Ordinanza n. 121 del 1995

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 121

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 633, 636 e 639 del codice di procedura penale, promossi con 2 ordinanze emesse il 10 maggio 1994 dalla Corte di appello di Roma nei giudizi di revisione promossi da Bonomo Lorenzo e da Papalia Domenico rispettivamente iscritte ai nn. 675 e 676 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 22 marzo 1995 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

RITENUTO che con due ordinanze pronunciate il 10 maggio 1994 la Corte di appello di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 633, 636 e 639 del codice di procedura penale, "nella parte in cui devolvono alla corte di appello il potere di sindacare, in via diretta e immediata, in sede di revisione, decisioni emesse dalla corte di cassazione" e "nella parte in cui devolvono alla competenza della corte di appello anche la decisione della richiesta di revisione afferente a delitti di competenza della corte di assise"; che a tal proposito la Corte rimettente individua "elementi di contraddizione, di non coesione, di carenza logica e di irragionevolezza" nella disciplina dettata dalle norme oggetto di impugnativa censurando in particolare, da un lato, il potere conferito alla corte di appello di sindacare, nel giudizio di revisione, anche le pronunce adottate dalla corte di cassazione e, dall'altro, di delibare le richieste di revisione relative a condanne pronunciate dalle corti di assise, così sottraendo alla valutazione della componente laica "elementi di prova di tale rilevanza da determinare l'assunto proscioglimento dell'imputato"; e che nei giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

CONSIDERATO che le ordinanze sottopongono all'esame della Corte questioni in parte coincidenti e che pertanto i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con unico provvedimento; che per quanto attiene alla prima delle dedotte questioni e avuto riguardo alla natura del giudizio di revisione così come positivamente disciplinato, è agevole avvedersi di come il relativo oggetto sia necessariamente rappresentato da un provvedimento di condanna (art. 629 c.p.p.), sicchè, non potendo in nessun caso una simile pronuncia essere adottata in sede di legittimità, deve ritenersi impropria la premessa stessa da cui trae origine la censura sollevata dal giudice a quo, secondo la quale "un giudice di grado inferiore" - vale a dire la corte di appello adìta a seguito della richiesta di revisione - sarebbe "chiamato ad esaminare e porre nel nulla una pronuncia del giudice supremo"; che la scelta del legislatore delegante di devolvere alla corte di appello il giudizio di revisione anche se relativo a condanne pronunciate per reati di competenza della corte di assise, non presenta, in sè, alcun aspetto di contrasto con il principio di uguaglianza, neanche sotto il dedotto profilo della irragionevolezza, limitandosi il giudice a quo a contestare l'opportunità di sottrarre l'impugnazione straordinaria all'organo che il sistema individua come quello "naturalmente" deputato a pronunciarsi sul merito in sede di cognizione, così finendo per riproporre, sotto un mutato profilo, l'identica questione che questa Corte ha già affrontato e disatteso con l'ordinanza n. 375 del 1991; e che pertanto le questioni ora proposte devono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 633, 636 e 639 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Roma con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/04/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/04/95.