Sentenza n. 464 del 1994

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SENTENZA N. 464

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 15 luglio 1994, n. 444, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 16 maggio 1994, n. 293 (Disciplina della proroga degli organi amministrativi), promosso con ricorso della Regione Calabria, notificato il 2.8.1994, depositato in cancelleria l'8.8.1994 ed iscritto al n. 54 del registro ricorsi 1994.

 

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

udito l'avv. Federico Sorrentino per la Regione Calabria e l'avv. dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- La regione Calabria ha impugnato la legge 15 luglio 1994 n.444, che ha convertito, con modificazioni, il decreto- legge 16 maggio 1994, n. 293 (Disciplina della proroga degli organi amministrativi), invocando la violazione degli artt. 117, 118, 121, 122 e 123 della Costituzione. Le censure investono in particolare gli artt. 3; 4, comma 2; 6; e 9, comma 1, del decreto legge convertito nonchè l'art. 1, comma 2, della legge di conversione.

 

La ricorrente, dopo aver ricordato che il decreto legge n. 293 è l'undicesimo di una serie di provvedimenti normativi urgenti che il Governo ha di volta in volta reiterato a seguito della mancata conversione in legge dei precedenti (per la quasi totalità impugnati dalla medesima regione), rileva che con legge regionale 5 agosto 1992 n. 13 è stata dettata la disciplina delle nomine di competenza della regione negli enti regionali o subregionali diretta ad evitare il fenomeno della prorogatio degli organi, in particolare disponendosi che "tutte le nomine e le designazioni di competenza della regione cessano con la scadenza della legislatura nel corso della quale si è proceduto alla nomina o alla designazione" (art. 8, comma 1) e che, trascorsi 90 giorni dall'insediamento del nuovo consiglio regionale, le persone nominate o designate cessano dall'esercizio delle funzioni e, se il consiglio regionale non effettui le nuove nomine o designazioni, a ciò provveda la giunta regionale in via d'urgenza e con obbligo di ratifica entro 30 giorni da parte dell'organo consiliare (art.8, comma 2).

 

Detta legge regionale, ad avviso della ricorrente, sarebbe rispettosa dell'art. 97 della Costituzione per i profili indicati nella sentenza di questa Corte n. 208 del 1992, perchè esclude la proroga di fatto a tempo indeterminato e provvede a interventi sostitutivi e di urgenza in caso di inadempimento dell'organo consiliare competente, in ciò anticipando le disposizioni della legge statale, ora impugnata, che a sua volta si è adeguata agli insegnamenti impartiti dalla Corte nella sentenza n. 208 cit..

 

La regione osserva che l'art. 9, comma 1, del decreto-legge impugnato - secondo cui "le disposizioni ...[del decreto] operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno adeguato i rispettivi ordinamenti ai principi generali ivi contenuti" - se pure con una formulazione che attenua l'impatto sull'autonomia regionale rispetto alle precedenti versioni, ancor più lesive, dei provvedimenti d'urgenza reiterati dal Governo nella specifica materia, conferma tuttavia la violazione delle competenze regionali ove si interpreti la norma come abrogativa della legge regionale anticipatrice di quei principi e tale da rendere la nuova disciplina statale direttamente applicabile nella regione.

 

Sarebbe così illegittimo l'art. 4, comma 2, del decreto legge che, attribuendo la competenza sulle designazioni o nomine per la ricostituzione degli organi scaduti, in caso di inerzia degli organi collegiali, ai presidenti di detti organi, violerebbe sia le attribuzioni regionali in materia di ordinamento degli uffici ed enti dipendenti dalle regioni (art. 117 della Costituzione) sia la competenza statutaria (art. 123 della Costituzione), in quanto inciderebbe sulle norme che regolano le attribuzioni degli organi collegiali, creando ex novo una competenza dei presidenti e sottraendo ai collegi i correlativi poteri; detta disposizione, inoltre, contrasterebbe con gli articoli 121 e 122 della Costituzione per le nomine di competenza del consiglio regionale, attesa la configurazione del presidente di detto organo, che non è autonomo rispetto al consiglio stesso da cui è eletto per dirigerne i lavori (art. 122, terzo comma, della Costituzione), nè ha rilevanza esterna propria, a differenza del consiglio, della giunta e del presidente di questa (art. 121, primo comma, della Costituzione).

