Sentenza n. 461 del 1994

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SENTENZA N. 461

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE giudice

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale del Molise 7 luglio 1993, n. 16 [Interpretazione autentica dell'art. 3 della legge regionale 10 maggio (recte: marzo) 1989, n. 5], promossi con tre ordinanze emesse il 1° febbraio 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per il Molise sui ricorsi proposti da Palladino Igino ed altri, Colagiovanni Donato ed Eliseo Giorgio contro la Regione Molise, iscritte ai nn. 244, 245 e 246 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visti gli atti di costituzione di Palladino Igino ed altri, di Colagiovanni Donato, di Eliseo Giorgio e della Regione Molise;

 

udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1994 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

 

uditi gli avvocati Donatella Resta per Palladino Igino ed altri e Filippo Satta per la Regione Molise.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con tre ricorsi di analogo tenore, numerosi dipendenti della Regione Molise (alcuni dei quali inquadrati, ai sensi della legge regionale 8 giugno 1981, n. 10, al VII livello retributivo e altri all'VIII) esponevano al Tribunale amministrativo regionale per il Molise che l'Amministrazione regionale, in applicazione di una nuova disciplina, emanata con la legge regionale 7 luglio 1993, n. 16 (Interpretazione autentica dell'art. 3 della legge regionale 10 marzo 1989, n.5), aveva proceduto a un riesame delle rispettive posizioni. I ricorrenti si dolevano, in particolare, dell'applicazione retroattiva dei nuovi criteri per la evidente disparità di trattamento rispetto ai dipendenti degli enti subregionali già inquadrati con i precedenti (più favorevoli) criteri e per la elusione di orientamenti giurisprudenziali ampiamente consolidati. Avendo la Regione messo a concorso posti dirigenziali senza procedere all'inquadramento in base alla legge regionale 10 marzo 1989, n. 5 (Reinquadramento del personale già inquadrato alla Regione con leggi regionali: nn. 11/74, 12/74, 12/80, 10/81, 26/81, 1/83, 3/85), i ricorrenti chiedevano l'annullamento previa sospensione dell'atto impugnato: la deliberazione di Giunta n. 3260 del 23 agosto 1993, avente a oggetto l'applicazione dei criteri interpretativi per il reinquadramento dei dipendenti regionali alla luce della legge n. 16 del 1993.

 

2. Con tre distinte ordinanze, in data 1 febbraio 1994, il TAR per il Molise sospendeva < in via provvisoria e con riserva, fino all'esito del giudizio di costituzionalità>, l'atto impugnato, sollevando nel contempo, con riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 104, 108 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della citata legge regionale n. 16.

 

La legge n. 5 del 1989 - osserva il giudice a quo - si occuperebbe del reinquadramento di tutto il personale dell'amministrazione regionale, prevedendo all'art. 2, per l'anzianità di servizio, una valutazione massima di 48 punti e attribuendo, in ragione di ogni trimestre di servizio, un punteggio di 1,50 per non più di 8 anni complessivi (art. 3, commi 1 e 2). Per l'inquadramento ai livelli VII e VIII, la valutazione del servizio prestato nella carriera di concetto si ridurrebbe, tuttavia, al 75 per cento (art. 3, comma 5).

 

Dell'insieme normativo si sono fornite, nel tempo, due "letture": una, meno favorevole ai dipendenti, che precluderebbe alla generalità del personale il tetto di 48 punti, lasciando in astratto operare la riduzione del 75 per cento sul massimale degli otto anni di anzianità; l'altra, inizialmente adottata dalla Regione (e avallata da alcune decisioni del Tribunale amministrativo), che sarebbe più favorevole ai ricorrenti, consentendo di abbattere l'anzianità, determinata nel suo complesso, anche eventualmente superiore agli otto anni. Soltanto in questa seconda ipotesi, il dipendente avrebbe potuto conseguire il massimo di 48 punti. La legge n. 16, approvata a distanza di quattro anni dalla legge n. 5, avrebbe optato per l'interpretazione riduttiva, stabilendo che il periodo massimo < deve essere inteso quale ammontare massimo del servizio>, di cui al comma 1 dell'art.3 della citata legge n. 5 del 1989.

