Ordinanza n. 124 del 1995

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ORDINANZA N. 124

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 201 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa l'11 gennaio 1994 dal giudice istruttore del Tribunale di Lecce nel procedimento civile vertente tra Rucco Fabio e Carico Sergio ed altra, iscritta al n. 445 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 22 marzo 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

RITENUTO che nel corso di un giudizio civile, dopo aver reputato inammissibile una testimonianza contenente valutazioni da parte del teste, ed aver osservato che questi, ove ne fosse stata possibile la nomina come consulente di parte, avrebbe viceversa potuto "deporre senza rinunciare al suo incarico", il giudice istruttore del Tribunale di Lecce, con ordinanza emessa l'11 gennaio 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 201 del codice di procedura civile, nella parte in cui, allorchè non sia stata disposta consulenza tecnica d'ufficio, non consente alle parti di nominare un loro consulente; che, a parere del giudice a quo, la norma risulta lesiva del diritto alla prova garantito dall'art. 24 della Costituzione: diritto assicurato invece nel processo penale, in cui le parti possono sempre richiedere le prove; che, sempre secondo il giudice a quo, detta norma "rovescia senza alcuna valida ragione la regola posta, oltre che dall'art. 190 codice di procedura penale, dall'art. 115 codice di procedura civile (le prove di parte sempre, quelle officiose in casi tipici), consentendo alle parti di dedurre le proprie prove (consulenti) solo subordinatamente all'assunzione di sempre possibili prove del giudice (consulente d'ufficio)", con conseguente violazione anche dell'art. 3 della Costituzione; che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per la declaratoria d'inammissibilità, o quanto meno di infondatezza della questione.

CONSIDERATO che il giudice a quo prospetta la questione muovendo dall'erroneo presupposto interpretativo che l'attività del consulente di parte abbia natura probatoria; che, viceversa, le consulenze di parte, pur inerendo all'istruzione probatoria, non costituiscono mezzi di prova ma semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, prive di autonomo valore probatorio; che coerentemente, dunque, la norma impugnata autorizza la nomina dei consulenti tecnici di parte solo nel caso di nomina del consulente tecnico d'ufficio, le cui funzioni parimenti sono preordinate, non ad accertare fatti rilevanti ai fini della decisione, bensì ad acquisire elementi di valutazione ovvero a ricostruire circostanze attraverso una specifica preparazione, a scopo di controllo sugli elementi di prova forniti dalle parti e in funzione ausiliaria del giudice; che peraltro rimane sempre salva la possibilità di produrre in causa perizie stragiudiziali, integranti anch'esse semplici mezzi di difesa come le deduzioni e argomentazioni dell'avvocato, soggette al libero apprezzamento del giudice; che quindi non è pertinente il richiamo alle norme degli artt. 115 codice di procedura civile e 190 codice di procedura penale, per inferirne ragioni di incoerenza sistematica e dunque d'irragionevolezza; che, infine, nel procedimento probatorio la garanzia costituzionale ex art. 24 è soddisfatta, in subiecta materia, dall'ammissione della prova contraria sui fatti e rapporti posti a base della domanda; che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 201 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal giudice istruttore del Tribunale di Lecce con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/04/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/04/95.