 

Sarebbe altresì lesivo delle competenze regionali l'art. 3 del decreto legge, che, sul regime di proroga degli organi amministrativi scaduti e degli atti da questi emanati, limita la competenza degli organi prorogati e sanziona come nulli gli atti posti in essere fuori dei limiti ivi previsti, in violazione dell'art. 117 della Costituzione; la censura sarebbe da estendere al successivo art. 6 che prevede la nullità di diritto degli atti compiuti dagli organi decaduti.

 

Analogamente, sempre ad avviso della ricorrente, sarebbe illegittimo l'art. 1, comma 2, della legge di conversione, che convalida gli atti e i provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base di tutti i decreti- legge decaduti, perchè verrebbero retroattivamente regolati rapporti che per quasi due anni sono stati oggetto di disciplina dei decreti-legge, in violazione delle competenze regionali in materia di organizzazione di uffici ed enti regionali, impedendosi altresì agli organi collegiali destinatari della disciplina di revocare gli atti illegittimi dei loro presidenti e di provvedere diversamente in ordine agli organi scaduti.

 

2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in giudizio per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, ha contestato il presupposto interpretativo a fondamento del ricorso, secondo cui l'art. 9, comma 1, del decreto-legge determinerebbe l'immediata abrogazione della preesistente normativa regionale, poichè alcuni dei principi posti dalla legge n. 444 del 1994 e dal relativo decreto-legge risultano già recepiti nell'ordinamento regionale, e specificamente quello della scadenza "a termine fisso" degli organi amministrativi [art. 2 del decreto-legge ed art. 8, comma 1, della legge regionale] e quello della necessaria individuazione del soggetto investito del potere sostitutivo di nomina, per il caso dell'inerzia dell'organo in via primaria competente [art. 4, comma 2, del decreto-legge e art. 8, comma 2, della legge regionale]; ond'è che, per tal parte, ogni motivo di doglianza sarebbe addirittura inammissibile.

 

Per il resto, e cioé per la parte in cui la legislazione regionale non è conforme ai nuovi principi fissati dal legislatore nazionale, la difesa dello Stato osserva che la ricorrente non ha ragione di opporsi a che medio tempore, fino alla completa recezione di quei principi, le disposizioni della legge statale si applichino in funzione integratrice della autonomia regionale, esercitata solo in parte.

 

3.- In prossimità dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria, nella quale svolge ulteriormente le proprie difese.

 

Considerato in diritto

 

1.- Con ricorso in via principale la regione Calabria impugna la legge 15 luglio 1994, n. 444, che ha convertito, con modifiche, il decreto-legge 16 maggio 1994, n.293 (Disciplina della proroga degli organi amministrativi), per asserita violazione degli artt. 117, 118, 121, 122 e 123 della Costituzione.

 

La regione ricorrente, nell'impugnare in particolare gli artt. 3; 4, comma 2; 6; 9, comma 1, del decreto-legge convertito, nonchè l'art. 1, comma 2, della legge di conversione, muove dal presupposto che detta normativa vincoli nel dettaglio anche aspetti già disciplinati dalla regione stessa con la legge regionale n. 13 del 1992, dal momento che, ai sensi dell'art. 9, comma 1, sopra richiamato, le disposizioni del decreto "operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno adeguato i rispettivi ordinamenti ai principi generali ivi con tenuti"; onde il contrasto con gli invocati parametri, per lesione delle competenze regionali.

 

Si sostiene altresì, sempre sul presupposto di cui sopra, che l'art. 4, comma 2, del decreto-legge convertito - che trasferisce ai presidenti degli organi collegiali la competenza alla ricostituzione degli organi, in caso di inerzia dei collegi pro tratta sino a tre giorni prima della scadenza della proroga - sia in contrasto con gli artt. 117 e 123 della Costituzione, per lesione delle attribuzioni legislative e statutarie circa le funzioni degli organi collegiali, in quanto creerebbe una nuova competenza dei presidenti in danno dei collegi; nonchè con gli articoli 121 e 122 della Costituzione, per i quali il presidente del consiglio regionale è organo privo di rilevanza esterna.

 

Si deduce, altresì, la violazione della competenza regionale da parte dell'art. 3 del decreto-legge convertito, che regola il regime di proroga degli organi scaduti sancendo la nullità degli atti da questi emanati al di fuori dei limiti indicati nelle norme statali, nonchè dell'art. 6 del decreto-legge che sancisce la nullità di diritto degli atti compiuti dagli organi scaduti.