 

Di conseguenza, < per calcolare il punteggio di anzianità, in primo luogo vanno moltiplicati punti 1,5O per un massimo di 32 trimestri e sul punteggio risultante, non superiore nel massimo di 48 punti, vanno applicate le riduzioni, di cui ai citati commi 4 e 5> dell'art. 3 della legge regionale n. 5.

 

Così redatta, la norma sarebbe in contrasto con la Costituzioneperchè:

 

a) inciderebbe sulle posizioni di quanti, in difetto di essa, avrebbero conseguito qualifica dirigenziale per i posti in organico sulla base del precedente orientamento della Giunta regionale, con vanificazione degli esiti giurisdizionali e compromissione dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura (artt. 24, 113, 101, 104 e 108 della Costituzione);

 

b) costituirebbe eccesso di potere legislativo, trattandosi di un intervento modificativo e non interpretativo, con effetti retroattivi, della normativa preesistente (art. 3 della Costituzione);

 

c) integrerebbe una lesione del principio del buon andamento, con pregiudizio delle aspettative dei dipendenti regionali formatesi sulla base dei precedenti atti della Regione (art.97 della Costituzione).

 

3. Si sono costituiti i ricorrenti, ricordando preliminarmente che la legge della Regione Molise n. 5 del 1989 è stata dichiarata conforme a Costituzione da questa Corte con la sentenza n. 56 dello stesso anno e - in aggiunta ai parametri dell'ordinanza di rimessione - eccependo la illegittimità della disposizione impugnata anche con riferimento all'art. 117: essa, infatti, sarebbe stata adottata in violazione dei limiti connessi alla potestà legislativa delle Regioni, che sottendono il rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico statale, tra cui quello di irretroattività delle leggi posto dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale.

 

In adesione alle argomentazioni svolte dal Tribunale rimettente, essi hanno osservato, altresì, che la disposizione impugnata:

 

- discriminerebbe, senza giustificazione, la loro posizione rispetto a quella di tutti gli altri dipendenti che hanno già potuto beneficiare della normativa sul reinquadramento, grazie alla precedente interpretazione della Regione;

 

- violerebbe gli artt. 24 e 113 della Costituzione, giacchè - presentandosi come legislativo - priverebbe i ricorrenti del potere d'impugnativa d'un provvedimento amministrativo;

 

- violerebbe, infine, l'art. 97 della Costituzione, privilegiando il procedimento concorsuale, ben più oneroso, in luogo del reinquadramento degli interessati già in servizio presso la Regione.

 

4. Si è costituita la Regione Molise, chiarendo che la nuova legge regionale mirava a impedire l'accesso indiscriminato alla dirigenza. L'ordinamento regionale si articolava infatti, fino al 1985, in otto livelli funzionali, l'ultimo dei quali dirigenziale (art. 2 della legge regionale Molise 8 maggio 1980, n. 12); e soltanto con la legge regionale 29 aprile 1985, n. 13 (Stato giuridico e trattamento economico del personale regionale - biennio 1983- 84) questo schema è stato modificato attraverso l'introduzione di due nuove qualifiche dirigenziali a carattere apicale (art. 14). Una disposizione transitoria (art. 33) consente la trasposizione dei vecchi livelli nel nuovo ordinamento a nove qualifiche, stabilendo che al V livello dell'ordinamento precedente corrisponda il VI di quello nuovo e che il personale inquadrato nell'VIII sia direttamente assimilabile al I livello dirigenziale (art. 35).

 

Orbene, la legge regionale n. 5 del 1989 era stata approvata per reinquadrare nei ruoli regionali - questo il suo scopo precipuo - il personale già inquadrato che non aveva potuto fruire di alcuni titoli posseduti in data anteriore al 31 dicembre 1981. Titoli che vennero, all'art. 2, così individuati: anzianità di servizio, per un massimo di 48 punti; titoli di studio, per un massimo di 45 punti; concorsi vinti (o per i quali fosse stata conseguita l'idoneità), per un massimo di 10 punti; titoli di specializzazione, per un massimo di 10 punti.

