Sentenza n. 56 del 1995

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 56

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 12, primo e secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 (Disciplina delle tasse sulle concessioni governative), promossi con 5 ordinanze emesse il 27 gennaio, il 23 aprile e il 30 giugno dal Tribunale di Genova, iscritti ai nn. 303, 452, 640, 641 e 651 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23, 35, 44 e 45, prima serie speciale, dell'anno 1994;

Visti gli atti di costituzione della s.r.l. Bieffe e della s.p.a. Asso Vittoria Torino A.V.T. ed altre;

udito nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1995 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'avv. Giuseppe Conte per la s.r.l. Bieffe e la s.p.a. Asso Vittoria Torino A.V.T. ed altre.

Ritenuto in fatto

1. Con cinque ordinanze di identico contenuto, in data 27 gennaio, 23 aprile e 30 giugno 1994, il Tribunale di Genova ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 12, primo e secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, nella parte in cui, in materia di rimborso della tassa annuale di concessione governativa sulle società, prevista dall'art. 3, commi 18 e 19, del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, non consente l'esercizio dell'azione giudiziaria anche in mancanza dei preventivi ricorsi amministrativi.

Secondo gli artt. 11 e 12 dello stesso D.P.R. n. 641 del 1972, applicabili anche per la restituzione delle tasse di concessione governativa non dovute, l'azione giudiziaria può essere esperita soltanto dopo la notifica dei provvedimenti definitivi sui ricorsi amministrativi all'intendente di finanza e, in secondo grado, al ministro delle finanze, ovvero trascorsi centottanta giorni dalla data di presentazione del primo ricorso senza alcuna notifica di decisione.

2. Il giudice rimettente osserva, che, sebbene gli artt. 24 e 113 Cost. non impongano una correlazione assoluta tra il sorgere del diritto e la sua azionabilità, la quale può essere differita a un momento successivo ove ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia, tuttavia questa Corte, a proposito di una disciplina parallela a quella in esame (art. 33 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, sulla disciplina dell'imposta di bollo), ha affermato che, pur nel concorso di tali circostanze, "il legislatore è sempre tenuto ad osservare il limite imposto dall'esigenza di non rendere la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa in conformità al principio della piena attuazione della garanzia stabilita dalle suddette norme costituzionali" (sent. n. 406 del 1993). Questa regola vale anche per l'art. 12 del D.P.R. n. 641 del 1972: esso comprime ingiustificatamente il diritto di difesa del contribuente, in particolare disponendone la decadenza per il mancato esperimento dei ricorsi amministrativi. Ci è tanto pi grave nel caso in esame in cui si controverte di diritti soggettivi.

La questione di legittimità è posta anche in riferimento al principio di eguaglianza, atteso che in materia di rimborsi l'Amministrazione, essendo priva di poteri discrezionali e dovendo verificare la sussistenza dei presupposti del diritto fatto valere dal contribuente, si trova con questo in una posizione paritaria.

2.1. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituite alcune delle società ricorrenti chiedendo una dichiarazione di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza o, in subordine, l'incostituzionalità della norma censurata.

Secondo le parti costituite , poiché la tassa annuale di concessione governativa di cui è stato chiesto il rimborso è vietata dalla direttiva del Consiglio n. 69/335/CEE, direttamente applicabile nell'ordinamento interno come interpretata dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con sentenza del 20 aprile 1993 nn. C-71/91 e C-178/91, il giudice a quo poteva e doveva risolvere le controversie disapplicando la norma interna incompatibile col diritto comunitario, senza necessità di ottenerne la previa declaratoria di incostituzionalità. In proposito si richiamano le sentenze di questa Corte nn. 170 del 1984, 113 del 1985, 389 del 1989 e 168 del 1991.

