, per le quali è affidato al giudice il compito di verificare se le violazioni riscontrate siano o meno di gravità tale da imporre i rispettivi provvedimenti di rigore.

A tali considerazioni il giudice a quo aggiunge il rilievo che l'automatismo censurato è in sé in grado di determinare disparità di trattamento a seconda del momento in cui viene chiesta o decisa la concessione della liberazione anticipata rispetto alla condanna per il nuovo reato, giacché ove la condanna sia antecedente alla decisione sulla liberazione anticipata non si determina un effetto preclusivo, mentre nel diverso caso la revoca automatica impedisce qualsiasi valutazione della condotta dalla quale è scaturita la condanna.

Considerato in diritto

 

1.-Il Tribunale di sorveglianza di Firenze solleva questione di legittimità costituzionale della disciplina dettata dall'art. 54, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), a norma del quale il beneficio della liberazione anticipata è revocato nell'ipotesi in cui intervenga una condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio medesimo.

Ritiene il giudice a quo che la norma impugnata contrasti con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto l'automatismo della revoca della concessione della liberazione anticipata nel caso di condanna per qualsiasi delitto non colposo commesso dopo l'applicazione del beneficio, non consente di valutare se il soggetto, malgrado il reato commesso, abbia continuato nella sua partecipazione all'opera di rieducazione cui è finalizzata l'esecuzione della pena; un contrasto, osserva il rimettente, che viene confermato dalla circostanza che la revoca automatica del beneficio in questione non potrà che danneggiare e ritardare lo sviluppo e la prosecuzione del percorso rieducativo. La norma oggetto di censura determinerebbe, poi, una irragionevole disparità di trattamento con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, giacchè, mentre la commissione di un delitto non colposo durante l'esecuzione non impedisce la concessione del beneficio ave la decisione non sia ancora intervenuta, nel caso contrario produce la revoca della liberazione anticipata in modo automatico e senza possibilità di alcuna valutazione della rilevanza del fatto.

2. - La questione è fondata.

Sin dai primi commenti sviluppatisi in relazione alla disciplina dettata dalla legge n. 354 del 1975, la dottrina più avveduta non mancò infatti di stigmatizzare le gravi incongruenze cui dava luogo il carattere di rigido automatismo che il legislatore aveva impresso alla revoca dei provvedimenti di riduzione della pena a seguito di condanna per qualunque delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione dopo la concessione del beneficio, segnalando a tal proposito le aberranti conseguenze che un siffatto meccanismo era in grado di determinare, non soltanto sul piano della inadeguatezza rispetto alla gravità del reato ed all'entità della condanna, addirittura macroscopica nelle ipotesi in cui per il delitto in questione fosse stata inflitta la sola pena pecuniaria, ma anche sotto il profilo della totale incoerenza rispetto alla finalità rieducativa che l'istituto della liberazione anticipata è chiamato a soddisfare.

Conseguenze, quelle accennate, che hanno finito per assumere nel tempo connotazioni ancor più contraddittorie rispetto alla funzione della misura, specie ove si considerino le rilevanti modifiche apportate alla liberazione anticipata dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, il cui dato più appariscente è rappresentato proprio dal notevole incremento delle riduzioni di pena concedibili per ogni semestre di pena detentiva espiata, passate dagli originari venti giorni alla ben più ragguardevole detrazione di quarantacinque giorni per ogni semestre. È evidente, quindi, che nel disegno perseguito dal legislatore la liberazione anticipata è destinata a svolgere un ruolo di particolare risalto nel quadro del trattamento penitenziario, al punto da aver giustificato un incremento tanto sensibile dei benefici che dall'istituto possono scaturire per il condannato e, conseguentemente, una incidenza così marcata sulla stessa evoluzione del rapporto esecutivo. D'altra parte, se il trattamento è diretto a promuovere un processo di modificazione degli atteggiamenti del condannato che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale (art. 1 del d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431) e se a questo scopo è necessario l'approntamento di un sistema che favorisca la collaborazione dell'interessato (art. 13 della legge n. 354 del 1975), ben si comprende l'importanza che in tale contesto assume una misura premiale destinata a offrire, attraverso l'incentivo della detrazione di pena, un positivo stimolo nei confronti del beneficiario, così da agevolarne l'adesione al trattamento e la fattiva e responsabile partecipazione nell'opera di rieducazione.

Correttamente, quindi, il giudice a quo evoca a raffronto il diverso regime che disciplina la revocabilità delle misure alternative alla detenzione previste dall'ordinamento penitenziario per rilevare l'ingiustificato arresto che può subire il percorso di risocializzazione del condannato in dipendenza dell'automatismo che invece contraddistingue la revoca della liberazione anticipata. Ed infatti, a differenza di quanto previ sto in tema di affidamento in prova al servizio sociale, di detenzione domiciliare e di semilibertà, non è la condotta del soggetto ad essere valutata in rapporto alla natura ed alla funzione del beneficio preso in esame, ma unicamente il dato rappresentato dalla condanna per qualunque delitto non colposo.

Tale indifferenza normativa per qualsiasi tipo di apprezzamento in ordine alla compatibilità o meno degli effetti che scaturiscono dalla liberazione anticipata rispetto al valore sintomatico che in concreto può assumere l'intervenuta condanna, lascia quindi presupporre che al fondo di una simile rigorosa opzione stia nulla più che un preciso disegno volto ad assicurare, attraverso un meccanismo di tipo meramente sanzionatorio, la sola < buona condotta> del soggetto in espiazione di pena, relegando così nell'ombra proprio quella funzione di impulso e di stimolo ad una efficace collaborazione nel trattamento rieducativo che costituisce l'essenza stessa dell'istituto.

La norma impugnata deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, restando assorbiti gli ulteriori profili denunciati dal giudice a quo, nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anzichè stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 54, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso di condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio anzichè stabilire che la liberazione anticipata è revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/05/95.