Ordinanza n. 170 del 1995

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ORDINANZA N.170

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del- l'art. 20, primo e secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n.300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promosso con ordinanza emessa il 3 settembre 1994 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra la FIOM-CGIL e la s.r.l. SMABO iscritta al n. 678 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 3 maggio 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

RITENUTO che, nel corso di un procedimento promosso dalla FIOM-CGIL di Bologna contro la s.r.l. SMABO ai sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, per ottenere la dichiarazione di antisindacalità - con i conseguenti provvedimenti - del rifiuto opposto dal datore di lavoro alla richiesta, presentata da un lavoratore iscritto al predetto sindacato, di un'assemblea retribuita dei dipendenti durante l'orario di lavoro, il Pretore di Bologna, con ordinanza del 3 settembre 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 18, 21, 39 e 41 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della citata legge n. 300 del 1970, "nella parte in cui consente solamente alle rappresentanze sindacali aziendali di indire riunioni dei lavoratori dipendenti nell'unità produttiva in cui prestano la loro opera, su temi di interesse sindacale, con diritto alla normale retribuzione, nella misura di dieci ore annue"; che, ad avviso del giudice remittente, l'esclusione del diritto dei singoli lavoratori di convocare, congiuntamente o disgiuntamente, assemblee retribuite indipendentemente dalla presenza nell'azienda di rappresentanze sindacali aziendali costituite ai sensi dell'art. 19 della legge n. 300, determina "un limite oggettivo per la libertà e l'iniziativa di natura sindacale di tutti i lavoratori di riunirsi in assemblea nel posto e in orario di lavoro, per la differenza di trattamento che incontestabilmente sussiste"; che nella specie un'assemblea indetta fuori orario da un lavoratore sindacalizzato, allo scopo di costituire una rappresentanza sindacale aziendale, si era conclusa con esito negativo, non avendo la proposta ottenuto un numero sufficiente di voti favorevoli; che nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

CONSIDERATO che il principio della libertà sindacale sancito dall'art. 39 Cost., di cui è una specificazione l'art. 14 della legge n. 300 del 1970, impone agli imprenditori un mero obbligo negativo di astenersi da ogni comportamento diretto a impedire o limitare l'attività sindacale dei lavoratori - soggetta però, nei luoghi di lavoro, alla condizione di non recare pregiudizio al normale svolgimento dell'attività aziendale - e quindi garantisce ai lavoratori e alle loro rappresentanze soltanto il diritto di convocare assemblee fuori dall'orario di lavoro per trattare materie attinenti ai loro interessi professionali o sindacali e in genere per manifestare il proprio pensiero, sicchè è palesemente insussistente la pretesa violazione degli artt. 18, 21 e 39 Cost.; che palesemente insussistente è pure l'asserita violazione dell'art. 41 Cost., l'iniziativa sindacale essendo estranea al concetto di iniziativa economica privata, che delimita l'ambito applicativo di questa norma; che le norme c.d. promozionali dello statuto dei lavoratori eccedono il contenuto della garanzia costituzionale della libertà sindacale per tradursi in un intervento giuridico-istituzionale qualificato da una funzione di sostegno dell'organizzazione sindacale dei lavoratori all'interno delle imprese, comportante obblighi positivi e oneri finanziari a carico dei datori di lavoro; che pertanto, trattandosi di una scelta di politica legislativa, il legislatore può discrezionalmente limitare la titolarità dei diritti e dei poteri previsti nel titolo III dello statuto o subordinarne l'esercizio a certe condizioni - come nel caso del diritto di assemblea - in guisa da assicurare che essi operino a sostegno dell'azione di organismi sindacali dotati di effettiva rappresentatività dei dipendenti dell'azienda; che a tale criterio risponde la norma impugnata, la quale configura il diritto di assemblea come diritto dei lavoratori ad esercizio collettivo, riservato alle rappresentanze sindacali aziendali aventi gli indici di rappresentatività prescritti dall'art. 19 dello statuto, onde l'art. 3 Cost. non può dirsi violato nè sotto il profilo del principio di razionalità, nè sotto il profilo di eguaglianza, le rappresentanze aziendali qualificate dai detti indici non essendo comparabili nè con singoli lavoratori iscritti a sindacati esterni, nè con rappresentanze aziendali costituite a norma dell'art. 14, ma prive dei requisiti dell'art. 19; che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge n. 300 del 1970 è stata più volte dichiarata non fondata da questa Corte in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost. (sentenze nn. 54 del 1974, 334 del 1988 e 30 del 1990).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 18, 21, 39 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 maggio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 maggio 1995.