Sentenza n. 177 del 1995

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SENTENZA N.177

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1993 dal Consiglio di Stato, VI sezione giurisdizionale, sul ricorso proposto da Marino Domenica, iscritta al n. 503 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione di Marino Domenica; udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1995 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio promosso quale "opposizione di terzo, a norma dell'art. 404, primo comma, del codice di procedura civile", da una candidata che, superate le prove del concorso magistrale e collocatasi all'ultimo posto della graduatoria di merito e quindi nominata in ruolo, si era vista annullata la nomina a seguito del giudicato formatosi per effetto della sentenza n. 669 del 15 settembre 1986 del giudice amministrativo di secondo grado, confermativa di quella di primo grado con cui il TAR della Calabria aveva annullato l'esclusione dal concorso di altra candidata, il Consiglio di Stato, Sez. VI, con ordinanza del 4 giugno 1993 (pervenuta alla Corte costituzionale il 20 luglio 1994) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), "nella parte in cui non prevede, in favore del terzo, l'esperibilità di un mezzo giurisdizionale uguale a quello previsto e disciplinato dall'art. 404, primo comma, del codice di procedura civile, contro la decisione pronunciata dal Consiglio di Stato in secondo grado".

Preso atto che la ricorrente si duole che sia il giudizio di primo grado che quello di secondo grado si siano svolti senza la sua partecipazione, sebbene direttamente interessata quale concorrente inclusa nella graduatoria dei vincitori, il giudice a quo lamenta che nel processo amministrativo non sarebbe

prevista l'opposizione di terzo, quale mezzo di impugnazione contro la decisione pronunciata in secondo grado dal Consiglio di Stato, e che tale lacuna - non colmabile con un'interpretazione che consenta l'applicabilità dell'art. 404 del codice di procedura civile, a causa del principio di tipicità dei mezzi di impugnazione di cui alla norma denunciata (e all'art. 28 della stessa legge n. 1034 per le sentenze dei TAR) - contrasterebbe "con il principio di eguaglianza di tutti i cittadini (art. 3 della Costituzione), nella particolare espressione della pari possibilità di tutela giurisdizionale (art. 24 della Costituzione) nei confronti degli atti della pubblica amministrazione (art. 113 della Costituzione)"; e ciò tanto se la lesione provocata dalla decisione riguardi un di ritto soggettivo quanto se riguardi un interesse legittimo, dal momento che "la situazione del terzo titolare di un interesse legittimo non è meno meritevole di tutela", garantita dagli artt. 24 e 113 della Costituzione "sullo stesso piano del diritto soggettivo, sebbene in forma e con risultati diversi".

Quanto alla rilevanza, il giudice rimettente osserva che la soluzione della questione incide sulla stessa ammissibilità del ricorso proposto nel giudizio principale.

2.- Si è costituita in giudizio la parte privata per chiedere l'accoglimento della questione. Solo in prossimità dell'udienza di discussione ha depositato una memoria illustrativa, della quale non può tenersi alcun conto perchè presentata fuori termine.

Considerato in diritto

1.- È stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) "nella parte in cui non prevede, in favore del terzo, l'esperibilità di un mezzo giurisdizionale uguale a quello previsto e disciplinato dall'art. 404, primo comma, del codice di procedura civile, contro la decisione pronunciata dal Consiglio di Stato in secondo grado".

Ad avviso del giudice a quo la mancata previsione del rimedio nel processo amministrativo contrasta con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, risultando violati il diritto di difesa (art. 24), perchè la lacuna non è colmabile con un'interpretazione estensiva del rimedio dell'art. 404 del codice di procedura civile al processo amministrativo, ed il "principio di eguaglianza (art. 3) di tutti i cittadini, nella particolare espressione di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione" (art. 113), che impone la previsione del rimedio tanto se la lesione provocata dalla decisione riguardi un diritto soggettivo quanto se attenga a un interesse legittimo, la cui tutela non può essere inferiore a quella riservata ai diritti soggettivi.

2.1.- La questione è fondata.

Il giudice a quo, ravvisando l'esigenza che il terzo, il quale si ritenga pregiudicato da una decisione del giudice amministrativo inter alios iudicata, debba essere abilitato in qualche modo a far valere le sue ragioni, rileva che l'art. 36 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, non prevede un istituto "uguale" (come si afferma nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione) o "equivalente" (come si dice nella motivazione) alla opposizione di terzo ordinaria, che è invece disciplinata in modo espresso nel nostro diritto positivo dall'art. 404, primo comma, del codice di procedura civile, ritenuto inapplicabile, però, per "il principio della tipicità dei mezzi di impugnazione", al processo amministrativo "riguardando ... la disciplina di altro ordinamento processuale".