Inoltre, per costante giurisprudenza della Corte di giustizia CE, i diritti riconosciuti ai singoli in forza dell'ordinamento comunitario devono poter ottenere negli ordinamenti nazionali la stessa tutela sostanziale e processuale, sia nelle controversie fra privati, sia in quelle tra privati e pubblica amministrazione. Ne consegue che il diritto dei contribuenti al rimborso delle somme indebitamente pagate all'erario doveva essere ammesso esclusivamente in base ai principi sulla ripetizione dell'indebito, essendo incompatibile con la normativa comunitaria qualsiasi regola procedurale che, per il solo fatto che l'accipiens sia lo Stato, imponga procedure pi lunghe ed onerose per ottenere il soddisfacimento dei propri crediti.

In subordine, si conclude per la declaratoria di incostituzionalità della norma impugnata, stante la perfetta simmetria con la disposizione dell'art. 33 del D.P.R. n. 642 del 1972, gi dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 406 del 1993.

2.2. Con successiva memoria le stesse società fanno presente di avere denunziato alla Commissione dell'Unione europea, a norma dell'art. 169 del Trattato costitutivo, il comportamento ostruzionistico dell'Avvocatura dello Stato, al fine di far dichiarare l'inadempimento dello Stato italiano all'esecuzione della sentenza 20 aprile 1993 della Corte di giustizia. Tale comportamento risulta ulteriormente confermato dalla circolare 11 gennaio 1995, n. 2/E, dell'amministrazione delle finanze con cui si invitano le direzioni regionali ad attenersi alle indicazioni contenute nel parere consultivo dell'Avvocatura n. 63966 del 1993, con cui si consigliano gli organi periferici di resistere alle domande di ripetizione suggerendo una serie di eccezioni, tra cui quella fondata sulla norma impugnata.

Si ribadisce, pertanto, la conclusione in via principale di inammissibilità, dovendo la questione in esame trovare direttamente soluzione nei giudizi a quibus mediante disapplicazione della norma interna censurata.

Considerato in diritto

1. Con le ordinanze in epigrafe il Tribunale di Genova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, primo e secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, nella parte in cui, in materia di rimborso della tassa annuale di concessione governativa sulle società, prevista dall'art. 3, commi 18 e 19, del d.l. 19 dicembre 1984, n. 853, convertito nella legge 17 febbraio 1985, n. 17, non consente l'esercizio dell'azione giudiziaria anche in mancanza dei preventivi ricorsi amministrativi.

L'identità di oggetto dei giudizi introdotti dalle cinque ordinanze ne consente la riunione ai fini della decisione con unica sentenza.

2. La tassa annuale di concessione governativa per l'iscrizione delle società nel registro delle imprese, di cui al citato d.l. n. 853 del 1984, è stata soppressa dall'art. 61 del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, convertito nella legge 29 ottobre 1993, n. 427, senza efficacia retroattiva. Tuttavia, poiché per gli anni precedenti la tassa è stata indebitamente riscossa dallo Stato italiano in violazione dell'art. 10 della direttiva 69/335/CEE del 17 luglio 1969, come interpretato dalla Corte di giustizia delle Comunità europee con sentenza 20 aprile 1993, nn. C-71/91 e C-178/91, le somme pagate sono ripetibili in base al diritto comunitario, direttamente applicabile nell'ordinamento italiano.

L'esercizio dell'azione di ripetizione è per soggetto alla condizione di procedibilità prevista dall'art. 12 del D.P.R. n. 641 del 1972, ai sensi del quale la domanda giudiziale può essere proposta, previo ricorso all'autorità amministrativa, entro il termine di decadenza di novanta giorni dalla data di notifica della decisione definitiva oppure trascorsi centottanta giorni dalla data di presentazione del ricorso, qualora la decisione non sia notificata entro tale termine. Avendo le società ricorrenti esperito l'azione giudiziaria senza premettere il ricorso in sede amministrativa, la norma processuale, che imporrebbe al giudice di dichiarare improcedibile la domanda, viene impugnata per le medesime ragioni per le quali le disposizioni di identico tenore contenute nell'art. 33, ultimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, sull'imposta di bollo, e nell'art. 39 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, sull'imposta sugli spettacoli, sono state dichiarate costituzionalmente illegittime in parte qua da questa Corte con le sentenze nn. 406 del 1993 e 360 del 1994.

