Sentenza n. 47 del 1995

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 47

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

-        Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-        Avv. Massimo VARI

-        Dott. Cesare RUPERTO

-        Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2503 del codice civile, nel testo in vigore anteriormente alla novella di cui all'art. 10 del decreto legislativo 16 gennaio 1991, n. 22 (di attuazione delle direttive n. 78/855/CEE e n. 82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie), promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1993 dalla Corte di cassazione su ricorso proposto dalla Banca nazionale del lavoro s.p.a. contro la Banca commerciale italiana s.p.a. ed altri iscritta al n. 316 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1994:

Visto l'atto di costituzione della Banca nazionale del lavoro s.p.a. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 gennaio 1995 il Giudice relatore Renato Granata;

uditi l'avv. Alberto Caltabiano per la Banca nazionale del lavoro s.p.a. e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Premesso che con sentenza del 21 febbraio 1984 il Tribunale di Bologna aveva dichiarato il fallimento della società New Matic s.r.l., nonchè (in estensione) quello di Alessandro Malverdi, già socio accomandatario della Telmatic s.a.s. precedentemente incorporata dalla New Matic s.r.l., e che l'opposizione di quest'ultimo era stata accolta, con sentenza poi confermata in grado d'appello, la Corte di cassazione, adita con ricorso avverso tale pronuncia proposto dalla Banca Nazionale del Lavoro, creditrice della società incorporata, ha sollevato (con ordinanza del 18 gennaio 1994) questione di legittimità costituzionale in via incidentale dell'art. 2503 cod.civ. nel testo in vigore anteriormente alla novella di cui al d. lgs. 16 gennaio 1991 n.22 (di attuazione delle direttive n.78/855/CEE e n.82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie) per sospetta violazione degli artt. 3 e 24 Cost.

In via preliminare la Corte rimettente considera che sussiste il requisito della rilevanza della questione atteso che - a differenza di analoga ordinanza di remissione (del Tribunale di Genova) decisa da questa Corte con pronuncia di inammissibilità (sent. n.409 del 1992) della questione sollevata in un giudizio di estensione della dichiarazione di fallimento ai soci illimitatamente responsabili, mentre parallelamente era stata proposta opposizione tardiva dai creditori istanti - non risulta nella specie pendente alcuna causa di opposizione (tempestiva o tardiva) alla fusione per in corporazione della s.a.s. Telmatic nella s.r.l. New Matic, ma si controverte unicamente sulla estensibilità della dichiarazione di fallimento di quest'ultima società al socio (già) accomandatario della s.a.s. sicchè la decisione della controversia dipende dall'accertamento della conformità agli artt. 24 e 3 Cost. del sistema legale di tutela dell'interesse dei creditori della società di persone alla conservazione della garanzia sul patrimonio dei soci illimitatamente responsabili di questa.

Nel merito la Corte rimettente - dopo aver ricordato che secondo la sua giurisprudenza (sent. 25 ottobre 1977 n.4565) non è possibile l'applicazione cumulativa degli artt. 2499 e 2503 c.c. e che l'opposizione alla fusione costituisce l'unico strumento apprestato ai creditori sociali per impedire che in conseguenza della fusione stessa si verifichi la liberazione del socio illimitatamente responsabile - ritiene che la disposizione dell'art. 2503 c.c. contrasti con l'art. 24 Cost. nella parte in cui fa dipendere il diritto dei creditori della società di persone nei confronti dei soci illimitatamente responsabili di questa, in caso di fusione eterogenea, dalla proposizione del giudizio di op posizione alla fusione entro un termine (tre mesi) decorrente non già dalla conoscenza effettiva dell'evento produttivo della estinzione della società debitrice e della liberazione dei soci illimitatamente responsabili (delibera di fusione per incorporazione della società debitrice in una società di capitali), bensì dall'astratta conoscibilità di tale delibera, derivante dall'iscrizione di essa nel registro delle imprese. In particolare la norma censurata sottopone i creditori ad un onere eccessivo e tale da compromettere seriamente la tutela dei loro diritti, costringendoli a compiere una continua attività di verifica dell'eventuale esistenza di delibere di fusione delle società debitrici con società a responsabilità limitata, mediante ricerche in registri che realizzano una pubblicità soltanto locale e che sono non di rado custoditi in luoghi distanti dal domicilio dei creditori stessi; ad accertare le condizioni della fusione e la situazione economico-patrimoniale della società incorporante o risultante dalla fusione; a valutare l'opportunità e la convenienza di proporre opposizione; a redigere ed a far notificare, a mezzo del difensore, il relativo atto; ciò peraltro entro un termine solo apparentemente congruo, ma in realtà insufficiente per l'espletamento di così complessi incombenti e decorrente da una data di cui non sempre essi possono venire tempestivamente a conoscenza, pur con l'impiego della dovuta diligenza.

