Sentenza n. 455 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 455

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 29 novembre 1993 dal Pretore di Padova nel procedimento penale a carico di Jovanovic Valjko ed altri, iscritta al n. 124 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1994;

2) ordinanza emessa il 21 gennaio 1994 dal Pretore di Modica, sezione distaccata di Ispica, nel procedimento penale a carico di Moltisanti Corrado, iscritta al n. 203 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 ottobre 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

1.- Investito del giudizio dibattimentale nei confronti di un imputato di ricettazione, il Pretore di Padova, rilevato trattarsi dello stesso procedimento nell'ambito del quale, all'esito di un precedente dibattimento, esso magistrato aveva ritenuto la diversità del fatto rispetto a quello contestato (furto aggravato), e aveva pertanto, in applicazione dell'art. 521 comma 2 cod. proc. pen., ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2 cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice che ha pronunciato l'ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521 comma 2 c.p.p. a partecipare al giudizio" (r.o. n. 124 del 1994).

L'organo remittente, precisato che l'art. 34 cod. proc. pen. non contempla tale ipotesi tra le cause di incompatibilità del giudice, ed escluso che ad essa possa adattarsi la previsione dell'art. 37 comma 1 lettera b) del medesimo codice, concepita quale caso di ricusazione (l'avere il giudice manifestato indebitamente il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione), osserva che non può nemmeno ritenersi appagante, nella predetta situazione processuale, il ricorso all'istituto della astensione, attraverso l'evocazione del motivo delle "gravi ragioni di convenienza" di cui alla lettera h) del comma 1 dell'art. 36, non potendo essere rimessa "alla discrezionalità del singolo magistrato la autovalutazione della propria capacità professionale di non lasciarsi influenzare da giudizi già espressi ritualmente". É invece il legislatore, prosegue il giudice a quo, a dover stabilire, ai fini della salvaguardia del principio del giudice naturale, se in un caso come quello in esame vi sia o meno incompatibilità a giudicare.

Al riguardo, osserva il Pretore, la mancata inclusione della predetta ipotesi tra i casi di incompatibilità individuati dall'art. 34, appare contrastante sia con il principio di parità di trattamento normativo di situazioni simili sia con il diritto di difesa.

E infatti, tenuto anche conto dell'espansione che ha caratterizzato l'evoluzione dell'istituto a seguito di numerose sentenze della Corte costituzionale, deve ritenersi in primo luogo, secondo il remittente, che l'incompatibilità debba essere sancita in ogni caso in cui l'attività del giudice si configuri come oggettivamente sostitutiva del potere-dovere di iniziativa del pubblico ministero, il che si verifica nel caso in esame, in quanto, pronunciando l'ordinanza ex art. 521 comma 2 cod. proc. pen., il giudice nella sostanza esercita i poteri spettanti in via ordinaria al pubblico ministero in base agli artt.516-518 cod. proc. pen..

Inoltre, la carente previsione normativa sarebbe in contrasto con il principio per il quale l'incompatibilità è determinata da ogni "valutazione di merito circa l'idoneità delle risultanze probatorie (...) a fondare un giudizio di responsabilità degli imputati", come più volte affermato dalla Corte costituzionale, e ciò in quanto nel caso di specie si sarebbe "in presenza di una previa valutazione di responsabilità" compiuta dallo stesso giudice del dibattimento.

2.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Secondo l'Avvocatura generale, le argomentazioni del remittente si fondano su un'erronea applicazione dell'art. 521 cod. proc. pen.: in realtà, come affermato dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione, il "fatto diverso" che determina l'applicazione del comma 2 del citato articolo va inteso come "episodio della vita umana", di tal che la violazione del criterio di correlazione tra la sentenza e la contestazione può verificarsi soltanto quando si operi una "trasformazione o sostituzione delle condizioni che rappresentano gli elementi costitutivi dell'addebito (...) in modo tale da determinare incertezza sull'oggetto della imputazione" e "una sostanziale violazione del diritto di difesa".

Nella specie, invece, osserva ancora la difesa del Governo, non può dirsi essersi verificata una modificazione del fatto, essendo la condotta della ricettazione compresa in quella più ampia del furto, come specificamente ritenuto più volte dalla medesima Corte di cassazione, sicchè il Pretore avrebbe ben potuto e dovuto nel primo dibattimento riqualificare correttamente il fatto, in applicazione dell'art. 521 comma 1, pronunciando sentenza; e, non essendo ciò avvenuto, a maggior ragione doveva egli nel nuovo dibattimento pronunciare sentenza, non essendo concepibile ravvisare una situazione di incompatibilità nel secondo dibattimento in relazione all'esercizio di un potere (quello di pronunciare sentenza) che non determinava nessuna incompatibilità nel primo.

