Sentenza n. 99 del 1995

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SENTENZA N. 99

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO giudice

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 20 gennaio 1994 dalla Corte dei conti, IV sezione giurisdizionale, sul ricorso proposto da Scarpetta Carmi ne iscritta al n. 283 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione di Scarpetta Carmine nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi; uditi l'avvocato Filippo de Jorio per Scarpetta Carmine e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. La Corte dei conti, IV sezione giurisdizionale, adita da Scarpetta Carmine, capo di prima classe scelto in congedo dal 1° gennaio 1979, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), ritenendo che il differimento ivi previsto degli aumenti del trattamento pensionistico fino al 1995 contrasti con il principio di eguaglianza, nonchè con i canoni di proporzionalità ed adeguatezza di cui agli artt. 36 e 38 della Costituzione.

Il giudice rimettente osserva che l'adeguatezza e proporzionalità richieste dall'art. 36 della Costituzione devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo, ma anche in prosieguo, a causa del mutato potere d'acquisto della moneta. È vero che rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione dei criteri di adeguamento del trattamento pensionistico alla variazione del costo della vita, ma nel caso in esame il differimento dei benefici concessi dall'art. 3 del decreto-legge 22 dicembre 1990, n. 409, convertito con modificazioni nella legge 27 febbraio 1991, n. 59, incide sull'adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti pensionistici. Nè vale obiettare che la norma denunciata dispone solo un differimento, non potendo subire sospensioni di sorta l'attuazione dei principi di eguaglianza e di proporzionalità e adeguatezza.

2. È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso della manifesta infondatezza della questione. Non sarebbe pertinente il richiamo al principio di eguaglianza, dal momento che non vengono indicate le categorie rispetto alle quali si verificherebbe una disparità di trattamento in situazioni analoghe; mentre per quanto concerne gli artt. 36 e 38 della Costituzione, se è vero che il trattamento di quiescenza deve essere proporzionato alla qualità e quantità del lavoro prestato, resta tuttavia salva la discrezionalità del legislatore nell'apportare correttivi, ove vi siano esigenze meritevoli di ponderazione, come quelle che discendono dall'equilibrio finanziario.

3. Si è costituita innanzi alla Corte la parte privata, accogliendo gli argomenti svolti nell'ordinanza di rimessione e affermando che la sentenza n. 226 del 1993 si fonda proprio sulle misure - introdotte dal decreto-legge n. 409 del 1990, convertito nella legge n. 59 del 1991 - la cui efficacia è sospesa dalla norma denunciata, in violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione e del principio di ragionevolezza.

4. Nell'imminenza dell'udienza, hanno presentato memoria l'Avvocatura generale e la difesa della parte privata, ciascuna ribadendo le proprie conclusioni.

Considerato in diritto

1. La Corte dei conti ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 11, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), che differisce al 1995 gli aumenti del trattamento pensionistico stabiliti dal decreto-legge 22 dicembre 1990, n. 409, convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 1991, n. 59.

2. La questione è infondata.

Se l'adeguatezza e la proporzionalità richieste dall'art. 36 della Costituzione devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo, ma anche in prosieguo, in rapporto al mutato potere d'acquisto della moneta, va pure tenuto conto che esiste il limite delle risorse disponibili, e che in sede di manovra finanziaria di fine anno spetta al Governo e al Parlamento introdurre modifiche alla legislazione di spesa, ove ciò sia necessario a salvaguardare l'equilibrio del bilancio dello Stato e a perseguire gli obiettivi della programmazione finanziaria.

Spetta al legislatore, nell'equilibrato esercizio della sua discrezionalità e tenendo conto anche delle esigenze fondamentali di politica economica (sentt. nn. 477 e 226 del 1993), bilanciare tutti i fattori costituzionalmente rilevanti: nel caso in esame, il processo di perequazione delineato dal decreto-legge n. 409 del 1990, convertito nella legge n. 59 del 1991, non viene infatti vanificato, come sembra temere il giudice rimettente, ma soltanto differito per un periodo ragionevolmente contenuto; rinvio che, certo, non è dettato da motivi arbitrari, trovando fondamento nella più complessa manovra correttiva degli andamenti della finanza pubblica.

In questa prospettiva, la norma denunciata non reca lesione agli artt. 36 e 38 della Costituzione, non determina disparità di trattamento, nè appare in sè irragionevole.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti, IV sezione giurisdizionale, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/03/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31/03/95.