Ordinanza n. 82 del 1995

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ORDINANZA N. 82

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2043, 2051, e 1227, primo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 1994 dal Pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra Gigante Anna, in proprio e nella qualità di legale rappresentante della figlia minore Melcarne Sara, e l'Amministrazione provinciale di Lecce, iscritta al n. 353 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

RITENUTO che con ordinanza emessa il 7 aprile 1994 il Pretore di Lecce ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 c.c., "ove interpretato nel senso che l'inerzia colposa della P.A. atta a creare o non rimuovere situazioni di pericolo non è causa di responsabilità della stessa, nel caso in cui non si sia in presenza di una situazione di pericolo insidiosa"; dell'art. 2051 c.c., "ove interpretato nel senso che non sia applicabile anche alla P.A. per i beni demaniali soggetti ad uso ordinario, generale e diretto da parte dei cittadini"; e dell'art. 1227, primo comma, c.c., "ove interpretato nel senso di escludere, in presenza di un'insidia, un accertamento del concorso di colpa del danneggiato e del responsabile";

che, secondo il giudice a quo, l'interpretazione giurisprudenziale che esclude la responsabilità della P.A. in caso di insidia visibile e prevedibile potrebbe fornire un supporto all'inerzia di quest'ultima in violazione del precetto di buon andamento;

che, inoltre, non sarebbe richiesta alla P.A. neppure la dimostrazione che all'origine del pericolo vi siano state circostanze non tempestivamente evitabili e/o segnalabili, con conseguenti difficoltà processuali per il danneggiato, tenuto a provare l'imprevedibilità dell'insidia, mentre, per converso, quest'ultimo non sarebbe mai riconosciuto come concorrente nella colpa eventualmente accertata a carico della P.A.;

che, infine, ad avviso del Pretore remittente, i proprietari di strade private sarebbero gravati da una pi marcata responsabilità, in quanto chiamati a rispondere a titolo di custodia;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità o comunque per l'infondatezza della questione.

CONSIDERATO che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale, non delle denunziate norme, bensì dell'interpretazione che di esse verrebbe data in giurisprudenza;

che tale interpretazione egli non fa propria ma, al contrario, la considera come effetto di deviazione da un corretto procedimento ermeneutico, comportante la "pratica ... disapplicazione di alcune norme fondamentali sulla disciplina dell'illecito extracontrattuale", e non manca poi di osservare - ricordando quanto questa Corte ha pi volte avuto occasione di precisare - che "tra due interpretazioni d'un testo di legge, l'una conforme e l'altra contrastante con la Costituzione, deve sempre preferirsi la prima";

che pertanto la prospettazione, essenzialmente ipotetica, appare articolata come un quesito interpretativo e legata ad una lettura incompleta della giurisprudenza;

che il giudizio di legittimità costituzionale non può conseguentemente essere ammesso.

Visti gli artt. 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2043, 2051 e 1227, primo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Lecce con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 6 marzo 1995.