Sentenza n. 105 del 1995

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SENTENZA N. 105

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 56 della legge regionale della Lombardia 26 ottobre 1981, n. 64 (Norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multizonali di igiene e prevenzione), come sostituito dall'art. 7 della legge regionale della Lombardia 30 novembre 1984, n. 61 (Modifiche ed integrazioni alle Leggi Regionali 26 ottobre 1981 n. 64 e n. 65 concernenti <Norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multizonali di igiene e prevenzione>), promossi con tre ordinanze emesse il 9 marzo, il 9 febbraio e il 23 marzo 1994 dalla Corte d'appello di Brescia, rispettivamente iscritte ai nn. 411, 412 e 668 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 47, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento della Regione Lombardia; udito nella camera di consiglio dell'8 marzo 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di tre giudizi promossi, rispettivamente, dalle società Ampex, Fratelli Miragoli, Ronzoni e Perego in opposizione ad altrettanti decreti di ingiunzione - ottenuti nei confronti delle prime due società dall'Unità socio sanitaria locale n. 53 di Crema e nei confronti della terza dall'Unità socio sanitaria n. 34 di Chieri - per il pagamento di "diritti veterinari a tariffa" relativi a visite sanitarie di animali da macellare ed alla segnatura delle carni, la Corte d'appello di Brescia ha sollevato, con distinte ordinanze di analogo contenuto, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 56 della legge regionale della Lombardia 26 ottobre 1981, n. 64 (Norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multizonali di igiene e prevenzione), come sostituito dall'art. 7 della legge regionale della Lombardia 30 novembre 1984, n. 61 (Modifiche ed integrazioni alle Leggi Regionali 26 ottobre 1981 n. 64 e n. 65 concernenti <Norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multizonali di igiene e prevenzione>).

Il dubbio di legittimità costituzionale è prospettato in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione.

La disposizione denunciata stabilisce le modalità di adozione delle tariffe per gli accertamenti e le indagini in materia di igiene e sanità pubblica e di medicina veterinaria, "ivi inclusi i compensi per le prestazioni effettuate nell'interesse dei privati".

La Corte d'appello di Brescia ritiene che questa disposizione, non limitando il pagamento delle prestazioni sanitarie solo a quelle effettuate nell'interesse dei privati, costituisca il fondamento legislativo della pretesa, basata sulla tariffa adottata in forza della legge, di un compenso per la visita sanitaria degli animali da macello e per l'ispezione delle carni nei mattatoi.

Ad avviso della Corte d'appello, con la previsione del pagamento per il controllo delle carni sulla base di una tariffa imposta si sarebbe in presenza di un prelievo di natura tributaria e, in mancanza di una legge statale che attribuisca alla regione tale tributo, non si sarebbe potuta esplicare, nel rispetto dell'art. 119 della Costituzione, l'autonomia regionale in materia.

La Corte d'appello ritiene, inoltre, che vi sia un principio fondamentale di gratuità delle prestazioni veterinarie compiute nell'interesse collettivo stabilito dall'art. 61 del testo unico delle leggi sanitarie, che prevede il pagamento per le certificazioni rese non nell'esclusivo interesse privato. Il "diritto veterinario a tariffa" si riferirebbe ad un controllo effettuato nell'interesse non dell'operatore economico tenuto al pagamento, ma della collettività, essendo il controllo diretto ad assicurare l'igiene e la sanità delle carni. Il mancato rispetto del principio di gratuità determinerebbe la lesione dell'art. 117 della Costituzione.

La soluzione del dubbio di legittimità costituzionale è ritenuta dalla Corte d'appello rilevante nel giudizio principale, perchè se l'atto di approvazione della tariffa è legittimo, in quanto emanato in base alla legge e secondo i criteri dalla stessa stabiliti, esso non può essere disapplicato, con la conseguenza che il pagamento delle somme pretese dall'Unità socio sanitaria sarebbe dovuto.

2.- Nei giudizi promossi dalle società Ampex e Fratelli Miragoli è intervenuta la Regione Lombardia, chiedendo che le questioni siano di chiarate inammissibili o infondate.

La Regione, ricostruendo il quadro normativo della disciplina dell'attività di vigilanza e di ispezione sanitaria (regio decreto 20 dicembre 1928, n. 3298; d.P.R. 11 febbraio 1961, n. 264; d.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1701), afferma che i compensi per le visite veterinarie degli animali da macello non costituiscono un "tributo proprio" della Regione, ma un corrispettivo per il servizio reso in una materia di competenza della Regione, che può disporre la partecipazione degli utenti al costo dei servizi.

Inoltre la legislazione statale non enuncerebbe un principio di gratuità delle prestazioni in questione. Le certificazioni sono sempre richieste in vista di un interesse pubblico: l'art. 61 del testo unico delle leggi sanitarie, quando fa riferimento all'esclusivo interesse privato per stabilire l'onerosità delle certificazioni, indicherebbe proprio quelle richieste dal privato, sia pure come onere imposto dalla legge per un'attività da esso svolta, quale appunto la macellazione e commercializzazione delle carni.