3. Le società ricorrenti hanno eccepito l'inammissibilità della questione per irrilevanza, sul riflesso che, essendo contrastanti col diritto comunitario non solo la norma tributaria sostanziale, ma anche la norma processuale, il giudice a quo deve disapplicarle entrambe, condannando senz'altro l'amministrazione finanziaria al rimborso delle somme indebitamente riscosse. La norma processuale violerebbe il principio fissato dalla Corte di giustizia CE con le sentenze 9 novembre 1983, n. 199/82 (Sangiorgio), e 19 novembre 1991, nn. 6 e 9/90 (Francovich), pronunziate ai sensi dell'art. 177 del Trattato, secondo cui le condizioni formali e sostanziali stabilite dalle diverse legislazioni nazionali in materia di rimborso di tributi riscossi in contrasto col diritto comunitario o in materia di risarcimento dei danni per mancata attuazione di una direttiva comunitaria "non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso o il risarcimento".

L'eccezione non può essere accolta perché la questione, nei termini in cui è proposta, prescinde da un contrasto col diritto comunitario. Il dictum della Corte di giustizia non vieta incondizionatamente che la proponibilità dell'azione di ripetizione sia subordinata alla condizione di un preventivo reclamo in sede amministrativa e al decorso infruttuoso di un certo termine dalla data di presentazione del reclamo, mentre proprio per questa ragione radicale, in quanto non ammette l'esercizio dell'azione giudiziaria senza il preventivo esperimento del ricorso amministrativo, l'art. 12 del D.P.R. n. 641 del 1972 viene impugnato, alla stregua dei precedenti di questa Corte, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., omesso ogni riferimento all'art. 11 Cost.

4. La questione è fondata.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, l'assoggettamento dell'azione giudiziaria all'onere di previo esperimento di rimedi amministrativi, con conseguente differimento della proponibilità dell'azione a un certo termine decorrente dalla data di presentazione del ricorso, è legittimo soltanto se giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia, fermo restando che, pur nel concorso di tali circostanze, il legislatore deve contenere l'onere nella misura meno gravosa possibile.

Per le controversie previste dall'art. 12 del D.P.R. n. 641 del 1972, come per quelle previste dalle norme analoghe dei decreti nn. 640 e 642, manca una ratio idonea a giustificare il limite imposto al principio dell'art. 24 Cost. Si tratta di controversie che non implicano accertamenti tecnici in funzione dei quali appaia necessario o opportuno che la fase giudiziaria sia preceduta da un esame in sede amministrativa (cfr. sentenza n. 15 del 1991), tanto meno quando, come nella specie, è chiesto il rimborso di tributi indebitamente riscossi dall'amministrazione finanziaria. Non vi sono ragioni che giustifichino il privilegio di una disciplina speciale, in favore del debitore, dell'azione di ripetizione dell'indebito contro il Fisco. D'altra parte, il contenzioso giudiziario innescato dalla sentenza 20 aprile 1993 della Corte di giustizia CE, con lo strascico di un ricorso alla Corte medesima per la dichiarazione di inadempimento degli obblighi che ne derivano allo Stato italiano, confermano l'esperienza della scarsa funzionalità, come mezzo di prevenzione delle liti, della condizione di accesso alla giurisdizione prescritta dalla norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 12 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641 (Disciplina delle tasse sulle concessioni governative), nella parte in cui non prevede, nelle controversie di cui all'art. 11 del decreto medesimo, l'esperibilità dell'azione giudiziaria anche in mancanza del preventivo ricorso amministrativo.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 20 febbraio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 febbraio 1995.