Sentenza n. 128 del 1995

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SENTENZA N. 128

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), promossi con due ordinanze emesse il 17 gennaio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sui ricorsi proposti da Rosario Valenti e da Natale Rapisarda, rispettivamente iscritte ai nn. 578 e 579 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di costituzione di Rosario Valenti e di Natale Rapisarda; udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli; uditi gli avvocati Enzo Silvestri per Rosario Valenti e Salvatore Mauceri per Natale Rapisarda.

Ritenuto in fatto

1.- Con due ordinanze di identico contenuto emesse il 17 gennaio 1994 nel corso di due giudizi promossi, rispettivamente, da Rosario Valenti e Natale Rapisarda per ottenere l'annullamento dei provvedimenti disciplinari di destituzione dall'impiego adottati nei loro confronti dall'Unità sanitaria locale n. 35 di Catania, il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), in riferimento agli artt. 24, 76 e 97 della Costituzione.

La disposizione denunciata prevede per la validità delle riunioni della commissione di disciplina la presenza di due terzi dei componenti, sicchè, ad avviso del giudice rimettente, la composizione della commissione potrebbe variare nel corso del giudizio, mentre la valutazione dell'esistenza di infrazioni disciplinari e della loro gravità, della colpevolezza del dipendente e dell'entità della sanzione richiederebbe la partecipazione di tutti i membri del collegio. A questa esigenza risponde l'art. 148, quinto comma, del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), che, con una norma considerata di principio, prescrive che le riunioni della commissione di disciplina (peraltro composta di soli tre membri) sono valide con la partecipazione di tutti i componenti.

Il Tribunale amministrativo ritiene che l'art. 61, quarto comma, del d.P.R. n. 761 del 1979, emanato dal Governo in forza della delega concessa con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, ecceda i limiti della delega e sia pertanto in contrasto con l'art. 76 della Costituzione. Difatti l'art. 47 della legge di delegazione prevede che lo stato giuridico ed economico del personale delle unità sanitarie locali sia disciplinato secondo i principi generali e comuni del rapporto di pubblico impiego, assicurando un unico ordinamento in tutto il territorio nazionale. Al modello generale, che per gli impiegati civili dello Stato configura la commissione disciplinare come collegio perfetto, si sarebbe derogato, con la norma denunciata, senza alcuna giustificazione.

Ad avviso del giudice rimettente l'art. 61 del d.P.R. n. 761 del 1979 sarebbe anche in contrasto con il diritto inviolabile di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, che dovrebbe trovare attuazione anche nei procedimenti disciplinari. Questo principio sarebbe leso, consentendosi ad un componente della commissione disciplinare che non ha preso parte alla fase di trattazione, nella quale si esplica la difesa dell'incolpato, di concorrere alla decisione.

La disposizione denunciata sarebbe inoltre in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento, che devono ispirare l'attività della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione). La particolare natura del giudizio disciplinare richiede garanzie di imparzialità del giudizio, tra le quali hanno valore fondamentale quelle relative all'attività della commissione di disciplina, le quali sono condizione necessaria per il corretto ed imparziale esercizio della funzione sanzionatoria.

2.- Nei giudizi dinanzi alla Corte si sono costituiti Rosario Valenti e Natale Rapisarda, ricorrenti nei giudizi principali, i quali, aderendo alle prospettazioni dell'ordinanza di rimessione, hanno chiesto che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale della disposizione denunciata.

La difesa delle parti private osserva che le commissioni di disciplina sono organi amministrativi con funzioni decisorie, da configurare come collegi perfetti, così come prevede in via generale l'art. 148 del testo unico n. 3 del 1957.

Sarebbe in contrasto con la tutela del diritto di difesa dell'incolpato la possibilità che per il personale delle unità sanitarie locali, con una disciplina differenziata rispetto a quelle disposte per i dipendenti dello Stato, venga meno la garanzia costituita dal collegio giudicante perfetto, che decide nella sua composizione integrale, tenendo conto dell'apporto di ciascun membro.

Le parti private denunciano il contrasto, oltre che con le disposizioni costituzionali indicate dall'ordinanza di rimessione, anche con gli artt. 3, 4 e 25 (Rosario Valenti) o con l'art. 25 (Natale Rapisarda) della Costituzione.

Nella discussione orale le parti, pur ribadendo le conclusioni già formulate negli scritti difensivi, hanno chiesto in subordine che si interpreti la disposizione denunciata nel senso che in ciascun giudizio debba essere comunque assicurata l'immutabilità della composizione della commissione disciplinare nel corso del procedimento.

Considerato in diritto

1.- Le due questioni di legittimità costituzionale hanno ad oggetto la disposizione legislativa che, regolamentando le riunioni delle commissioni di disciplina istituite in ogni unità sanitaria locale, prevede per la validità delle loro sedute la maggioranza qualificata di due terzi dei componenti (art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761). Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ritiene che questa disposizione, discostandosi dalla disciplina dettata dallo statuto degli impiegati civili dello Stato, che richiede per la validità delle riunioni della commissione di disciplina la partecipazione di tutti i componenti (art. 148 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n.3), sia in contrasto: a) con l'art. 76 della Costituzione, in quanto la disposizione è stata adottata con decreto legislativo senza rispettare i principi della legge di delegazione. Questa prevede per il personale delle unità sanitarie locali uno stato giuridico conforme ai principi generali e comuni del rapporto di pubblico impiego (art. 47 della legge 23 dicembre 1978, n. 833), tra i quali si assume compreso quello della configurazione della commissione di disciplina come collegio perfetto; b) con l'art. 24 della Costituzione, in quanto la possibilità che alla decisione disciplinare partecipi un componente della commissione che non ha assistito alla trattazione orale violerebbe il diritto di difesa, da proteggere anche nei procedimenti disciplinari; c) con l'art. 97 della Costituzione, in quanto sarebbe violato il principio di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione: nel procedimento disciplinare la garanzia di imparzialità del giudizio richiederebbe una particolare configurazione della commissione di disciplina.

