Sentenza n. 159 del 1995

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SENTENZA N.159

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 31, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 1992, n. 25 (recte: n. 19), recante "Modifiche alle leggi regionali 20 novembre 1989, n. 28 (Agevolazioni della formazione degli strumenti urbanistici generali ed attuativi), 19 novembre 1991, n. 52 (Norme in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica) e 13 maggio 1988, n. 29 (Norme per l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di protezione delle bellezze naturali), nonchè ulteriori disposizioni in materia urbanistica", promosso con ordinanza emessa il 4 luglio 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Udine nel procedimento penale a carico di Guerra Pierino iscritta al n. 570 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40 prima serie speciale dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento della Regione Friuli- Venezia Giulia; udito nella camera di consiglio del 5 aprile 1995 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto in fatto

1.- Nel procedimento penale nei confronti di Guerra Pierino, imputato del reato previsto dall'art. 1-sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431, e punito dall'art. 20, lettera c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, avendo esercitato attività di coltivazione di cava entro una fascia di 150 metri dalla sponda del torrente Torre, in assenza dell'autorizzazione richiesta dall'art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, trattandosi di zona vincolata ai sensi dell'art. 1, lettera c), della legge n. 431 del 1985, il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Udine, con ordinanza adottata il 4 luglio 1994 (R.O. n. 570 del 1994), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 1992, n. 25 (recte: n. 19), recante "Modifiche alle leggi regionali 20 novembre 1989, n. 28 (Agevolazioni della formazione degli strumenti urbanistici generali ed attuativi), 19 novembre 1991, n. 52 (Norme in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica) e 13 maggio 1988, n. 29 (Norme per l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di protezione delle bellezze naturali), nonchè ulteriori disposizioni in materia urbanistica", in riferimento agli artt. 9 e 25, secondo comma, della Costituzione.

Rileva l'ordinanza che l'illegittimità costituzionale era stata eccepita dal pubblico ministero, rispetto all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, in alternativa alla richiesta di archiviazione del procedimento.

Premesso che l'attività di cavazione risulta autorizzata con decreto dell'assessore all'industria della Regione (n. 712 del 24 luglio 1986) e si svolge in difetto dell'autorizzazione paesistica, il giudice remittente osserva che - trattandosi di attività tutt'ora in essere, autorizzata dopo l'entrata in vigore della legge n. 431 del 1985 e prima della legge regionale 13 dicembre 1989, n. 36 (che richiede un'autorizzazione paesistica espressa) - tale attività rientra nell'ambito di applicabilità della legge regionale n. 19 del 1992 che, all'art. 31, prevede un "procedimento amministrativo di verifica di compatibilità ambientale", di competenza del "direttore regionale della pianificazione territoriale, il quale, in caso di esito negativo, deve provvedere alla revoca, anche parziale, dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività estrattiva".

Secondo la prospettazione del giudice a quo, tale disposizione della legge regionale autorizzerebbe implicitamente l'attività di cavazione sino all'emanazione del provvedimento esplicito, positivo o negativo, del direttore regionale della pianificazione territoriale. Richiamate le decisioni della Cassazione secondo le quali è illecita qualunque attività di cavazione se non preventivamente autorizzata ai fini paesistici, nonchè le decisioni nelle quali la Cassazione esclude la sanatoria per il reato previsto dall'art. 1-sexies, il giudice a quo rileva che, dopo l'entrata in vigore dell'articolo impugnato, l'autorità giudiziaria del Friuli-Venezia Giulia non potrebbe perseguire penalmente - anche sotto il profilo della possibilità di adottare misure cautelari reali - l'esercizio di attività di cavazione in zona vincolata, ove esista un'autorizzazione estrattiva ma non un'espressa autorizzazione paesistica, non essendo esigibile che il privato richieda un'esplicita autorizzazione, in presenza di una norma regionale che lo legittima ad attendere un provvedimento dell'autorità.

Sulla base di tali considerazioni il giudice remittente prospetta da parte della norma in questione la violazione: a) dell'art. 9 della Costituzione, in quanto, consentendo l'attività modificativa di luoghi sottoposti a vincolo paesistico senza preventiva autorizzazione paesistica, pregiudicherebbe la tutela del paesaggio; b) dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per violazione del principio di riserva di legge statale in materia penale.

2.- È intervenuta la Regione Friuli-Venezia Giulia, concludendo per l'infondatezza della questione.

Secondo la difesa della Regione, il giudice remittente avrebbe operato una non corretta ricostruzione della normativa regionale vigente a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 431 del 1985, omettendo di dare adeguato rilievo, nel procedimento logico interpretativo, alla legge regionale 28 ottobre 1986, n. 42.

Gli interventi estrattivi autorizzati nel periodo in considerazione sarebbero, secondo la Regione, legittimi anche sotto il profilo paesaggistico essendo stato acquisito nel relativo procedimento l'accertamento di compatibilità urbanistica e paesaggistica ad opera del Comune nel cui territorio ricadeva l'intervento.

La norma censurata avrebbe previsto una verifica ed un'autorizzazione esplicita solo in ottemperanza alla sentenza della Corte costituzionale n. 437 del 1991 che, nel dichiarare l'illegittimità dell'art. 3 della legge regionale n. 42 del 1986 e, in via consequenziale, dell'art. 1 della legge regionale n. 36 del 1989, ha imposto un'autorizzazione paesistica esplicita anche nell'ambito dei Comuni dotati di strumenti urbanistici adeguati al piano urbanistico regionale.

In conclusione, secondo la difesa della Regione, la norma impugnata non violerebbe l'art. 9 della Costituzione, perchè gli interventi estrattivi autorizzati tra il 1986 e il 1989 erano assentiti anche sotto il profilo paesaggistico in base alla normativa allora vigente.