 

L'art. 7 di tale legge statuiva che - ove il dipendente raggiungesse un punteggio di almeno 78 punti - sarebbe stato inquadrato nell'VIII livello funzionale previsto dalla legge regionale 8 maggio 1980, n. 12, con un salto massimo di 2 livelli e l'interdizione della carriera direttiva ai dipendenti che non fossero in possesso del diploma d'istruzione media superiore. I limiti alla valutazione dell'anzianità di servizio - oggetto della interpretazione autentica resa con la legge regionale n. 16 del 1993 - si possono a questo punto comprendere pienamente. Essi servivano, infatti, a eliminare effetti distorsivi o, almeno, a temperare l'estrema facilità con cui un dipendente regionale poteva fruire del doppio passaggio dal VI all'VIII livello funzionale (di cui alla già citata legge n. 12 del 1980) e, successivamente, poteva essere inquadrato, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 13 del 1985, nella prima qualifica dirigenziale, purchè in possesso del diploma della scuola superiore, e di otto anni di anzianità. La restrizione introdotta dall'art. 3 della legge n. 5 del 1989 e dall'art. 1 della legge impugnata hanno per messo - conclude la Regione - di fare giustizia d'una anomala prassi amministrativa, che assicurava l'accesso alla prima qualifica dirigenziale persino a coloro i quali cumulavano un rilevante punteggio di anzianità con il semplice possesso del titolo di licenza elementare, in quanto equiparato a quello di scuola media dell'obbligo.

 

La norma impugnata, dunque, ha contribuito a ridimensionare il peso della voce < anzianità di servizio> a vantaggio della ponderazione di tutti gli altri elementi utili ai fini del reinquadramento e, in ispecie, i titoli di studio, i concorsi vinti e le specializzazioni.

 

Considerato in diritto

 

Viene all'esame della Corte l'art. 1 della legge regionale del Molise 7 luglio 1993, n. 16, approvato per fornire un'interpretazione autentica dell'art. 3 della legge regionale n. 5 del 1989 (riguardante il reinquadramento di tutto il personale dell'amministrazione regionale), nel senso che:

 

a) l'anzianità di servizio deve essere valutata per un massimo di 48 punti;

 

b) detto massimale deve essere valutato al 75 per cento (e, dunque, fino a un massimo di punti 36) per il personale che fa domanda di inquadramento ai livelli dirigenziali.

 

Il giudice a quo ipotizza un contrasto con la Costituzione, perchè l'interpretazione autentica:

 

a) mirerebbe a incidere sulle posizioni di coloro che - stante il precedente orientamento della Giunta regionale - avrebbero conseguito qualifica dirigenziale per i posti in organico, con vanificazione di alcuni esiti giurisdizionali e compromissione dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura (violazione degli artt. 24, 113, 101, 104 e 108 della Costituzione);

 

b) sarebbe frutto dell'eccesso di potere legislativo, trattandosi di un intervento modificativo e non interpretativo della normativa preesistente, con chiari effetti retroattivi (violazione dell'art. 3 della Costituzione);

 

c) sarebbe lesivo del principio del buon andamento, con pregiudizio delle aspettative dei dipendenti regionali formatesi sulla base dei precedenti atti della Regione (violazione dell'art. 97 della Costituzione).

 

2. La legge n. 5 del 1989 della Regione Molise aveva, invero, formato oggetto del sindacato di questa Corte che con la sentenza n. 56 del 1989 aveva respinto le doglianze contenute nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri e affermato la compatibilità di essa con i valori costituzionali. E cogliendone la ragione ispiratrice - volta < ad eliminare quelle sperequazioni verificatesi in dipendenza del fatto che il personale comandato o comunque transitato nella Regione in epoche diverse era stato inquadrato con normative e criteri tra loro differenti che avevano favorito alcuni rispetto ad altri> - aveva dichiarato infondate le censure d'incostituzionalità sollevate in considerazione del carattere relativo del principio di intangibilità dell'assetto delle carriere dei pubblici impiegati>, derogabile quando vi sia l'< esigenza di assicurare l'eguaglianza a parità di situazioni>.