2.- Le due questioni hanno ad oggetto la stessa disposizione e sono prospettate in riferimento ai medesimi parametri costituzionali.

I relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3.- I termini delle questioni di legittimità costituzionale sono esclusivamente quelli fissati nelle ordinanze di rimessione. Non possono pertanto essere presi in considerazione gli altri parametri di valutazione (artt. 3, 4 e 25 della Costituzione) indicati dalle parti private costituite in giudizio.

4.- Le ordinanze di rimessione muovono dalla sostanziale assimilazione del principio di immutabilità, che riguarda l'identità di composizione del collegio amministrativo nel corso di ciascun giudizio disciplinare, con la configurazione dello stesso collegio come perfetto, destinato ad operare con la necessaria presenza di tutti i componenti.

L'esigenza di rispettare il criterio del collegio perfetto viene difatti prospettata come necessaria per escludere che partecipino alla deliberazione componenti della commissione disciplinare i quali non siano stati presenti a tutta la trattazione orale.

Questa impostazione non può essere condivisa.

L'immutabilità dei membri del collegio risponde ad un principio comune ad ogni specie di giudizio disciplinare, dovendo essere escluso dalla decisione chi non ha assistito alla trattazione orale.

Questa regola, connessa con la necessità che chi decide conosca, è rispettata anche nel procedimento che si svolge dinanzi alle commissioni disciplinari delle unità sanitarie locali. Difatti l'art. 51 del d.P.R. n. 761 del 1979 stabilisce che a tale procedimento si applicano le disposizioni del testo unico degli impiegati civili dello Stato, tra le quali quella che prevede l'immutabilità della composizione della commissione nella trattazione e nella deliberazione (art. 115 del d.P.R. n. 3 del 1957).

La configurazione della commissione disciplinare come collegio perfetto non costituisce un principio generale, comune a tutti i rapporti di pubblico impiego, e risponde ad esigenze diverse. Lo statuto degli impiegati civili dello Stato prevede, per la validità delle riunioni della commissione di disciplina, la presenza di tutti i componenti (art. 148), ma in un contesto nel quale la partecipazione di tutti e tre i membri della commissione è necessaria per assicurare la stessa collegialità nella composizione e nel funzionamento dell'organo. Ma per alcune categorie nell'ambito del pubblico impiego non manca la previsione di commissioni di disciplina che deliberano con la partecipazione della maggioranza qualificata e non della totalità dei componenti (si vedano, ad esempio, l'art. 21 della legge 3 aprile 1979, n. 103 e l'art. 12 della legge 27 aprile 1982, n. 186), anche in casi nei quali il procedimento disciplinare si svolge in forme giurisdizionali (art. 1 della legge 30 dicembre 1988, n. 561).

La configurazione delle commissioni di disciplina come collegio perfetto non è neppure coessenziale alla funzione di valutazione e di giudizio propria di questo organo, tanto più che la variabilità numerica dei componenti è prevista talvolta anche per i collegi giurisdizionali (si veda la sentenza n. 284 del 1986).

Il decreto legislativo, nello stabilire che le riunioni delle commissioni di disciplina delle unità sanitarie locali sono valide con la presenza di due terzi dei componenti, non è quindi in contrasto, per il profilo considerato, con i principi della delega, e risponde all'esigenza di assicurare il funzionamento di un organo, che si prefigura a composizione mista e numericamente non ristretta, senza farne dipendere l'operatività dalla possibile mancata partecipazione di alcune sue componenti.

Il dubbio di legittimità costituzionale, prospettato in riferimento all'art. 76 della Costituzione, non è pertanto fondato.

5.- Le questioni non sono fondate neppure in riferimento agli artt. 24 e 97 della Costituzione.

Il diritto di difesa non si estende nel suo pieno contenuto oltre la sfera della giurisdizione sino a coprire ogni procedimento contenzioso di natura amministrativa, ma rispecchia un valore inerente ai diritti inviolabili della persona e contribuisce a dare concreto spessore anche all'imparzialità dell'Amministrazione, che nell'esercizio della potestà sanzionatoria deve porre l'incolpato in grado di far ascoltare e valutare le proprie ragioni da chi è chiamato a decidere. Lo stesso principio concorre ad integrare ed a rendere effettivo anche il criterio di buon andamento, che, in un procedimento destinato ad incidere direttamente e profondamente sulla condizione di chi vi è sottoposto, richiede la raccolta di ogni elemento valutativo, garantendo all'incolpato la possibilità di contribuire a questa acquisizione.

Una volta assicurate la partecipazione dell'interessato e la presenza per la deliberazione disciplinare dei soli componenti della commissione che hanno assistito all'intera trattazione orale, i principi costituzionali sopra richiamati non sono lesi dalla composizione non totalitaria del collegio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 61, quarto comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), sollevate, in riferimento agli artt. 24, 76 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 14 aprile 1995.