Sentenza n. 57 del 1995

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SENTENZA N. 57

 

ANNO 1995

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-        Avv. Mauro FERRI

 

-        Prof. Luigi MENGONI

 

-        Prof. Enzo CHELI

 

-        Dott. Renato GRANATA

 

-        Prof. Giuliano VASSALLI

 

-        Prof. Francesco GUIZZI

 

-        Prof. Cesare MIRABELLI

 

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

-        Avv. Massimo VARI

 

-        Dott. Cesare RUPERTO

 

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 12 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 7 maggio 1994 dal Pretore di Pistoia nel procedimento civile vertente tra la Federazione nazionale lavoratori dell'energia F.N.L.E.-C.G.I.L. e l'Azienda Municipalizzata del Gas di Pistoia, iscritta al n. 402 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1994;

 

2) ordinanza emessa il 10 giugno 1994 dal Pretore di Milano nel procedimento civile vertente tra la Federazione nazionale lavoratori dell'energia F.N.L.E.-C.G.I.L. e l'Azienda Energetica Municipale iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visti gli atti di costituzione della Federazione nazionale lavoratori dell'energia F.N.L.E.-C.G.I.L. e dell'Azienda Energetica Municipale, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1995 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

 

uditi gli avvocati Luciano Ventura e Giorgio Bellotti per la Federazione nazionale lavoratori dell'energia F.N.L.E.-C.G.I.L., Arturo Maresca per l'Azienda Energetica Municipale e gli Avvocati dello Stato Sergio Laporta e Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento di opposizione avverso il decreto con cui era stata respinta la richiesta di dichiarare antisindacale il comportamento dell'Azienda Municipale del Gas di Pistoia, la quale aveva trattenuto (e poi versato all'I.N.P.S.) i contributi dei lavoratori in conseguenza di uno sciopero tenutosi senza l'osservanza dell'obbligo di preavviso minimo di dieci giorni, il Pretore di Pistoia, con ordinanza emessa il 7 maggio 1994, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge). La norma è censurata nella parte in cui non assicura alle organizzazioni sindacali un momento procedimentale e quindi la possibilità di far valere le proprie ragioni prima che venga irrogata la sanzione prevista nel citato articolo.

 

Il giudice a quo rileva nel merito l'ininfluenza "dell'innocuità" dello sciopero ai fini dell'osservanza dell'obbligo di preavviso, gi espressa dalla contrattazione nella specie applicabile. Quindi ricorda che la Corte costituzionale ha sancito l'autonomia di detto obbligo, ravvisabile anche in caso di sciopero economico-politico: il preavviso infatti non sarebbe ricollegabile a qualsivoglia profilo teleologico-funzionalistico.

 

Argomenta quindi il giudice remittente nel senso del rigetto dell'opposizione, con esclusione della denunciata antisindacali e dell'accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata dall'Azienda Municipalizzata per l'accertamento della legittimità della trattenuta.

 

Ma in particolare con riguardo a tale domanda, il remittente individua la rilevanza della proposta questione, che viene prospettata secondo due profili, concernenti, rispettivamente, il diritto di difesa e il principio di parità nella previsione dell'automaticità della sanzione. Da un lato infatti la necessità di un momento procedurale nella irrogazione della pena sarebbe ormai un principio conclamato di civiltà giuridica e, d'altro canto, il descritto potere datoriale non potrebbe non trovare un contemperamento, rispetto alla posizione del sindacato, nel controllo che il procedimento permette: tanto pi che per le sanzioni individuali ex art. 7 della legge n. 300 del 1970 sono puntualmente assicurate la contestazione dell'addebito e la motivazione del provvedimento. In tale diversità di disciplina sarebbe quindi ravvisabile una disparità di trattamento.

 

2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha chiesto la declaratoria d'inammissibilità ovvero d'infondatezza, sostenendo che sarebbero inesatti sia la qualificazione dei poteri del datore di lavoro sia il richiamo all'art. 24.

