Sentenza n. 156 del 1995

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SENTENZA N.156

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12, commi 2 e 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane), promosso con ricorsi delle Regioni Lombardia e Abruzzo, notificati il 10 e 11 marzo 1994, depositati in cancelleria il 16 e 21 marzo 1994 ed iscritti ai nn. 27 e 28 del registro ricorsi 1994.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni; uditi gli avv.ti Giuseppe Franco Ferrari per la Regione Lombardia e Adriano Rossi per la Regione Abruzzo e l'Avv. dello dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.1. - Con ricorso notificato il 10 marzo 1994 la Regione Lombardia ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 42, 97, 115, 117 e 118 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, commi 2 e 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97. L'art. 12, comma 2, prevede che "nei comuni montani i decreti di espropriazione per opere pubbliche o di pubblica utilità, per i quali i soggetti espropriati abbiano ottenuto, ove necessario, l'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e quella del Ministero dell'ambiente, determinano la cessazione degli usi civici eventualmente gravanti sui beni oggetto di espropriazione".

Il comma 3 soggiunge: "Il diritto a compensi, eventualmente spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropriati, determinati dal Commissario agli usi civici, è fatto valere sull'indennità di espropriazione".

1.2. - A giudizio della ricorrente la prima di tali disposizioni lede in primo luogo le competenze regionali in materia di "agricoltura e foreste", della quale gli usi civici sono una submateria, come si desume dall'art. 66 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e più volte ha riconosciuto questa Corte (cfr. sentenze nn. 221 del 1992, 511 del 1991 e 511 del 1988).

Dalla gestione di questa materia "sono conseguentemente escluse tutte le autorità statali, tanto è vero che gli stessi commissari liquidatori mantengono le sole competenze di carattere giurisdizionale".

In secondo luogo, la norma impugnata, in quanto prevede la cessazione degli usi civici gravanti sui beni espropriati quale effetto automatico dei decreti di espropriazione, rovescia l'assetto normativo previgente, costituito dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, e dalla legislazione regionale, secondo cui la cessazione degli usi civici è l'atto finale di un complesso procedimento di liquidazione o di affrancazione, del quale i vari organi regionali competenti devono, ciascuno per la sua parte, valutare l'opportunità anche in relazione alla tutela dell'ambiente e le contropartite. Sicchè l'automatismo introdotto dalla legge censurata, estromettendo la Regione dalla valutazione dei motivi che dovrebbero giustificare la cessazione degli usi civici, oltre a sovvertire l'ordine costituzionale delle competenze regionali, violerebbe anche il principio di buon andamento dell'amministrazione, coordinato col principio di razionalità, nonchè il valore costituzionale dell'ambiente tutelato dagli artt. 9 e 32 Cost.

In proposito è invocata la sentenza n. 393 del 1992, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dello strumento di intervento urbanistico - denominato "programma integrato di intervento" - in ragione dell'automatismo degli effetti prodotti dal programma, il quale, da un lato, mortificava le competenze regionali in materia di governo del territorio, dall'altro ledeva l'interesse generale a un uso razionale del territorio.

1.3. - Quanto all'art. 12, comma 3, della legge n. 97 del 1994, la Regione ricorrente lamenta che è stata ripristinata una funzione amministrativa del Commissario "in palese violazione del vigente ordine di competenze costituzionalmente garantito". Oltre che contraria agli artt. 115, 117 e 118 Cost., la norma è ritenuta lesiva anche dagli artt. 42, terzo comma, e 97, primo comma, Cost., perchè la determinazione dei compensi viene affidata a un organo "privo delle necessarie competenze" per stabilire una misura congrua degli indennizzi, senza nemmeno prevedere che essa preceda la definitiva adozione del provvedimento di espropriazione.

1.4. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.

Ad avviso dell'Avvocatura, le censure rivolte all'art. 12, comma 2, non appaiono fondate alla luce di una corretta interpretazione della norma che, anzichè arrestarsi al dato letterale del testo, ne approfondisca la reale portata e ne valuti gli effetti nell'ambito del contesto generale nel quale essa è destinata a operare. Il decreto di espropriazione di terreni montani gravati da diritti di uso civico presuppone lo svolgimento di procedure amministrative, le quali implicano verifiche e apprezzamenti, in sede di dichiarazione di pubblica utilità o di approvazione del progetto, che consentono di tenere conto di tutti gli interessi pubblici connessi.

