Ordinanza n. 477 del 1994

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ORDINANZA N. 477

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 335 del codice di procedura penale, proposso con ordinanza emessa il 22 febbraio 1994 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Tolmezzo nel procedimento penale a carico di Pellegrini Afri Giovanni, iscritta al n. 339 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Tolmezzo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 335 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede, qualora il pubblico ministero non iscriva immediatamente la notizia di reato, che sia comunque applicabile la disciplina degli artt. 406 e 407 c.p.p. dell'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine, da computarsi, questo ultimo, dalla data di ricezione della notizia di reato e non dall'iscrizione nel relativo registro";

che ad avviso del remittente tale norma contrasterebbe:

a) con l'art. 3 Cost., per "la situazione deteriore e l'ingiusta disparità di trattamento che viene (...) a subire l'indagato rispetto alla situazione tipica prevista dalla legge";

b) con l'art. 76 Cost., non essendosi rispettata la previsione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, implicitamente richiamata dall'art. 2 (alinea) della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che assicura ad ogni persona che la sua causa sia esaminata in un tempo ragionevole da parte di un organo giurisdizionale;

c) con l'art. 112 Cost., in quanto il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale dovrebbe intendersi funzionale sia al corretto esercizio dell'attività giudiziaria sia all'uguaglianza di trattamento dei cittadini davanti alla legge, il che implicherebbe certezza sulle condizioni e sui tempi di esercizio dell'azione penale medesima;

che in punto di fatto il giudice a quo espone:

- che il procedimento penale, condotto secondo le regole del previgente codice di rito, si era in un primo tempo concluso con decreto del giudice istruttore in data 5 novembre 1985 "di non doversi promuovere l'azione penale perchè non erano emerse ipotesi di reato";

- che in data 20 febbraio 1986 il Procuratore della Repubblica "chiedeva al giudice istruttore di revocare il decreto di impromovibilità dell'azione penale e di procedere con il rito formale" a carico dell'imputato;

- che in data 20 aprile 1990 il giudice istruttore, ritenuto che non sussistesse alcuna delle ipotesi previste dall'art. 242 disp. trans. cod. proc. pen., trasmetteva il fascicolo al Procuratore della Repubblica perchè il procedimento proseguisse secondo il nuovo rito;

- che il pubblico ministero iscriveva la notizia nominativa di reato l'8 settembre 1992 e, all'esito di indagini preliminari, dopo aver richiesto e ottenuto in data 15 marzo 1993 una proroga del termine, chiedeva in data 7 maggio 1993 il rinvio a giudizio dell'imputato;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione.

Considerato che, secondo quanto esposto nell'ordinanza, il procedimento a quo, in corso alla data del 24 ottobre 1989, risulta regolato dalla disciplina transitoria, e in particolare dall'art. 258 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), in forza del quale, tra l'altro, per i procedimenti in corso che proseguono con l'osservanza delle disposizioni del nuovo codice, i termini di durata delle indagini preliminari "sono computati dalla data di entrata in vigore del codice" (comma 3);

che pertanto, in base a tale disciplina, espressamente derogativa di quella "a regime", non trova applicazione la regola per la quale i termini di durata delle indagini preliminari (artt. 405-407 cod. proc. pen.) decorrono "dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato" (art. 405 comma 2 cod. proc. pen.);

che, conseguentemente, essendo nella specie del tutto irrilevante, ai fini della decorrenza dei termini di durata delle indagini preliminari, il momento di iscrizione della notizia di reato nel registro ex art.335 cod. proc. pen., la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, non dovendo il giudice a quo fare applicazione della norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 335 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 76 e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Tolmezzo con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/12/94.