Inoltre, la stessa norma non violerebbe l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, perchè l'attività, allora non penalmente perseguibile, con la norma impugnata è stata sottoposta ad una verifica della persistenza della compatibilità ambientale per pervenire ad un'autorizzazione espressa.

Considerato in diritto

1.- Il Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Udine dubita della legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 1992, n. 19, in quanto, per le attività di cava in zona vincolata autorizzate dopo l'entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, n. 431, e prima dell'entrata in vigore della legge regionale 13 dicembre 1989, n. 36, consentirebbe la prosecuzione dell'attività di cavazione in assenza dell'autorizzazione paesistica, con conseguente inapplicabilità della sanzione penale prevista per l'esercizio della stessa attività senza preventiva autorizzazione paesistica.

L'ordinanza di rimessione muove dal presupposto che la disposizione impugnata preveda un'autorizzazione implicita, in contrasto con l'autorizzazione esplicita prevista dall'art. 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e da ciò trae la conseguenza dell'esistenza di una "sanatoria" penale.

2.- La questione non è fondata nei termini di seguito precisati.

Il giudice remittente pone a fondamento della questione di costituzionalità sollevata un'interpretazione dell'art. 31 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 1992 che non può essere condivisa. La disposizione viene censurata dal giudice a quo sul presupposto che la stessa introduca una forma di autorizzazione implicita, sino all'emanazione del provvedimento autorizzativo rilasciato all'esito del procedimento di verifica di compatibilità paesaggistica spettante alla competenza della direzione regionale della pianificazione territoriale.

Pertanto, alla luce di tale interpretazione, coloro che fossero stati autorizzati all'attività di cavazione, dopo l'entrata in vigore della legge n. 431 del 1985 e prima dell'entrata in vigore della legge regionale n. 36 del 1989, non sarebbero penalmente perseguibili, nonostante la mancanza di un'autorizzazione paesistica rilasciata ai sensi dell'art. 7 della legge n. 1497 del 1939. Dal che la conseguente lesione degli artt. 9 e 25, secondo comma, della Costituzione.

Tale interpretazione appare, peraltro, in contrasto sia con le finalità che con i contenuti espressi nella norma impugnata.

In primo luogo, va, infatti, rilevato che l'art. 31 della legge regionale n. 19 del 1992 è stato dichiaratamente approvato per soddisfare - secondo quanto indicato da questa Corte nella sentenza n. 437 del 1991 - l'esigenza di prevedere l'esistenza di un provvedimento esplicito di autorizzazione paesistica per tutte le opere in zone vincolate: e questo al fine di evitare di veder vanificati il controllo sostitutivo ed il potere di annullamento attribuiti al Ministro per i beni culturali ed ambientali dall'art. 1, comma quinto, della legge n. 431 del 1985.

In secondo luogo, va considerato che lo stesso art. 31 - nel disciplinare la verifica di compatibilità paesaggistica delle autorizzazioni all'attività di cavazione rilasciate nel periodo considerato - rinvia espressamente all'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, precisando che il rinvio è effettuato "ai sensi e per gli effetti " di cui all'articolo richiamato.

Va, infine, aggiunto che i commi 2 e 3 dello stesso art. 31 disciplinano il rilascio e il diniego espresso dell'autorizzazione paesistica. In particolare, il provvedimento positivo è trasmesso al Ministero ai fini dell'esercizio eventuale del potere di annullamento, mentre il provvedimento negativo è trasmesso all'assessore competente per la revoca, anche parziale, dell'autorizzazione all'attività estrattiva. Appare, dunque, evidente che il procedimento di verifica di compatibilità paesaggistica non ha altro obiettivo che il rilascio di un'autorizzazione paesistica espressa, in caso di esito positivo, ovvero la revoca dell'autorizzazione di cavazione, in caso di esito negativo.

La legge regionale - limitatamente alle cave autorizzate in un periodo in cui presumibilmente i titolari non avevano richiesto l'autorizzazione paesistica, stante la vigenza della legge regionale n. 42 del 1986, che, all'art. 3 (dichiarato incostituzionale con la già ricordata sentenza n. 437 del 1991), riconosceva sottoposte a vincolo paesistico solo le aree dei Comuni con strumenti urbanistici non adeguati al piano urbanistico regionale - si limita, infatti, a prevedere l'iniziativa degli uffici regionali al fine di rilasciare l'autorizzazione paesistica o revocare l'autorizzazione al- l'attività di cava, in base all'esito positivo o negativo della verifica di compatibilità ambientale. Obiettivo questo che non appare in contrasto con quello perseguito dal legislatore nazionale mediante la richiesta di una autorizzazione paesistica espressa e la previsione di una sanzione penale per coloro che esercitino l'attività di cavazione senza la necessaria autorizzazione paesistica.

Da quanto esposto deriva che, nelle more del rilascio dell'autorizzazione espressa o del provvedimento di diniego, secondo la procedura di cui all'art. 31, l'attività di cavazione nelle zone paesisticamente vincolate della Regione Friuli- Venezia Giulia non può ritenersi nè implicitamente autorizzata nè penalmente consentita.

Non sussiste, di conseguenza, la violazione dei parametri costituzionali invocati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 14 luglio 1992, n. 19, recante "Modifiche alle leggi regionali 20 novembre 1989, n. 28 (Agevolazioni della formazione degli strumenti urbanistici generali ed attuativi), 19 novembre 1991, n. 52 (Norme in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica) e 13 maggio 1988, n. 29 (Norme per l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di protezione delle bellezze naturali), nonchè ulteriori disposizioni in materia urbanistica", in riferimento agli artt. 9 e 25, secondo comma, della Costituzione, questione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari della Pretura di Udine con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/05/95.