 

3. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita la Federazione nazionale lavoratori dell'energia F.N.L.E.-C.G.I.L. in persona del segretario territoriale, esponendo che, in conformità a quanto gi previsto nei codici di autoregolamentazione, durante gli scioperi è mantenuta l'erogazione dei servizi onde mai gli utenti del gas hanno risentito delle astensioni. Le organizzazioni dei lavoratori dell'energia avevano aderito allo sciopero del 22 settembre 1992 contro il "decreto Amato", sciopero proclamato il 18 settembre 1992 dalle Confederazioni nazionali. Si trattava di una agitazione a carattere nazionale, ma articolata su base regionale, e nella specie i tempi non consentivano l'effettuazione di un preavviso che non aveva peraltro nessuna funzione, non risentendo alcun danno gli utenti per essere assicurata la totale erogazione del servizio, e non essendoci luogo ad un tentativo di soluzione concordata di alcun conflitto. L'Azienda Municipalizzata aveva ci nonostante applicato la sanzione: tale "cieco automatismo, senza alcuna garanzia di contraddittorio", concreterebbe a parere della parte la denunciata illegittimità costituzionale.

 

In una ulteriore memoria depositata nell'imminenza dell'udienza, la Federazione ha sottolineato come, nel caso in esame, la garanzia degli utenti discenda dalla decisione del sindacato di assicurare a priori tutte le attività di erogazione del servizio, sicché un preavviso sarebbe stato in re ipsa da escludere, non configurandosi la possibilità di una trattativa. Ha inoltre rilevato che in un'intesa su base locale è prevista una procedura al fine dell'irrogazione delle sanzioni, che ne rimette la valutazione ad un collegio di 7 membri, per cui tutto il settore sarebbe da considerarsi fuori dal campo di applicazione della legge n. 146 del 1990. L'ordinanza di rimessione sarebbe carente di motivazione sul punto, non essendosi il giudice a quo neppure chiesto se nel sistema possono "trovare spazio" accordi, qual è quello richiamato, che hanno devoluto ad un terzo soggetto "ogni questione attinente alla applicazione dell'apparato sanzionatorio"; tale lacuna nella ricostruzione operata dal Pretore di Pistoia, sarebbe tale da incidere sul giudizio di rilevanza.

 

Nel contestare poi le eccezioni dell'Avvocatura, la Federazione ricorda come il vulnus nella razionalità complessiva del sistema sia stato ravvisato dal remittente attraverso il richiamo all'art. 3 della Costituzione, indipendentemente, quindi, dalla violazione dell'art. 24. Sulla fondatezza di tale prospettazione, la difesa insiste richiamando le osservazioni gi svolte e conclude per l'auspicata declaratoria, salvo che venga disattesa l'intera ricostruzione sistematica del giudice a quo (nella suggerita prospettiva di prevalenza della fonte negoziale).

 

4. - Nel corso di analogo giudizio di opposizione avverso un decreto emesso ex art. 28 che aveva escluso l'antisindacalità delle trattenute operate dall'Azienda Energetica Municipale di Milano in occasione del medesimo sciopero (tenutosi in Lombardia il 23 settembre 1992), il Pretore di quella città, con ordinanza emessa il 10 giugno 1994, ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 24 e 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4 e 12 della legge n. 146 del 1990.

 

Il fatto che sia il datore di lavoro, secondo l'interpretazione corrente, titolare del potere sanzionatorio sembra al Pretore incompatibile con l'art. 3 della Costituzione allorché destinataria di una sanzione sia un'organizzazione sindacale, che non dispone di alcuna garanzia procedimentale, diversamente da quanto assicurato al singolo lavoratore dall'art. 7 della Costituzione.

 

Ulteriore profilo d'incostituzionalità sarebbe poi ravvisabile in riferimento agli artt. 24, secondo comma e 39 della Costituzione ("per i possibili effetti... sulla libertà di azione e organizzazione sindacale"), e non solo nell'art. 4 ma anche nell'art. 12 della citata legge n. 146 del 1990 dove non prevede che i pareri e la decisione della Commissione siano presi con la garanzia del contraddittorio.

 

Nel richiamare la sentenza n. 204 del 1982 di questa Corte a proposito della necessità del procedimento allorché la sanzione venga irrogata da una parte, il giudice a quo sottolinea come nel rapporto tra datore di lavoro ed organizzazione sindacale, il primo, cumulando poteri privati con poteri pubblici di salvaguardia dei diritti degli utenti, potrebbe anche, in nome di un'"ultrarigorosa tutela" di questi ultimi, essere indotto a "far pesare l'investitura pubblica a proprio vantaggio nel conflitto" con il sindacato.