Inoltre appare violato anche l'art. 3 Cost. se si considera il ben diverso e più efficace sistema di tutela dei diritti dei creditori offerto dall'art. 2499 c.c.in caso di trasformazione di società di persone in società di capitali. Ed infatti mentre l'art. 2499 c.c. ricollega gli effetti della trasformazione pregiudizievoli per i creditori al decorso del termine di trenta giorni dalla comunicazione personale, a mezzo di raccomandata, a ciascun creditore della delibera di trasformazione senza che l'interessato abbia espressamente negato il proprio consenso (dando così valore alla conoscenza effettiva dell'evento potenzialmente pregiudizievole), l'art. 2503 fa invece discendere automaticamente i medesimi effetti (limitazione di responsabilità, liberazione dei soci illimitatamente responsabili della società di persone fusa o incorporata), in caso di fusione eterogenea, dal solo decorso del termine di tre mesi dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera di fusione, indipendentemente dal fatto che i creditori possano averne avuto notizia. Nè la pur sussistente diversità dei due istituti giustifica la disparità di trattamento dei creditori nell'una e nell'altra ipotesi a fronte di interessi meritevoli di pari tutela.

2. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato eccependo in via pregiudiziale il difetto di rilevanza della questione di costituzionalità, in quanto, come già nella precedente occasione (sent. n.409/92 cit.), l'oggetto del giudizio a quo è costituito non già dalla legittimità, o meno, della realizzata fusione, ma dalla possibilità di estendere la dichiarazione di fallimento (della società incorporante) ai soci illimitatamente responsabili della (società di persone) incorporata, per debiti sociali anteriori alla fusione.

Nel merito l'Avvocatura ritiene non fondate le questioni di costituzionalità atteso che da una parte rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione di un termine congruo per proporre opposizione e d'altra parte non è irragionevole che il dies a quo decorra dalla realizzazione della tipica forma di pubblicità legale della delibera di fusione, qual è l'iscrizione nel registro delle imprese. Sotto altro profilo poi non sussiste disparità di trattamento rispetto alla disciplina della trasformazione atteso che fusione e trasformazione sono istituti profondamente diversi tra loro, conducendo l'una all'estinzione delle società fuse od incorporate e ad un fenomeno successorio per quanto riguarda i rapporti patrimoniali già facenti capo alle medesime e l'altra ad una modifica dell'atto costitutivo che presuppone la conservazione e la continuazione della società trasformata.

3. Si è costituita la Banca Nazionale del Lavoro e - nel ritenere la rilevanza della questione sollevata - ha concluso ritenendo l'applicabilità alla fusione societaria anche dell'art. 2499 c.c. (oltre che dell'art. 2503 c.c.) o alternativamente l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

Considerato in diritto

1. E' stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 2503 cod.civ. (nel testo in vigore anteriormente alla novella di cui al d. lgs. 16 gennaio 1991 n.22 di attuazione delle direttive n.78/855/CEE e n.82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie) nella parte in cui fa dipendere la liberazione degli (eventuali) soci illimitatamente responsabili della società di persone assoggettata a fusione dalla proposizione dell'opposizione alla fusione nel termine di tre mesi decorrente dall'iscrizione delle relative delibere nel registro delle imprese e non già dall'effettiva conoscenza delle stesse. E' sospettata la violazione sia del principio di parità di trattamento (perchè nel caso di trasformazione di una società di persone in società di capitali i soci illimitatamente responsabili della prima sono liberati, oltre che per espresso consenso dei terzi creditori, soltanto in caso di inerzia degli stessi protrattasi per un termine di trenta giorni decorrente dalla diretta comunicazione della trasformazione fatta con lettera raccomandata); sia del diritto di difesa (perchè il terzo creditore deve nel breve termine suddetto non solo effettuare periodicamente la ricerca presso il registro delle imprese, ma anche eventualmente predisporre l'atto di opposizione).