Per le opere che non sono di interesse nazionale le regioni hanno un ruolo determinante nell'ambito dei suddetti procedimenti; ma anche per le opere di interesse nazionale esse intervengono in modo decisivo proprio in tema di localizzazione dell'opera, soprattutto in riferimento alla conformità urbanistica e agli altri strumenti di pianificazione del territorio.

D'altra parte la legge n. 97 non trascura la tutela ambientale dei territori montani, cui va raccordato il valore essenziale che attualmente rivestono gli usi civici. L'art. 7 della legge orienta, infatti, a tale fine i piani pluriennali previsti dall'art. 29 della legge n. 142 del 1990, i quali, benchè affidati alle Comunità montane, "rientrano a pieno titolo in un quadro di governo regionale" (cfr. sentenza n. 343 del 1991).

L'introdotto automatismo dell'affrancazione dei terreni dai diritti di uso civico si colloca più sul piano di una semplificazione procedurale che non su quello della disciplina sostanziale, e comunque non esclude il controllo regionale nè menoma le prerogative delle regioni.

1.5. - In prossimità dell'udienza di discussione, entrambe le parti hanno depositato memorie integrative e di replica.

La Regione ricorrente si preoccupa specialmente di ribadire che le norme impugnate incidono, restringendole, sulle funzioni trasferite alla Regione ai sensi dell'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, non su quelle semplicemente delegate ai sensi dell'art. 82, così che contrariamente a quanto sostiene l'Avvocatura, nessun argomento a giustificazione dell'art. 12, comma 3, della legge n. 97 del 1994, attributivo al Commissario della competenza a determinare dei compensi per gli usi cessati, potrebbe trarsi dalla recente sentenza n. 46 del 1995, relativamente all'art. 11, comma 5, della legge 5 dicembre 1991, n. 394, in materia di parchi nazionali.

2.1. - Analoga questione, limitatamente però al comma 3 dell'art. 12 della legge n. 97 del 1994 è stata sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., dalla Regione Abruzzo con ricorso depositato il 21 marzo 1994.

Premesso che "l'art. 12, comma 2, ha innovato nella disciplina precedente secondo la quale l'espropriazione non poteva intervenire se non dopo la sdemanializzazione", la ricorrente contesta la legittimità costituzionale dell'attribuzione al Commissario della funzione amministrativa di determinazione dei compensi spettanti ai titolari dei diritti d'uso civico automaticamente estinti per effetto dei decreti di espropriazione.

2.2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, con atto di contenuto identico a quello depositato nel primo giudizio. In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza di discussione, la Regione ricorrente replica che "appare evidente come non vi sia congruenza tra i motivi di impugnativa dell'ente regionale e quanto sostenuto nell'atto di intervento" del Presidente del Consiglio, non essendo impugnato il comma 2 dell'art. 12.

Considerato in diritto

1. - Con ricorso depositato il 16 marzo 1994 la Regione Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 97, 115, 117 e 118 Cost., dell'art. 12, comma 2, della legge 31 gennaio 1994, n. 97, il quale prevede che "nei comuni montani i decreti di espropriazione per opere pubbliche o di pubblica utilità, per i quali i soggetti espropriati abbiano ottenuto, ove necessario, l'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e quella del Ministero dell'ambiente, determinano la cessazione degli usi civici eventualmente gravanti sui beni oggetto di espropriazione"; b) in riferimento agli artt. 42, 97, 115, 117 e 118 Cost., dell'art. 12, comma 3, della legge medesima, il quale dispone che "il diritto a compensi, eventualmente spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropriati, determinati dal Commissario agli usi civici, è fatto valere sull'indennità di espropriazione".

Il solo comma 3 dell'art. 12 è stato impugnato, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., anche dalla Regione Abruzzo con ricorso depositato il 21 marzo 1994.

2. - Considerato l'oggetto parzialmente identico, i due giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

3.1. - La questione sub a) è fondata nei limiti appresso spiegati.

Nel disporre che, nei casi e alle condizioni ivi previste, i decreti di espropriazione determinano l'estinzione dei diritti di uso civico eventualmente gravanti sui beni espropriati, l'art. 12, comma 2, della legge per le zone montane non si limita ad applicare il principio generale dell'art. 52, secondo comma, della legge 25 giugno 1865, n. 2359 (riferibile anche ai diritti di uso civico: arg. artt. 3 del r.d.l. 11 novembre 1938, n. 1834, e 9 della legge 12 maggio 1950, n. 230), ma assume un significato più pregnante.