 

5. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, svolgendo osservazioni identiche a quelle riportate sub 2 e riservandosi anche in questo caso di depositare ulteriore memoria.

 

6. - Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituite entrambe le parti private.

 

La Federazione nazionale dei lavoratori dell'energia ha chiesto che, ove non sia possibile pervenire ad un'interpretazione adeguatrice, la norma sia dichiarata illegittima, poiché la "regola del contraddittorio è patrimonio indiscutibile della nostra civiltà giuridica".

 

L'Azienda Municipalizzata ha concluso per l'irrilevanza e per l'infondatezza della questione. Sotto il primo aspetto essa sottolinea, come le valutazioni della Commissione di garanzia, non siano vincolanti per il giudice e possano da questi essere disapplicate. In secondo luogo osserva che i parametri costituzionali evocati non implicano affatto che in ogni provvedimento amministrativo debba necessariamente instaurarsi un contraddittorio con le parti interessate all'emissione del provvedimento; tale esigenza deve invece essere soddisfatta in sede giurisdizionale, com'è appunto avvenuto.

 

Nell'imminenza dell'udienza entrambe le parti hanno depositato memorie ulteriori.

 

La Federazione, dato atto della maggior ampiezza tematica della prospettazione del Pretore di Milano, che investe anche il procedimento dinanzi alla Commissione, rileva come della valutazione negativa effettuata da quest'ultima circa il comportamento delle organizzazioni sindacali, le stesse siano rimaste "all'oscuro". Con riferimento all'obiezione dell'Azienda Municipale circa la possibilità del giudice di disattendere comunque le decisioni della Commissione, la difesa osserva che in ogni caso le valutazioni della Commissione inciderebbero "in modo immediato sui diritti e sulla posizione del sindacato".

 

L'Azienda Municipale, ribadendo che oggetto del giudizio a quo non è un provvedimento adottato dalla Commissione bensì la qualificazione del comportamento tenuto dall'azienda in termini di antisindacalità o meno, ha insistito sul carattere meramente valutativo dell'attività della Commissione.

 

Circa la violazione dell'art. 24, la difesa dell'azienda assume l'inconferenza del richiamo alla sentenza n. 204 del 1982, avente ad oggetto il diverso tema dell'estensione al licenziamento delle garanzie procedimentali previste per le altre sanzioni a carico dei lavoratori.

 

7. - Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato memoria ulteriore, relativa ad entrambe le ordinanze.

 

Preliminarmente l'Avvocatura rileva come al datore di lavoro sia affidato il compito di accertare il realizzarsi o meno di una delle fattispecie previste dalla legge, in presenza di un coinvolgimento del tutto eventuale e di un'iniziativa soltanto facoltativa della Commissione di garanzia.

 

Nel merito l'Avvocatura ribadisce come non sia sostenibile la violazione dell'art. 24 della Costituzione ed esclude che contromisure di natura patrimoniale possano influire sulla libertà di organizzazione garantita dall'art. 39 della Costituzione. Quanto infine all'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, rileva che "i soggetti in conflitto sono di norma associazioni datoriali ed associazioni di lavoratori", che l'art. 7 della legge n. 300 del 1970 non è suscettibile di applicazione analogica, che non può parlarsi di potere privato del datore di lavoro, il quale svolgerebbe un compito prevalentemente esattoriale per conto dell'I.N.P.S.

 

L'Avvocatura conclude osservando che comunque, a fronte di un'incompletezza della normativa, sussiste una molteplicità di soluzioni adottabili anche in sede di contrattazione collettiva, sicché, a tutto concedere, la conclusione del giudizio non potrebbe che essere in termini di inammissibilità.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Pretore di Pistoia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, della legge 12 giugno 1990, n. 146, poiché la norma, nel prevedere a carico delle organizzazioni sindacali la perdita temporanea dei contributi sindacali trattenuti sulla retribuzione dei lavoratori ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, ed il versamento del relativo importo all'I.N.P.S. da parte del datore di lavoro, senza introdurre alcuna fase procedimentale di contestazione dell'addebito ovvero alcun momento di contraddittorio, violerebbe l'art. 24 (precetto da cui sarebbe derivabile una generale portata applicativa del principio del giusto procedimento), nonché l'art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento rispetto all'ipotesi delle sanzioni comminate al singolo lavoratore, che si giova delle garanzie di cui all'art. 7 della stessa legge 300 del 1970. Analoghe censure sono rivolte all'intera norma dal Pretore di Milano, che invoca altresì il parametro costituito dall'art. 39 della Costituzione per il possibile pregiudizio che tale congegno sanzionatorio sarebbe idoneo a produrre sulla libertà di azione e di organizzazione del sindacato.