Considerato in diritto

1.- Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d'appello di Brescia riguardano tutte la disposizione di legge regionale della Lombardia che, disciplinando le tariffe per gli accertamenti e le indagini in materia di igiene e sanità pubblica e di medicina veterinaria, "ivi inclusi i compensi per le prestazioni effettuate nell'interesse dei privati", stabilisce i criteri per la loro determinazione (art. 56 della legge regionale della Lombardia 26 ottobre 1981, n. 64, come sostituito dall'art. 7 della legge regionale 30 novembre 1984, n. 61). Risulterebbero così soggette a pagamento anche le prestazioni eseguite nell'interesse della collettività e non dei privati che ne fanno richiesta, come appunto nel caso della visita veterinaria di animali da macello e dell'ispezione sanitaria delle carni, soggette ad apposita certificazione.

Il compenso disposto con apposita tariffa per queste prestazioni avrebbe, ad avviso del giudice rimettente, natura tributaria. In assenza di una legge statale che attribuisca alla regione questo tributo, non sarebbe consentito al legislatore regionale di imporlo, rispettando i limiti dell'art. 119 della Costituzione.

Inoltre l'art. 61 del testo unico delle leggi sanitarie (regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265) enuncerebbe un principio fondamentale di gratuità del rilascio delle certificazioni veterinarie che non siano richieste nell'esclusivo interesse privato. La disposizione regionale denunciata, non conformandosi a questo principio, violerebbe l'art. 117 della Costituzione.

2.- I giudizi hanno ad oggetto questioni identiche; possono essere pertanto riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3.- I dubbi di legittimità costituzionale poggiano essenzialmente sul presupposto che vi sia un principio fondamentale della legislazione statale di gratuità delle certificazioni relative a prestazioni demandate al veterinario comunale, salvo che siano richieste nell'esclusivo interesse privato.

Implicano inoltre che le visite sanitarie, cui devono essere sottoposti gli animali da macello, non rispondano ad un interesse di chi le richiede, ma esclusivamente all'interesse collettivo dell'igiene e della sanità delle carni.

Questo presupposto interpretativo non può essere condiviso. Dalla disciplina di settore in materia di vigilanza sanitaria sugli alimenti di origine animale e di ispezione delle carni nei macelli non è dato ricavare un principio di gratuità delle prestazioni e delle certificazioni veterinarie, richieste in ragione della commercializzazione e della destinazione al consumo delle carni. Anzi talvolta è espressamente previsto che gli oneri che questi controlli comportano siano interamente posti a carico dei privati, quando sia richiesta una visita collegiale (art. 20 del regio decreto 20 dicembre 1928, n. 3298), ovvero quando veterinari comunali incaricati operino in macelli privati (art. 6 del d.P.R. 11 febbraio 1961, n. 264).

La previsione di onerosità per il privato richiedente non costituisce eccezione rispetto ad una regola di gratuità. Lo stesso art. 61 del testo unico delle leggi sanitarie, indicato dall'ordinanza di rimessione come fonte di questo principio, non consente, in aderenza ad una diffusa lettura giurisprudenziale, questa interpretazione.

Esso esclude, secondo la Corte di cassazione, che a carico degli operatori economici possano essere imposte contribuzioni in aggiunta ai diritti percepiti per le visite veterinarie. La stessa disposizione consente, secondo il Consiglio di Stato, che si determinino le tariffe per gli accertamenti e le indagini sanitarie richiesti dai privati al fine di ottenere le autorizzazioni previste dalle leggi e necessarie per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale. Si tratta di prestazioni nell'interesse del privato che le richiede, anche se coinvolgono un interesse pubblico al rispetto delle prescrizioni previste da norme igienico-sanitarie. Del resto il principio del pagamento di un contributo, non superiore al costo globale effettivo delle ispezioni e dei controlli sanitari, continua ad essere previsto dal decreto legislativo 15 gennaio 1992, n. 51.

La disposizione denunciata non contrasta, quindi, con l'art. 117 della Costituzione, non essendo violati i criteri generali ai quali si ispira la disciplina statale.

Nè può essere invocato l'art. 119 della Costituzione, in quanto non configura un tributo regionale la percezione di un compenso, sia pure con la tariffa determinata dall'amministrazione secondo i criteri fissati dalla legge, a parziale copertura dei costi per prestazioni erogate nell'interesse del richiedente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 56 della legge regionale della Lombardia 26 ottobre 1981, n. 64 (Norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multizonali di igiene e prevenzione), come sostituito dall'art. 7 della legge regionale della Lombardia 30 novembre 1984, n. 61 (Modifiche ed integrazioni alle Leggi Regionali 26 ottobre 1981 n. 64 e n. 65 concernenti <Norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, per la tutela della salute nei luoghi di lavoro, per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi veterinari e dei presidi multizonali di igiene e prevenzione>), sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Brescia con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 marzo 1995.