 

3. L'intento riequilibratore, rinvenuto dalla Corte quale ratio decidendi della pronuncia, non deve peraltro essere frustrato da prassi applicative e linee interpretative tendenti a consentire ogni sorta di possibilità di carriera, fino a vere e proprie forme di abuso della normativa di favore. É ciò che, nella sostanza, lamenta la difesa della Regione Molise, documentando le tante, e anomale, possibilità di accesso alla dirigenza regionale dovute a un'interpretazione dilatata delle disposizioni della legge concernenti i titoli valutabili (in particolare quello dell'anzianità: art. 3 della legge n. 5 del 1989).

 

Premesso che fino al 1985 l'ordinamento regionale si articolava in otto livelli funzionali, l'ultimo dei quali era quello dirigenziale (art. 2 della legge regionale Molise 8 maggio 1980, n. 12), è soltanto con l'art. 14 della legge regionale 29 aprile 1985, n. 13, che vengono introdotte due nuove qualifiche dirigenziali a carattere apicale. Orbene, una disposizione transitoria, contenuta nell'art. 33, ha consentito la trasposizione dei vecchi livelli nel nuovo ordinamento a nove qualifiche, stabilendo che al V livello dell'ordinamento precedente corrispondesse il VI di quello nuovo e che il personale inquadrato nell'VIII fosse direttamente assimilabile al I livello dirigenziale (art. 35).

 

Ne è conseguito che l'interpretazione lata del requisito dell'anzianità abbia reso oltremodo facile l'accesso alla dirigenza amministrativa regionale, anche in difetto del diploma di laurea. E tanto perchè l'art. 7 della legge n. 5 del 1989 ha statuito che il dipendente - ove avesse raggiunto almeno 78 punti - sarebbe stato inquadrato nell'VIII livello funzionale previsto dalla legge regionale 8 maggio 1980, n.12, trasponibile nel primo dei due nuovi livelli dirigenziali.

 

Il limite del salto di due livelli e dell'interdizione alla carriera direttiva, per i dipendenti che non fossero in possesso del diploma d'istruzione media superiore, non bastavano a garantire l'accesso alle migliori professionalità nella dirigenza. Di qui, la necessità di un'interpretazione autentica ovvero - secondo il giudice a quo e i ricorrenti - d'una innovazione legislativa a carattere retroattivo che limitasse, a non più di 32 punti, il peso dell'anzianità utilizzabile per la dirigenza.

 

4. La norma impugnata ha certamente contribuito a ridimensionare il peso della voce < anzianità di servizio> a vantaggio d'una più corretta ponderazione di tutti gli altri elementi utili ai fini del reinquadramento dei dipendenti regionali (in ispecie, i titoli di studio, i concorsi vinti e le specializzazioni). Tale risultato, riconducibile che sia ad un intervento innovativo, con effetto retroattivo (in considerazione delle più larghe prassi applicative seguite dalla Regione e da alcune pronunce dello stesso giudice rimettente), piuttosto che ad una norma meramente interpretativa, è di certo sorretto da idoneo e razionale fondamento (v. sentt. nn. 385, 153 e 6 del 1994), rispondente ai valori costituzionali e al canone della ragionevolezza, oltre che alle indicazioni della legislazione statale vigente (v. l'art. 28 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29).

 

L'aver più o me no tardivamente ripristinato - come si denuncia dai ricorrenti - le regole circa l'accesso alla dirigenza delle migliori professionalità reperibili all'interno dell'amministrazione, e nel loro difetto all'esterno di essa, costituisce intervento di razionalizzazione della legislazione in funzione del principio costituzionale di buon andamento. Nè risulta alcuna lesione della funzione giurisdizionale per l'esistenza di alcune pronunce contenenti lo stesso principio interpretativo smentito dalla legge impugnata, avendo la Corte di recente affermato che una tale tutela non può giungere fino al punto di far prevalere in assoluto il < giudicato> - che peraltro qui difetta - sugli equilibri cui conduce il canone del bilanciamento dei valori (sent. n. 385 del 1994).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge regionale del Molise 7 luglio 1993, n. 16 [Interpretazione autentica dell'art. 3 della legge regionale 10 maggio (recte: marzo) 1989, n. 5], sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 101, 104, 108 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Molise con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30/12/94.