L'espropriazione per opere pubbliche o di pubblica utilità di terreni situati in comuni montani e gravati da usi civici viene esonerata dal presupposto della preventiva assegnazione a categoria dei beni espropriandi, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 1766 del 1927, e altresì - se si accede all'opinione, sostenuta dalla Regione ricorrente, che richiede anche per l'espropriazione per pubblica utilità la condizione della c.d. sdemanializzazione - dal requisito dell'autorizzazione regionale di cui al successivo art. 12, comma 2.

Di questa riduzione delle proprie competenze la Regione ricorrente non può dolersi, nè con riguardo all'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, perchè lo Stato conserva il potere di modificare, derogare o abrogare le fonti legislative statali delle funzioni trasferite alle Regioni, nè in riferimento al principio di ragionevolezza, dal momento che la norma impugnata è coerente con lo scopo fondamentale della legge in cui è inserita, provvedendo a semplificare e accelerare le procedure amministrative per la realizzazione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia e alla valorizzazione delle zone montane, anche sotto il profilo delle qualità ambientali a norma degli artt. 1, comma 4, e 7 della legge n. 97. Nè, infine - trattandosi di una legge-quadro che detta nuovi principi fondamentali vincolanti per le Regioni - la ricorrente può trarre argomento di censura dal fatto di essere costretta a rivedere in qualche misura la propria legislazione in materia.

3.2. - Giustamente, invece, la Regione Lombardia lamenta di essere "del tutto estromessa dalla valutazione dei motivi che dovrebbero giustificare la cessazione degli usi civici".

Tale esclusione non solo si discosta dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, che tiene conto delle competenze regionali in materia urbanistica, ammettendo la Regione a partecipare all'accertamento di conformità dell'opera pubblica statale alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, ma determina anche una irrazionalità interna alla legge n. 97 del 1994 contraddicendo l'art. 1, comma 5, che chiama le regioni a concorrere alla tutela e alla valorizzazione dei territori montani.

L'art. 12, comma 2, implica una ponderazione dell'interesse pubblico alla costruzione di un'opera ordinata allo sviluppo economico del territorio montano con l'opposto interesse al mantenimento degli usi civici quali strumenti di conservazione della forma originaria del territorio, e quindi strumenti di tutela dell'ambiente. L'organo statale investito della domanda di esproprio non può compiere tale valutazione con piena cognizione di causa senza avere sentito il parere della Regione interessata, così che la norma impugnata deve essere integrata con questo requisito procedurale.

4. - È fondata anche la seconda questione.

Poichè nel procedimento di espropriazione per pubblica utilità il decreto di esproprio produce gli effetti della procedura di liquidazione disciplinata dalla legge sugli usi civici, è da ritenere che i compensi previsti dall'art. 12, comma 3, della legge n. 97 del 1994 in favore dei titolari dei cessati diritti di uso civico corrispondano al compenso in natura (c.d. scorporo) previsto dagli artt. 5 e 6 della legge n. 1766 del 1927 ed ora rientrante tra le funzioni trasferite alle Regioni.

Dovendo farsi valere sull'indennità di espropriazione, esso deve essere tradotto nel controvalore in denaro e proporzionato all'entità dell'indennizzo.

Perciò la sottrazione della determinazione dei compensi alla competenza regionale appare contraria al principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), considerato che su questo punto l'assetto delle competenze fissato dall'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977, in attuazione degli artt. 117 e 118 Cost., viene modificato limitatamente a un caso singolo, che non presenta peculiarità tali da giustificare una deroga al criterio generale di attribuzione della funzione di valutazione in denaro degli usi civici.

Nessun parallelismo può instaurarsi con l'art. 11, comma 5, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, sulle aree protette, concernente una materia, i parchi nazionali, per la quale le funzioni relative agli usi civici esistenti su terreni inclusi nei parchi - soltanto delegate alle regioni ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. n. 616, modificato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 - sono state restituite ai commissari ai fini del procedimento normale di liquidazione, senza alcuna connessione con procedimenti di espropriazione per pubblica utilità.

Resta assorbita la censura riferita all'art. 42 Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 2, della legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane), nella parte in cui, nel caso di espropriazione di terreni montani per opere pubbliche o di pubblica utilità, non prevede che sia sentito il parere della Regione interessata in merito alla cessazione dei diritti di uso civico esistenti sui beni espropriandi, quando il decreto di esproprio sia pronunciato da una autorità statale; dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 3, della legge medesima, nella parte in cui prevede che i compensi, eventualmente spettanti ai fruitori degli usi civici sui beni espropriati, siano determinati dal Commissario agli usi civici anzichè dalla Regione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/05/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/05/95.