 

Si sostiene, infine, il contrasto con gli artt. 117, 118 e 123 della Costituzione, per lesione delle competenze statutarie, legislative ed amministrative della regione, dell'art. 1, comma 2, della legge di conversione, che convalida gli atti di ricostituzione di organi scaduti adottati in via sostitutiva dai presidenti di organi collegiali sulla base dei precedenti decreti- legge non convertiti, sanando così retroattivamente la disciplina provvisoria di quasi due anni.

 

2.- La questione non è fondata in riferimento a tutti i parametri invocati e sotto tutti i profili dedotti.

 

Va preliminarmente ricordato che il decreto-legge n. 293 del 1994, convertito con la legge n. 444 del 1994, è l'undicesimo di una serie di decreti che hanno regolato, a seguito della sentenza di questa Corte n.208 del 1992, il regime della proroga degli organi amministrativi venuti a scadenza.

 

Nel respingere la questione di costituzionalità di una legge regionale - sollevata sotto il profilo di un suo preteso contrasto con il principio di carattere generale della prorogatio vincolante per il legislatore regionale - la quale aveva previsto che i comitati di controllo decadano qualora non siano rinnovati entro un certo periodo dalla scadenza, la ricordata sentenza di questa Corte ha escluso che la prorogatio di fatto degli organi amministrativi, a tempo indeterminato, costituisca un principio di carattere generale dell'ordinamento cui la regione sia tenuta ad attenersi. Detta sentenza precisava che, in armonia con i principi desumibili dall'art. 97 della Costituzione, ogni proroga dei poteri di organi, dopo la loro scadenza, può aversi soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa indicati.

 

Il decreto-legge n. 293 del 1994 - convertito nella legge n. 444 del 1994 (ultimo di quelli che sono seguiti dopo la sentenza di questa Corte) - impugnato dalla regione Calabria, pone appunto la disciplina relativa, tenendo conto dell'esigenza della continuità della funzione amministrativa che, in precedenza, la giurisprudenza, specie amministrativa, riteneva soddisfatta facendo ricorso al principio della prorogatio di fatto degli organi scaduti fino alla loro rinnovazione.

 

L'art. 9 del decreto-legge impugnato contiene una clausola di chiusura che dichiara operanti le disposizioni del decreto stesso direttamente nelle regioni a statuto ordinario fino a quando esse non avranno adeguato i rispettivi ordinamenti "ai principi generali" ivi contenuti; una autoqualificazione, questa che, come si ripeterà in prosieguo, non muta la sostanza ai fini dei limiti posti alle leggi regionali dall' art.117, primo comma, della Costituzione.

 

Orbene, tra questi principi, quelli che vengo no in evidenza in relazione al thema decidendum oggetto dell'impugnativa proposta dalla regione Calabria sono: a) la cessazione delle funzioni degli organi alla scadenza del loro termine di durata; b) l'indicazione di un ragionevole periodo di proroga, per consentirne la rinnovazione, durante il quale l'organo scaduto può compiere solo atti di ordinaria amministrazione, e la previsione di un regime sanzionatorio invalidante gli atti esorbitanti da tale limite; c) l'obbligo della ricostituzione dell'organo entro una data anteriore alla scadenza del periodo di proroga e, qualora a tale incombente debba provvedere un organo collegiale che rimanga inadempiente, l'attribuzione del relativo potere sostitutivo ad un organo monocratico che deve comunque effettuare la ricostituzione prima della cessazione della proroga; d) la definitiva decadenza degli organi scaduti dal momento di questa cessazione e l'assoggettamento ad un regime sanzionatorio di tutti gli atti emanati successivamente.

 

3.- Alla luce di quanto precede non ha fondamento il rilievo della regione ricorrente che, sia pur in modo incerto, sembra sostenere l'invasione delle proprie competenze perchè l'art. 9 del decreto-legge convertito, contenente la clausola di chiusura illustrata nel punto precedente, avrebbe illegittimamente abrogato la disciplina regionale già emanata in tema di proroga degli organi scaduti: una disciplina, che di per sè si sarebbe già uniformata all'art. 97 della Costituzione, secondo le indicazioni contenute nella sentenza n. 208 del 1992 cit.

