Sentenza n. 86 del 1995

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SENTENZA N. 86

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del coordinato disposto dell'art. 9, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l'occupazione), convertito con modificazioni nella legge del 25 marzo 1983, n. 79, e degli artt. 5, secondo comma, e 24, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di Cassa Integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità Europea, avviamento al lavoro e altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 19 maggio 1994 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile vertente tra la Co.e.stra s.p.a. e Lenti Alessio, iscritta al n. 446 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visti gli atti di costituzione della Co.e.stra s.p.a. e di Lenti Alessio nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1995 il Giudice relatore Fernando Santosuosso; uditi l'avvocato Giorgio Bellotti per Lenti Alessio e l'Avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con sentenza del 15/20 settembre 1993, il Pretore di Firenze, su domanda di Alessio Lenti assunto dalla Co.e.stra. s.p.a. a seguito di avviamento obbligatorio e successivamente licenziato nell'ambito di un licenziamento collettivo, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento stesso, ritenendo che il coordinato disposto dell'art. 9, ultimo comma, del decreto- legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito con modificazioni nella legge del 25 marzo 1983, n. 79, e degli artt. 5, secondo comma, e 24, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223, vieti il licenziamento collettivo dei lavoratori assunti a seguito di collocamento obbligatorio in numero tale che, nonostante il rispetto delle percentuali di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, all'interno dei licenziandi, le medesime non venissero mantenute nell'ambito dei lavoratori occupati all'esito del licenziamento.

2. - In sede di appello, il Tribunale di Firenze, con ordinanza emessa in data 19 maggio 1994, - muovendo da un'interpretazione dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 79 del 1983, ritenuta diritto vivente, diversa da quella data dal giudice di primo grado - ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 4 e 38 della Costituzione, dei citati articoli, in quanto: a) consentirebbe al datore di lavoro di licenziare un numero indefinito di lavoratori assunti con avviamento obbligatorio, salvo poi l'obbligo di riassumerne altri, privando così di effettività il sistema del collocamento obbligatorio; b) apparirebbe irrazionale, attesa l'applicabilità del disposto dell'art. 9, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17, convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1983, n. 79, ai licenziamenti collettivi anche al di fuori dei presupposti di cui al primo comma, del medesimo articolo, operata dall'art. 24 della legge n. 223 del 1991; c) discriminerebbe i lavoratori assunti con avviamento obbligatorio licenziati a seguito di licenziamento collettivo rispetto ai lavoratori ordinari, non applicandosi nei loro confronti la precedenza nella riassunzione di cui all'art. 15, sesto comma, della legge 29 aprile 1949, n. 264.

3. - Si é costituita in giudizio l'appellante società Co.e.stra., assumendo la conformità a Costituzione del coordinato disposto degli artt. 9, ultimo comma, del decreto-legge n. 17 del 1983, convertito con modificazioni nella legge n. 79 del 1983, e 5, secondo comma, della legge n. 223 del 1991, interpretato nel senso di imporre il rispetto della proporzione di cui alla citata legge n. 482 del 1968 esclusivamente nell'ambito dei licenziandi e non anche nell'ambito del personale residuo.

Ha osservato altresì che il rispetto delle proporzioni predette in relazione ai lavoratori occupati é disciplinato compiutamente dalla legge n. 482 del 1968, la cui corretta applicazione comporta come naturale conseguenza il mantenimento di tale proporzione anche in seguito a licenziamento collettivo effettuato nel rispetto della medesima proporzione fra i licenziandi.

4. - Si é costituito l'appellato Alessio Lenti, rilevando che l'interpretazione, qualificata come diritto vivente, del predetto art. 9, secondo comma, della legge n. 79 del 1983, é ormai superata dal disposto dell'art. 24 della legge n. 223 del 1991 che, riferendosi al solo secondo comma del citato art. 9 e non anche al primo, impone il rispetto delle proporzioni di cui alla legge n. 482 del 1968 a tutti datori di lavoro.

5. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, prospettando preliminarmente due profili di inammissibilità della questione, sia per carenza di motivazione circa il contrasto della norma impugnata con gli artt. 3, 4 e 38 della Costituzione, sia per la possibilità di interpretare la norma stessa in maniera ritenuta conforme alla Costituzione.

6. - Nelle memorie e alla udienza pubblica le parti hanno svolto le argomentazioni enunciate, confermando le conclusioni precisate nei rispetti vi scritti difensivi.

Considerato in diritto

1. - La questione che viene all'esame della Corte é se sia conforme agli artt. 3, 4 e 38 della Costituzione il coordinato disposto dell'art. 9, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l'occupazione), convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1983, n. 79, e degli artt. 5, secondo comma, e 24, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di Cassa Integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità Europea, avviamento al lavoro e altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), nella parte in cui consente il licenziamento collettivo di lavoratori assunti a seguito di collocamento obbligatorio in misura tale che, nonostante il rispetto delle percentuali di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, all'interno dei licenziandi, le medesime percentuali non siano rispettate in relazione al numero di lavoratori occupati all'esito del licenziamento.

2. - Il giudice rimettente solleva la questione concisamente e in modo indistinto quanto ai tre parametri di riferimento, sovrapponendo profili di interpretazione delle norme a profili di incostituzionalità delle stesse: tant'é che l'Avvocatura dello Stato chiede preliminarmente una pronuncia di inammissibilità per carenza di motivazione o quanto meno perché il giudice a quo avrebbe potuto risolvere in via interpretativa i dubbi prospettati.

La Corte ritiene che queste eccezioni debbano essere superate sia in quanto il giudice a quo dichiara di attenersi al "consolidato orientamento" della Corte di Cassazione "da assumersi come diritto vivente", sia perché sembra enucleabile dall'ordinanza di rimessione la censura di incostituzionalità delle disposizioni così interpretate con riferimento agli artt. 3, 4 e 38 della Costituzione sotto un triplice profilo: a) in quanto la possibilità per il datore di lavoro di "licenziare un numero illimitato di invalidi assunti con avviamento obbligatorio, ed anche la loro totalità, salvo poi l'obbligo di riassumerne dei nuovi, priverebbe di ogni effettività il sistema obbligatorio"; b) "nel momento in cui l'art. 24 della legge n. 223 del 1991 rende applicabile ai licenziamenti collettivi la norma di cui all'art. 9, secondo comma, della legge n. 79 del 1983, al di fuori dei presupposti di cui al primo comma del medesimo articolo, l'interpretazione riferita diventerebbe irrazionale, in quanto verrebbe meno la giustificazione che in origine la sorreggeva"; c) mentre i lavoratori ordinari "hanno la precedenza nella riassunzione presso la medesima azienda entro un anno (art. 15, sesto comma, della legge n. 264 del 1949), ciò non é possibile per i lavoratori assunti con avviamento obbligatorio".

3. - La questione é infondata.

Occorre partire dalla interpretazione data dalla Corte di Cassazione al sistema normativo cui fa riferimento il giudice rimettente. Considerata anzitutto la distinzione del momento genetico del rapporto di lavoro da quello della sua cessazione, il legislatore ha predisposto per alcune categorie protette di lavoratori due distinti procedimenti e discipline.

La legge n. 482 del 1968 detta una regolamentazione speciale per quanto attiene alla fase costitutiva del rapporto, stabilendo anche (art. 10) che agli "assunti al lavoro in forza della presente legge deve essere applicato il normale trattamento economico, giuridico e normativo", ivi compresa la disciplina comune dei licenziamenti collettivi per riduzione del personale.

In relazione a questo secondo momento, quello della cessazione del rapporto, il legislatore é intervenuto con un'altra norma speciale - proprio per evitare quanto temuto dal giudice a quo, e cioé che il datore di lavoro possa licenziare un numero illimitato di invalidi - stabilendo (art. 9 della legge n. 79 del 1983) che questo numero "non può essere superiore alle percentuali previste dalla legge 2 aprile 1968, n. 482".