Per delimitare l'ambito della questione è innanzitutto opportuno precisare che l' opposizione di terzo prevista dall'art. 404, primo comma, del codice di procedura civile, cui intende riferirsi l'ordinanza di rimessione, è generalmente definita "ordinaria" per distinguerla da quella detta "revocatoria", estranea alla questione, contemplata dal secondo comma dello stesso art. 404 per consentire ai creditori ed aventi causa di una delle parti di opporsi ad una sentenza che sia effetto di dolo o collusione.

2.2.- In presenza della premessa da cui muove il giudice amministrativo, con argomentazioni non implausibili circa la non applicabilità in via interpretativa della disciplina del codice di procedura civile, sembra opportuno precisare che l'opposizione di terzo è prevista nel diritto vigente, oltre che nel processo civile, anche in altri tipi di processo.

Difatti l'art. 93 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 contempla il rimedio, mediante espresso rinvio alle norme del codice di procedura civile, per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti.

Il mezzo è inoltre previsto dall'art. 39 dello Statuto della Corte di giustizia delle Comunità europee e dall'art. 97 del relativo regolamento di procedura, sia pure con presupposti in parte diversi da quelli considerati dal nostro codice di procedura civile.

Per completare il quadro normativo vigente è infine utile precisare che talune fonti normative denominano ugualmente "opposizione di terzi" rimedi in realtà del tutto diversi da quello di cui ci si sta occupando. Si tratta degli istituti disciplinati dall'art. 615 e seguenti del codice di procedura civile, relativamente al processo di esecuzione ordinario, e dall'art. 52 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, concernente l'esecuzione esattoriale in materia di riscossione delle imposte sul reddito. In queste due ultime ipotesi si è in presenza di rimedi che, nonostante la comune denominazione, non costituiscono, come le altre opposizioni di terzo, mezzi di impugnazione. Essi non tendono a rimuovere gli effetti pregiudizievoli di una sentenza inter alios iudicata, bensì a consentire a chi si affermi titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale su beni assoggettati a pignoramento in processi esecutivi che riguardano altri soggetti, di far valere i propri diritti nei confronti dell'esecutante.

Di conseguenza non può farsi alcun riferimento alla disciplina di questi ultimi istituti per mutuarne i principi, in relazione alla presente questione.

2.3.- I principi elaborati relativamente all'opposizione di terzo - nel senso che riguarda il presente giudizio - dalla giurisprudenza e dalla dottrina civilprocessualistica costituiscono un indispensabile punto di riferimento per la teoria generale del processo, in quanto il rimedio, sia pur presente, come si è ricordato, anche in altri tipi di processo, trova più compiuta disciplina nel codice di procedura civile, che può considerarsi in proposito il prototipo tanto che parte della dottrina ha ritenuto che la disciplina fosse applicabile in via interpretativa al processo amministrativo.

L'esigenza del rimedio è, in base agli orientamenti prevalenti, desunta dalla constatazione della possibilità che - nonostante la regola generale, dettata dall'art. 2909 del codice civile, dell' inefficacia della sentenza nei confronti di soggetti diversi dalle parti del processo a conclusione del quale essa sia stata pronunciata - si presentino casi in cui, per effetto della cosa giudicata, venga a determinarsi una obbiettiva incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa. Il mezzo di impugnazione di cui si tratta trae perciò ispirazione da tale evenienza e consente a coloro che non sono stati coinvolti nel processo di far valere le loro ragioni, infrangendo lo schermo del giudicato per rimuovere il pregiudizio che da esso possa loro derivare. Ciò sia nel caso che la situazione vantata dall'opponente ed incompatibile con quella affermata dal giudicato venga considerata dal diritto sostanziale prevalente rispetto a quest'ultima, sia nel caso che la sentenza cui ci si oppone risulti (come si assume appunto nel giudizio a quo) pronunciata senza il rispetto di regole processuali.

Evenienze del genere si manifestano certamente anche nel processo amministrativo, la cui disciplina, come si è rilevato, non contempla espressamente il rimedio e non consente, come si è ricordato, secondo il giudice a quo, l'applicazione in via giurisprudenziale dell'istituto quale disciplinato nel codice di procedura civile. Anzi, a causa dell'intreccio dei rapporti naturalmente implicati dall'attività amministrativa e dai relativi procedimenti oggetto di sindacato giurisdizionale, è probabile che detta evenienza possa manifestarsi più frequentemente proprio in questo processo e non soltanto nei casi in cui un controinteressato, parte necessaria, sia stato pretermesso e non abbia potuto far valere le sue ragioni. Non di rado, difatti, l'azione amministrativa, direttamente o di riflesso, coinvolge per sua natura una pluralità di soggetti che non sempre sono ritenuti parte necessaria nelle controversie oggetto del giudizio. Data la peculiare natura del processo amministrativo che, come attualmente configurato, si svolge normalmente tra i soggetti interessati dall'atto impugnato, è possibile che la sentenza che lo conclude possa poi dar luogo, per la sua attuazione, ad altri procedimenti interferenti su rapporti facenti capo a soggetti che non dovevano o, in alcuni casi, addirittura non potevano partecipare al processo e dunque diversi dai destinatari in senso formale della sentenza medesima.