 

Al riguardo devesi ricordare l'effetto abrogativo, desumibile dall'art.10 della legge 10 febbraio 1953 n. 62, ad opera delle leggi dello Stato contenenti i principi fondamentali in ordine a determinate materie, delle leggi regionali che non risultino conformi ai suddetti principi (sent. n. 498 del 1993). É perciò ininfluente, nella specie, che la regione Calabria abbia già emanato una propria "disciplina delle nomine di competenza della regione", ben potendosi dalla legge dello Stato, che ha in via generale disciplinato il regime della proroga degli organi amministrativi scaduti, desumere principi fondamentali con effetti abrogativi di quelle norme della legge regionale che risultino in contrasto con essi.

 

Nè la regione ricorrente può dolersi che l'attribuzione del potere sostitutivo al presidente de gli organi collegiali - che avrebbero dovuto provvedere alla rinnovazione di organi scaduti e che non vi abbiano adempiuto - produrrebbe effetti sconvolgenti nel proprio ordinamento quando l'organo collegiale sia il consiglio regionale, perchè, come si sostiene, si verrebbe in questo modo ad attribuire al suo presidente "una posizione per così dire autonoma dal consiglio stesso", mentre quella figura, a differenza del consiglio, della giunta e del suo presidente non "possiede una propria ed autonoma rilevanza esterna".

 

In proposito va ricordato quanto già rilevato e cioé sia il carattere sussidiario - espressamente dichiarato nella clausola di chiusura contenuta nell'art. 9 del decreto- legge - della disciplina puntuale contenuta nella normativa impugnata, sia l'obbligo per le regioni di uniformarsi, secondo quanto previsto dall'art. 117, primo comma, della Costituzione, ai "principi fondamentali" desumibili dalla legge dello Stato. Nè può dirsi influente, diversamente da quanto osservato dalla ricorrente, che l'art. 9 del decreto-legge impugnato si esprima al riguardo in termini di "principi generali", dato che in ogni caso ciò che rileva non sono le qualificazioni formali del legislatore, ma l'obbiettivo valore - ai fini di quanto previsto dall'art. 117, primo comma della Costituzione - di "principi fondamentali", di quelli desumibili dalla legge dello Stato.

 

Orbene, da quanto si è avuto modo di illustrare in precedenza (punto 2), dalla disposizione che, in caso di inadempienza dell'organo collegiale che debba in via primaria provvedere alle nomine di titolari degli organi scaduti, attribuisce al suo presidente il potere sostitutivo, si ricava il "principio fondamentale" dello spostamento della competenza da un organo collegiale ad uno monocratico. Ciò nella considerazione, ricavabile dalla comune esperienza, che, mentre quello collegiale possa non riuscire a riunirsi o non pervenire ad un accordo sulla nomina da effettuare, senza che per questo possano neppure individuarsi precise responsabilità derivanti dall'omissione, queste evenienze non sono ravvisabili nell'organo monocratico, che, una volta investito, non potrebbe sottrarsi se non andando incontro a precise responsabilità, ictu oculi rilevabili. Un principio, quello della sostituzione dell'organo monocratico all'organo collegiale inadempiente, che aveva un significativo precedente nell'art.36, comma quinto, della legge 8 giugno 1990, n.142, con riferimento al sindaco e al presidente della provincia nei riguardi dei rispettivi organi consiliari, prima della modifica introdotta dalla legge 25 marzo 1993 n. 81, che ha attribuito le nomine e le designazioni direttamente al sindaco e al presidente della provincia "sulla base degli indirizzi stabiliti dal [rispettivo] consiglio".

 

La legge della regione Calabria n. 13 del 1992, invocata dalla regione stessa per lamentare l'invasività operata da quella statale, non appare rispettosa di quel principio fondamentale, perchè l'art.8, comma 2, di essa stabilisce che, qualora la competenza per la rinnovazione dei titolari di altri organi spetti al consiglio regionale e questo rimanga inadempiente per un certo periodo, alla nomina debba provvedere in via sostitutiva la giunta regionale, con l'obbligo - in virtù del richiamo contenuto nella stessa norma all'art. 28 dello Statuto - di sottoporre la propria deliberazione alla ratifica del consiglio regionale, pena la sua decadenza. Trattasi perciò sempre di organi collegiali, per i quali potrebbero incontrarsi le stesse difficoltà non ovviabili, per le ragioni anzidette, se non facendo ricorso ad un organo monocratico.