 

Il Pretore di Milano dubita altresì, in riferimento alle citate norme della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 12 della stessa legge n. 146 del 1990, poiché anche detta norma non prevede che analoga garanzia procedimentale assista i pareri e le decisioni della Commissione di garanzia.

 

2. - Le questioni, per la sostanziale identità e per l'analogia dei profili, possono essere trattate e decise congiuntamente.

 

3. - Entrambi i giudizi a quibus traggono origine dalla violazione dell'obbligo di preavviso minimo richiesto dall'art. 2 della legge n. 146 del 1990. Poiché il diritto di sciopero era stato esercitato senza il preavviso di dieci giorni, le aziende municipali erogatrici dei servizi sospesero il pagamento alle organizzazioni dei lavoratori dei contributi sindacali ritenuti ai sensi dell'art. 26 della legge n. 300 del 1970, versandoli successivamente all'I.N.P.S., in conformità a quanto previsto nell'art. 4, comma 2, della legge n. 146 del 1990. Quest'ultima norma dispone che nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che proclamano uno sciopero o ad esso aderiscono in violazione delle disposizioni di cui all'art. 2, sono sospesi per la durata dell'azione stessa e, in ogni caso, per un periodo non inferiore ad un mese, i benefici di ordine patrimoniale derivanti dagli artt. 23 e 26, secondo comma, della legge n. 300 del 1970.

 

I giudici remittenti danno atto che la concreta applicazione della misura, pur in assenza di una previsione espressa, compete al datore di lavoro, ma individuano nella carenza di un qualsiasi momento procedimentale e nel confronto con le garanzie che assistono invece i singoli lavoratori, i descritti vulnera ai succitati precetti costituzionali.

 

4. - La prima delle questioni sottoposte all'esame della Corte concerne la norma di cui all'art. 4, correttamente censurata dal Pretore di Milano nell'insieme delle sue previsioni, con una pi ampia prospettazione includente dunque anche quella, limitata al comma 2, offerta dal Pretore di Pistoia.

 

Così posta, la questione è fondata.

 

4.1. - L'esercizio del diritto di sciopero nel settore dei servizi pubblici essenziali è assoggettato, dalla legge n. 146 del 1990, ad una disciplina di marcata connotazione procedimentale che, muovendo dalla fissazione dei requisiti minimi delle prestazioni indispensabili e determinando poi la sequela degli atti strumentalmente necessari per pervenire alla fase di astensione dall'attività lavorativa, giunge alla configurazione di un apparato sanzionatorio articolato in una serie di misure: amministrative, disciplinari e afflittive in senso lato.

 

Su quest'ultimo versante si collocano le norme di previsione dei provvedimenti a carico del singolo lavoratore (art. 4, comma 1) e delle associazioni sindacali (comma 2 e comma 3), che non osservano detta disciplina. Ma - a prescindere da questa comune collocazione, di per s non significativa che di una connotazione genericamente sanzionatoria delle misure contemplate - mentre quelle concernenti il lavoratore trovano il loro specifico presupposto nell'esistenza del rapporto di lavoro e si correlano dunque all'esercizio del potere disciplinare attribuito dall'art. 2106 c.c. al datore di lavoro, con la conseguente applicabilità delle garanzie procedimentali di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970, invece la circostanza che l'apparato sanzionatorio riguardante i sindacati risulti, per la posizione dei soggetti destinatari, svincolato da uguale presupposto, determina una relazione di eterogeneità delle due situazioni di cui trattasi. Il che - se rende improponibile il confronto fra misure repressive utilizzabili nei confronti del sindacato e sanzioni disciplinari applicabili al lavoratore, venendo, per le prime, in rilievo un'esigenza di salvaguardia della libertà sindacale, garantita dall'art. 39 della Costituzione per fini di interesse generale che trascendono il singolo rapporto di lavoro nel cui Ambito si colloca una specifica regolamentazione del potere disciplinare - per converso svela l'irragionevolezza di una diversità di disciplina concernente le due sanzioni previste dai commi 2 e 3 dell'art. 4, che viceversa sono omogenee e possono anche cumularsi tra loro.