2. Pregiudizialmente va respinta l'eccezione di inammissibilità della questione sollevata dall'Avvocatura di Stato.

E' vero - come sottolinea l'Avvocatura - che il giudizio a quo ha ad oggetto, non già l'opposizione (ancorchè tardiva) alla fusione da parte dei creditori, ma l'estensione della dichiarazione di fallimento ai soci della società di persone incorporata in società di capitali. Però la censura oggi sottoposta all'esame della Corte - a differenza di quella scrutinata con la citata sentenza n.409 del 1992 - non è limitata all'interno del regime dell'opposizione alla fusione, ma è più radicalmente diretta a sollecitare il controllo di costituzionalità in ordine al meccanismo che comporta la liberazione del socio illimitatamente responsabile, liberazione da cui dipende conseguenzialmente la possibilità, o meno, di estendere a tale socio la dichiarazione di fallimento. E questo maggiore ambito della censura riflette esattamente il thema decidendum devoluto al giudice rimettente, il quale è chiamato appunto ad interpretare ed a fare applicazione dell'art. 2503 c.c. proprio nella parte in cui disciplina (indirettamente) la sorte della garanzia offerta al creditore sociale dal patrimonio del socio illimitatamente responsabile; valutazione questa che è necessariamente pregiudiziale all'altra concernente la estensibilità, o meno, della dichiarazione di fallimento. Sicchè correttamente lo stesso giudice rimettente ritiene che l'esito del giudizio dipenda dal contenuto precettivo di tale disposizione, di cui è chiesta la verifica di costituzionalità.

3. Nel merito la questione è fondata.

Può esaminarsi innanzi tutto la prospettata violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), che appare maggiormente conseguenziale al carattere radicale (e sostanziale) della censura, rispetto alla ipotizzata violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), che invece si colloca su un piano più limitatamente processuale.

L'ordinanza di remissione sollecita una comparazione tra la disciplina della liberazione del socio illimitatamente responsabile nel caso di fusione di società e quella parallela relativa alla trasformazione di società.

Per quest'ultima fattispecie l'art. 2499 c.c. appronta uno specifico meccanismo: la liberazione si verifica sia nel caso in cui il creditore abbia dato l'espresso consenso alla trasformazione, sia nel caso in cui il medesimo, pur avendo avuto la comunicazione per raccomandata della deliberazione di trasformazione, non abbia negato espressamente la propria adesione nel termine di trenta giorni dalla comunicazione. Tale comunicazione ha quindi la funzione di uno specifico interpello mirato a tutelare l'affidamento del creditore della società (anche) sulla responsabilità patrimoniale del socio illimitatamente responsabile.

Per la fusione in generale (e quindi in particolare anche per la fusione eterogenea quale quella che vede una società di persone incorporata in una società di capitali) l'art. 2503 c.c. non contempla analoga previsione espressamente disciplinando unicamente il profilo dell'opposizione alla fusione da parte dei creditori. Tuttavia la giurisprudenza della Corte di cassazione, richiamata dalla ordinanza di rimessione - valorizzando il carattere meramente sussidiario della eventuale responsabilità dei soci - ritiene che, verificatasi la fusione per incorporazione di una società di persone in una società di capitali, soltanto quest'ultima rimane obbligata per i debiti sociali pregressi con esclusione della responsabilità personale dei soci già illimitatamente responsabili della società incorporata; sicchè risultano ancorati ad un unico strumento di tutela sia l'interesse del creditore ad opporsi alla fusione per evitare la confusione dei patrimoni delle società partecipanti alla fusione, sia l'interesse dello stesso a conservare la responsabilità patrimoniale del socio illimitatamente responsabile.

Da questo dato interpretativo - affermato e ribadito dal giudice della nomofilachia - deve muovere lo scrutinio di costituzionalità domandato alla Corte.

4. La innegabile diversità complessiva dei due istituti (quello della trasformazione di una società di persone in una società avente personalità giuridica, da una parte, e quello della fusione eterogenea di più società, dall'altra) non è di ostacolo ad isolare - e poi comparare - quel segmento di disciplina che riguarda specificamente la liberazione del socio illimitatamente responsabile. In entrambe le fattispecie sussiste l'identico interesse del creditore a continuare a fare affidamento sulla responsabilità patrimoniale (ancorchè sussidiaria) del socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali pregresse; nè tale identità di posizioni è alterata dalla circostanza che il debitore nei rapporti obbligatori è in un caso ancora la medesima società, ancorchè trasformata, mentre nell'altro si identifica nella società di capitali risultante dalla fusione, che è distin ta dalla società di persone partecipante alla fusione stessa. La peculiarità che in quest'ultima vicenda si verifica la confusione dei patrimoni delle società interessate dalla fusione rappresenta un elemento nè differenziale, nè comunque rilevante quanto alla liberazione dei soci illimitatamente responsabili, ma è un elemento significativo soltanto dell'eventuale radicamento di un ulteriore (ma distinto ed autonomo) interesse del creditore ad impedire la confusione dei patrimoni delle società, la quale comporta il rischio - come si legge nella Relazione al codice civile - di un peggioramento della sua situazione in dipendenza del concorso di nuove masse creditorie, interesse che trova tutela nello specifico strumento dell'opposizione alla fusione.