È appunto questa la fattispecie che ha dato occasione al giudizio a quo dinanzi al Consiglio di Stato, giudizio introdotto da un ricorso-opposizione di terzo proposto da un soggetto, risultato in un primo momento vincitore di un concorso, avverso una sentenza del Consiglio stesso che, con fermando la sentenza di primo grado, aveva annullato l'esclusione dal concorso di un altro concorrente.

Ciò a conclusione di un processo nel quale gli altri concorrenti - tra i quali il ricorrente che ha proposto l'opposizione di terzo - non erano stati chiamati in giudizio, perchè in casi del genere si ritiene normalmente che, nella controversia che concerne l'atto di esclusione di un candidato, gli altri concorrenti non sono da considerarsi controinteressati siccome non direttamente contemplati dall'atto.

L'amministrazione, per dare esecuzione al giudicato del Consiglio di Stato, ha annullato la nomina del concorrente già dichiarato vincitore per rendere disponibile il posto da attribuire al concorrente riammesso dopo la esclusione annullata, poichè quest'ultimo precedeva l'altro nella graduatoria di merito.

Come altresì risulta dall'ordinanza di rimessione, il ricorso in opposizione si propone lo scopo di far annullare la sentenza del Consiglio di Stato - che ha costituito il presupposto dell'annullamento in via amministrativa della nomina del terzo-opponente - e si fonda sia sul motivo che il processo conclusosi con la sentenza opposta si era svolto senza la partecipazione necessaria del ricorrente ritenuto controinteressato, sia sulla asserita inammissibilità del ricorso di primo grado dell'altro concorrente a causa della tardività della impugnazione di un provvedimento presupposto e del bando di concorso.

Nell'ordinanza di rimessione si lamenta che, nonostante l'incidenza del giudicato del Consiglio di Stato nella sfera del terzo opponente - avendo la sentenza costituito, come si è detto, il presupposto per l'intervenuto annullamento della sua nomina quale vincitore del concorso - allo stato del la disciplina del processo amministrativo, che non conosce l'opposizione di terzo, manca la possibilità per il terzo di far valere le sue ragioni allo scopo di rimuovere il pregiudizio derivante dal giudicato che ha prodotto una situazione incompatibile con la sua.

Vero è che per ovviare in via preventiva alla possibilità che una sentenza, pronunciata nei confronti di soggetti direttamente contemplati nell'atto impugnato, possa produrre effetti nei confronti di terzi senza che questi siano stati coinvolti nel giudizio perchè formalmente non erano considerati controinteressati, la giurisprudenza amministrativa dimostra non solo propensione ad ammettere l'intervento nel processo (talvolta anche con la chiamata in giudizio) di soggetti che abbiamo un qualsiasi interesse nella controversia, ma anche a riconoscere la legittimazione di soggetti che non abbiano partecipato al giudizio di primo grado ad appellare la sentenza emessa a conclusione di quest'ultimo giudizio. Ma se ciò non avvenga, appare indispensabile consentire al terzo, toccato dal giudicato, di far valere le sue ragioni dotandolo di un apposito mezzo di impugnazione equivalente a quello che, in altri processi, consente di soddisfare le medesime esigenze.

La mancanza attuale del rimedio nel processo amministrativo determina, perciò, una situazione di contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per cui deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede l'opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato.

3.- L'accoglimento della questione nei termini anzidetti esonera dall'esame della questione stessa sollevata in riferimento all'art. 113 della Costituzione.

4.- Le medesime ragioni, che hanno condotto all'accoglimento della questione, valgono nei con fronti delle sentenze del giudice amministrativo di primo grado, passate in giudicato perchè non appellate, che possano ugualmente recare pregiudizio ad un terzo non evocato in giudizio quale parte necessaria, o che comunque abbiano disposto un assetto di interessi incompatibile con la situazione giuridica di cui il terzo vanti la titolarità.

Deve pertanto, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, estendersi la dichiarazione di illegittimità costituzionale all'art. 28 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede l'opposizione di terzo ordinaria tra i mezzi di impugnazione avverso le sentenze del tribunale amministrativo regionale passate in giudicato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali) nella parte in cui non prevede l'opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato; dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede l'opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di impugnazione delle sentenze del tribunale amministrativo regionale divenute giudicato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 maggio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 maggio 1995.