 

Cosicché la violazione dell'art. 3 della Costituzione, se va certamente esclusa ove si prenda come tertium comparationis il citato art. 7 della legge n. 300 del 1970, appare invece evidente sotto il profilo dell'irragionevolezza interna alla disciplina dell'articolo impugnato. Questo infatti prevede, con riguardo a identiche violazioni del precedente art. 2, due distinti effetti: uno patrimoniale, consistente appunto nella perdita dei benefici derivanti dagli artt. 23 e 26 della legge n. 300 del 1970, l'altro incidente sulla condizione del sindacato con la esclusione dalle trattative.

 

Il fatto causativo, sebbene unico, viene assoggettato alla valutazione della Commissione di garanzia con riguardo a uno soltanto di essi. Solo per l'esclusione dalle trattative è infatti esplicitamente richiesta l'"indicazione" della Commissione di garanzia, la quale esercita in tale ipotesi la competenza attribuitale dall'art. 13, lett. c), secondo il quale, appunto, alla valutazione del comportamento dei soggetti che proclamano lo sciopero o che vi aderiscono segue la segnalazione "ai fini previsti dal comma 3 dell'art. 4". E dunque il potere di valutazione dei fatti ed il giudizio circa la violazione dei precetti della legge appartiene (solo) in questo caso alla Commissione, escludendosi la possibilità per il datore di lavoro di procedere ex se all'irrogazione della sanzione.

 

Ma non è dato rinvenire giustificazioni onde escludere tale intervento anche nel caso in esame, concernente le misure patrimoniali. Queste hanno conseguenze afflittive non necessariamente meno gravi per il sindacato, stante la loro idoneità a penalizzarne la funzione nonché la riconoscibilità come interlocutore nel quadro delle relazioni industriali; e quindi non possono ragionevolmente prescindere da quel presupposto procedimentale, che, rispetto alla garanzia di libertà sindacale posta dal gi richiamato art. 39 della Costituzione, si configura come un requisito minimo indispensabile per l'insorgenza del potere sanzionatorio, ricollegando questo ad una imparziale valutazione delle circostanze rilevanti ed in tal guisa sottraendolo, nel momento genetico, alla unilaterale determinazione di un soggetto, quale il datore di lavoro, portatore di interessi potenzialmente contrapposti.

 

Che sussista un'esigenza di funzionalità applicativa di tali misure per investire del relativo potere il datore di lavoro, non v'è dubbio. Ma trattasi d'un potere strumentale alla salvaguardia delle finalità limitative dello sciopero (quindi collegato alla tutela d'un interesse pubblico), implicante valutazioni che certamente escludono l'esistenza d'un mero automatismo cui agganciare una doverosa condotta del datore di lavoro. Basti pensare al giudizio sulla ricorrenza o meno dello sciopero proclamato a difesa dell'ordine costituzionale (che, in caso positivo, esclude l'illegittimità) o alla concreta identificazione delle organizzazioni che "aderiscono" allo sciopero (dato non sempre di agevole percettibilità), per comprendere come tale attività valutativa esista e non possa in nessun caso essere lasciata al mero giudizio del datore di lavoro, la cui discrezionalità, nell'applicare le sanzioni al sindacato, deve perciò essere limitata dall'intervento della Commissione pure con riguardo alle misure patrimoniali.

 

Anche in tale ipotesi, dunque, la segnalazione della Commissione si impone come necessario presupposto dell'azione sanzionatoria. Il potere sanzionatorio è infatti funzionale a garantire i servizi minimi essenziali: in esso non è ravvisabile un qualsivoglia profilo di autotutela, ed è perciò necessario che la sua esplicazione avvenga esclusivamente in riferimento alle rationes legis, a tutela cioè degl'interessi degli utenti, proprio per l'estraneità, al contenuto della normativa, dei rapporti tra diritto di sciopero ed interessi dell'impresa (v. sentenza n. 317 del 1992). La verifica dei presupposti per l'applicabilità della sanzione deve restare quindi sempre affidata a quel soggetto super partes ad alta competenza, che il legislatore ha configurato nella Commissione di garanzia.