 

L'abrogazione di detta norma regionale in virtù dell'art. 10 della legge n. 62 del 1953 e la provvisoria applicazione della norma statale, per effetto della quale il potere sostitutivo si trasferisce, anche nel caso di inadempienza del consiglio regionale, al suo presidente, non può perciò ritenersi invasiva delle attribuzioni regionali, dato che la regione potrà nuovamente intervenire con una propria legge disciplinante diversamente il potere sostitutivo, attribuendolo all'organo cui, in base al proprio Statuto, ritenga di assegnarlo, purchè venga rispettato il principio fondamentale del suo carattere monocratico.

 

4.- La questione non è fondata anche per i profili concernenti gli artt.3 e 6 del decreto-legge convertito che comminano, rispettivamente, la nullità degli atti esorbitanti dall'ordinaria amministrazione, emanati dagli organi collegiali scaduti durante il periodo di proroga ex lege, e la nullità di tutti gli atti, di qualunque natura, emanati dopo la cessazione del periodo di proroga.

 

Come si è avuto modo di illustrare (punto 2), costituisce certamente un principio fondamentale della legge impugnata quello dell'assoggettamento, ad un regime sanzionatorio invalidante, degli atti emanati dagli organi scaduti, sia pure in forma più limitata per quelli emanati durante il periodo di proroga previsto per procedersi alla rinnovazione degli organi stessi.

 

L'assoggettamento degli atti a detto regime sanzionatorio serve a rendere effettiva la rigorosa disciplina della proroga in parola e ad evitare ogni elusione, possibile ove si lasciassero indenni da ogni conseguenza sul piano giuridico gli atti emanati da organi ormai privi ex lege di ogni competenza. Una evenienza, questa, in contrasto con l'art.97 della Costituzione, come conseguenza di quanto affermato nella ricordata sentenza n. 208 del 1992, secondo cui: "se è previsto per legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che quindi la loro competenza sia temporaneamente circoscritta, una eventuale prorogatio sine die... violerebbe il principio di riserva di legge in materia di organi amministrativi". Se rimanessero validi o sanabili gli atti emanati dagli organi scaduti, detta affermazione sarebbe vanificata perchè ciò varrebbe ad attribuire in via indiretta ad organi, che la legge non riconosce più come titolari della funzione amministrativa, una legittimazione priva di ogni fondamento legislativo.

 

É perciò da escludersi la lamentata invasività di competenze regionali da parte degli artt.3 e 6 del decreto legge impugnato, nella parte in cui sanciscono le enunciate nullità, da valere per il legislatore regionale come principio fondamentale.

 

5.- Non fondata è infine la questione riferita all'art. 1, comma 2, della legge di conversione, che convalida gli atti e i provvedimenti adottati e fa salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base di tutti i decreti-legge succedutisi nella disciplina e decaduti per mancata conversione.

 

La tesi della incostituzionalità della convalida, in tal senso operata da parte della legge di conversione del decreto-legge impugnato, sostenuta nel rilievo che in tal modo vengono a disciplinarsi retroattivamente rapporti assoggettabili alla legislazione regionale, sembra non tener conto del terzo comma dell'art. 77 della Costituzione che, prevede appunto che le Camere possano regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

 

Una previsione questa, che, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, per sua essenza riguarda la possibilità di regolare retroattivamente, come nella specie, rapporti sorti in virtù di decreti-legge decaduti; non senza comunque considerare che, anche se non volesse farsi riferimento all'espressa previsione costituzionale anzidetta, la regolamentazione retroattiva di rapporti giuridici incontrerebbe, per costante giurisprudenza di questa Corte, (sentt. n. 389 e 205 del 1991, 155 del 1990, 190 del 1988) un limite solo in materia penale. É peraltro evidente che, avendo le leggi dello Stato, nelle materie di competenza delle regioni, carattere cedevole rispetto alla legislazione regionale, anche preesistente, regolante gli stessi rapporti- purchè rispettosa di principi fondamentali desumibili dalle prime - nella specie la salvezza degli effetti prodotti dai decreti-legge decaduti non riguarderebbe i rapporti che, nel rispetto di quei principi, risultassero già regolati dalla legge regionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge 15 luglio 1994 n. 444, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 1994 n. 293 (Disciplina della proroga degli organi amministrativi), sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118, 121, 122 e 123 della Costituzione, dalla regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30/12/1994.