Per la Corte di Cassazione, tale rinvio si riferisce alle percentuali del numero dei lavora tori da includere nel licenziamento collettivo e non opera come strumento per ristabilire l'equilibrio del personale che residua all'esito del licenziamento. E ciò, sia per i limiti della portata letterale della norma, sia perché non sarebbe logicamente possibile far carico alla norma medesima di una finalità (in ordine all'equilibrio degli assunti) che non é propria della disciplina relativa alla fase terminale del rapporto.

4. - Quello che occorre valutare in questa sede é se la norma così come interpretata sia costituzionalmente illegittima.

Nella motivazione dell'ordinanza di rimessione, la censura di incostituzionalità può così sintetizzarsi: non essendo stato condizionato il licenziamento collettivo alla proporzione tra lavoratori ordinari e lavoratori invalidi anche nell'ambito del personale residuo all'esito del licenziamento, la norma pregiudicherebbe la tutela degli invalidi (costituzionalmente garantita) e violerebbe i principi di ragionevolezza ed eguaglianza.

Per dimostrare l'infondatezza di tale questione, é sufficiente osservare che, se il licenziamento collettivo viene operato nel rispetto delle percentuali previste dall'art. 9, secondo comma, della legge n. 79 del 1983, l'eventuale squilibrio tra le due categorie di lavoratori riscontrabile nel personale residuo non deriva dalla norma relativa al regolare licenziamento, e nemmeno dalla disciplina delle assunzioni obbligatorie, ma da situazioni contingenti, oppure da precedenti inadempienze a detta disciplina: situazioni e violazioni che possono essere eventualmente regolarizzate applicando lo specifico procedi mento proprio delle assunzioni, che tiene anche conto delle esigenze produttive e organizzative dei vari settori dell'impresa.

5. - Anche sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione, la razionalità del sistema delle assunzioni obbligatorie appare rafforzata e non pregiudicata dal limite numerico del licenziamento di questi lavoratori, e la estensione di detto limite al caso di legittima riduzione del personale (legge n. 223 del 1991) costituisce un ulteriore sviluppo della garanzia precedentemente prevista dalla legge n. 79 del 1983 solo per le imprese in crisi.

Né si ravvisa la violazione degli invocati parametri costituzionali per il fatto che la legge non consente la interdipendenza dei procedimenti delle due distinte discipline, non apparendo ragionevole utilizzare lo strumento legislativo previsto per i licenziamenti in funzione compensativa per risanare una eventuale precedente situazione che ha specifici mezzi normativi per essere regolarizzata. La riprova dell'esattezza di questa conclusione é nel dovere per il datore di lavoro di rispettare le percentuali dei licenziandi anche nell'opposta ipotesi in cui per vari motivi si fosse determinata una anteriore situazione occupazionale di esubero di personale invalido rispetto alle percentuali di assunzioni obbligatorie.

6. - Non é infine sufficiente invocare isolatamente la tutela derivante dall'art. 4 della Costituzione, dal momento che il diritto al lavoro risulta assicurato dalle norme limitative del potere di recesso del datore di lavoro (sentenza n. 130 del 1984); disciplina che garantisce uguaglianza di trattamento (anche in relazione al licenziamento) per tutti i lavoratori.

Da questa uguaglianza di disciplina discende l'infondatezza della censura di disparità di trattamento fra lavoratori assunti con procedimento ordinario e quelli con collocamento obbligato rio ai fini della preferenza nella riassunzione entro un anno dal licenziamento (art. 15, sesto comma, della legge n. 264 del 1949), dal momento che, come si é sopra ricordato, ai sensi dell'art. 10 della legge n. 482 del 1968 "a coloro che sono assunti in forza della presente legge deve essere applicato il normale trattamento economico, giuridico e normativo".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del coordinato disposto del l'art. 9, ultimo comma, del decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (Misure per il contenimento del costo del lavoro e per favorire l'occupazione), convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1983, n. 79, e degli artt. 5, secondo comma, e 24, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di Cassa Integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità Europea, avviamento al lavoro e altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/03/95.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 17/03/95.