Può quindi limitarsi la comparazione esclusivamente al profilo della liberazione del socio illimitatamente responsabile e in tale pertinente prospettiva la disparità risulta di tutta evidenza.

In un caso (quello della trasformazione) il creditore è destinatario di una specifica comunicazione della deliberazione di trasformazione che fa sorgere l'onere di attivarsi per impedire la liberazione negando espressamente la propria adesione nel termine di trenta giorni dalla comunicazione stessa. Questo è quindi l'unico onere posto a carico del creditore, mentre la comunicazione specificamente indirizzatagli, pur in presenza delle ordinarie forme di pubblicità societaria, rappresenta una tutela mirata alla eventuale conservazione della garanzia patrimoniale.

Nell'altra ipotesi (quella della fusione eterogenea) non è prevista analoga comunicazione singulatim, ma la pubblicità societaria è considerata esaustiva. Si ha quindi che la liberazione del socio illimitatamente responsabile consegue, come effetto indiretto, alla mancata opposizione alla fusione nel termine di tre mesi, della quale è data pubblicità nella forma della iscrizione della relativa deliberazione delle società partecipanti alla fusione nel registro delle imprese o, dopo la modifica dell'art. 2503 c.c., della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (ove richiesta). Quindi il creditore che intenda conservare la garanzia rappresentata dal patrimonio del socio illimitatamente responsabile è gravato dal ben maggiore onere - che non può dirsi compensato dal più ampio termine previsto dall'art. 2503 c.c. - di dover procedere a periodici accessi per consultare il registro delle imprese, mentre nel caso (in comparazione) della trasformazione può limitarsi ad attendere la comunicazione personale di cui all'art. 2499 c.c.; onere - il primo - la cui (in tesi ritenuta)idoneità al fine di contrastare la fusione in sè con l'atto di opposizione del creditore sociale, qui peraltro non in discussione, non offre ragione alcuna dello squilibrio nella più limitata prospettiva di conservazione della garanzia patrimoniale e di opposizione alla liberazione del socio illimitatamente responsabile.

Conclusivamente si ha quindi che l'identità dell'interesse in gioco rende ingiustificata la più gravosa disciplina che - secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione - deve leggersi nell'art. 2503 c.c. ed impone conseguenzialmente di parificare le due posizioni estendendo anche alla fusione eterogenea l'interpello previsto dall'art. 2499 c.c. in luogo del più gravoso automatismo liberatorio previsto (ancorchè non espressamente) dall'art. 2503 cit., ferma restando per l'opposizione dei creditori alla fusione la disciplina dettata da tale ultima disposizione che in parte qua - anche per quanto riguarda la decorrenza dal dies a quo del termine - è fuori dalla censura di costitu zionalità.

Quindi - rimanendo assorbito l'esame della prospettata violazione dell'art. 24 Cost. - va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2503 c.c. nella parte in cui non prevede che la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali anteriori alla fusione consegua esclusivamente al consenso espresso o presunto, nei modi e nel termine di cui all'art. 2499 c.c., dei creditori della società di persone partecipante alla fusione.

5. Analoga dichiarazione di incostituzionalità deve poi investire in via conseguenziale (ex art. 27 legge 11 marzo 1953 n.87) la medesima disposizione come sostituita dall'art. 10 d.lgs. 16 gennaio 1991 n.22 (di attuazione delle direttive n.78/855/CEE e n.82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie) atteso che, anche nella nuova formulazione che non è suscettibile di interpretazione diversa da quella accolta dalla giurisprudenza sulla disposizione originaria, permane il condizionamento della liberazione dei soci illimitatamente responsabili (non già al consenso espresso o presunto dei creditori sociali, bensì) alla mancata opposizione alla fusione, le cui delibere sono sog gette all'iscrizione o alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale senza che sia prevista alcuna comunicazione personale ai creditori al fine di acquisire il loro consenso espresso o presunto alla liberazione medesima e quindi persiste l'evidenziata disparità di trattamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2503 codice civile nella parte in cui non prevede che la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali anteriori alla fusione consegua esclusivamente al consenso espresso o presunto, nei modi e nel termine di cui all'art. 2499 codice civile, dei creditori della società di persone partecipante alla fusione.

b) dichiara , ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953 n.87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 2503 codice civile, nel testo sostituito dall'art. 10 d.lgs. 16 gennaio 1991 n.22 (di attuazione delle direttive n.78/855/CEE e n.82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie), nella parte in cui non prevede che la liberazione dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali anteriori alla fusione consegua esclusivamente al consenso espresso o presunto, nei modi e nel termine di cui all'art. 2499 codice civile, dei creditori della società di persone partecipante alla fusione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 1995.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 febbraio 1995.