 

4.2. - Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale del citato art. 4, comma 2, nella parte in cui non prevede che la sospensione dei benefici patrimoniali ivi indicati venga disposta su indicazione della Commissione di garanzia, secondo lo schema adottato nel successivo comma.

 

In via conseguenziale deve altresì essere dichiarata l'illegittimità costituzionale del successivo art. 13, lett. c), in quanto non prevede che l'attività della Commissione stessa si svolga anche ai fini previsti dall'art. 4, comma 2.

 

5. - Non fondata per l'inesattezza del presupposto da cui muove il giudice a quo è invece la seconda questione, concernente l'art. 12 della legge n. 146 del 1990.

 

Nel descrivere la composizione nonché gli aspetti organizzativi e funzionali della Commissione di garanzia, la norma non esclude affatto la necessità di vincoli procedurali che scandiscano l'attività della stessa. Anzi, sotto un primo e pi generale profilo di efficienza e buon andamento, è chiaro come l'acquisizione di dati, le audizioni e le informazioni di cui al comma 4 della norma impugnata, con l'espresso riferimento alle pubbliche amministrazioni, alle organizzazioni sindacali e alle imprese, sia strumentale ad una esigenza di funzionalità, quindi ad un corretto esercizio delle diverse attribuzioni dell'Autorità in argomento.

 

Proprio avuto riguardo specifico alla previsione di cui al gi richiamato art. 13, lett. c), deve negarsi che dall'art. 12 possa evincersi quella totale mancanza di garanzie procedimentali censurata dal Pretore di Milano, giacché una diversa lettura della norma, quand'anche non smentita da disposizioni regolamentari interne, colliderebbe certamente con il dettato costituzionale.

 

La partecipazione dei destinatari delle misure afflittive all'attività valutativa della Commissione (oltre ad essere tecnicamente richiesta, in quanto le organizzazioni sindacali sono potenzialmente in grado di fornire informazioni e notizie) è imposta da un'ovvia esigenza di bilanciamento del potere del datore di lavoro. L'attività della Commissione non può sottrarsi al generale canone audiatur et altera pars: se è vero infatti che il "giusto procedimento" in quanto tale non può dirsi  un principio assistito in assoluto da garanzia costituzionale (v., ad es., ordinanza n. 503 del 1987), è certo ch'esso costituisce sempre almeno un criterio di orientamento, come per il legislatore così per l'interprete. Nella specie il coinvolgimento dei soggetti interessati ed il momento di partecipazione che ne deriva, si pongono come fase indefettibile di un procedimento che può concludersi abilitando il datore di lavoro ad applicare una misura afflittiva. La necessità di comunicare l'avvio di una fase conoscitiva (del resto riconducibile all'art. 7, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che ha carattere generale ed è quindi integrativa anche di procedimenti amministrativi disciplinati da disposizioni anteriori: v. sentenza n. 311 del 1994) e la conseguente possibilità per gli interessati di presentare memorie e documenti, appartengono quindi ad un momento procedimentale che risponde - prima ancora che ad un'esigenza di imparzialità e di buon andamento (cfr. sentenza n. 197 del 1994) - alla stessa ratio legis, in quanto idoneo a scongiurare un possibile conflitto e ad appagare quella finalità propria della legge n. 146 del 1990, che affida alla responsabilità delle parti sociali, in un definito quadro procedurale, la tutela delle situazioni costituzionalmente garantite, in ragione delle quali soltanto può essere limitato l'esercizio del diritto di sciopero.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

- dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 2, della legge 12 giugno 1990, n. 146, nella parte in cui non prevede che la sospensione dei benefici di ordine patrimoniale ivi previsti avvenga su indicazione della Commissione di cui all'art. 12;

 

- dichiara - in applicazione dell'art. 27, della legge 11 marzo 1953, n. 87 - l'illegittimità costituzionale dell'art. 13, lett. c) della legge 12 giugno 1990, n. 146, nella parte in cui non prevede che la segnalazione della Commissione sia effettuata anche ai fini previsti dal comma 2 dell'art. 4;

 

- dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12 della legge 12 giugno 1990, n. 146, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 39 della Costituzione, dal Pretore di Milano con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1995.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Cesare RUPERTO, Cesare

 

Depositata in cancelleria il 24 febbraio 1995.