3.- Dopo aver emesso, quale giudice per le indagini preliminari, provvedimento di riapertura delle indagini ai sensi dell'art. 414 cod. proc. pen. relativamente all'ipotizzato reato di lesioni colpose da infortunio sul lavoro con esiti di invalidità permanente, ed essendo successivamente stato investito del giudizio dibattimentale in ordine al predetto reato, il Pretore di Modica, sezione di staccata di Ispica, ha sollevato, in riferimento agli artt.76, 77, 25, 101 e 3 della Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 34 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia in precedenza emesso il decreto di riapertura delle indagini di cui all'art. 414 cod. proc. pen. (r.o. n. 203 del 1994).

Espone l'organo remittente che all'esito di indagini preliminari, il pubblico ministero aveva in un primo momento richiesto l'archiviazione del procedimento, ritenendo che i reati ipotizzati (quello di lesioni colpose ed altre connesse fattispecie contravvenzionali) fossero estinti in virtù dell'amnistia concessa con il d.P.R. n. 75 del 1990. Dopo il provvedimento di archiviazione, a seguito di istanza dell'I.N.A.I.L., il pubblico ministero richiedeva, ed esso giudice autorizzava, la riapertura delle indagini, dal cui espletamento si evidenziava che l'infortunato aveva riportato lesioni personali guarite in sei mesi con esiti di invalidità permanente, ipotesi criminosa esclusa dall'amnistia come previsto dall'art. 3 del citato decreto presidenziale.

Essendo stata successivamente esercitata l'azione penale mediante emissione di decreto di citazione a giudizio, il giudice a quo, chiamato alla funzione dibattimentale, premesso che la fattispecie non è contemplata tra le cause di incompatibilità di cui all'art. 34 cod. proc. pen., esprime l'avviso che tale omessa previsione contrasti: a) con gli artt. 76 e 77 Cost., in quanto, in violazione della direttiva n.81 (recte, n. 67) della legge-delega, determina una commistione tra funzioni requirenti e giudicanti; b) con gli artt. 25 e 101 Cost., per il nocumento ai princìpi di imparzialità e terzietà del giudice, avendo questo già preso cognizione del fascicolo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari; c) con l'art. 3 Cost., per la disparità di trattamento rispetto ad analoghe fattispecie, specie a seguito "dell'allargamento delle ipotesi di incompatibilità" derivante da numerose sentenze della Corte costituzionale.

Sottolinea il remittente che, con il decreto emesso ai sensi dell'art.414 cod. proc. pen., il giudice per le indagini preliminari non si limita a effettuare "una mera valutazione formale degli atti, ma opera un vero e proprio esame di merito" (nel caso specifico, essendosi apprezzata la potenzialità delle lesioni a produrre le conseguenze invalidanti ostative all'applicazione dell'amnistia).

In definitiva, assume il Pretore, la norma sottoposta a censura consente al giudice del dibattimento non solo di conoscere preventivamente, e fin dalla fase delle indagini preliminari, tutti gli atti compiuti ai fini dell'accertamento del reato, ma anche di dare impulso al procedimento di cui egli stesso sarà investito in sede di giudizio.

4.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Osserva l'Avvocatura che, come desumibile proprio dalla giurisprudenza costituzionale in materia, il mero dato della previa conoscenza degli atti del fascicolo del pubblico ministero da parte del giudice, rimarcato dal remittente, non è ragione sufficiente a radicare l'incompatibilità al giudizio, essendo a tal fine necessario che il giudice abbia effettuato una valutazione sul merito della res judicanda.

Ora, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, un tale presupposto, secondo la di fesa del Governo, non ricorre nella specie, in quanto l'autorizzazione del giudice per le indagini preliminari alla riapertura delle indagini si sostanzia in una valutazione meramente processuale, avente ad oggetto esclusivamente la sussistenza dell'esigenza di nuove investigazioni, come si ricava dalla lettera dell'art. 414 del codice.

Considerato in diritto

1.- Entrambe le ordinanze impugnano l'art. 34 del codice di procedura penale in relazione alla mancata previsione di ulteriori casi di incompatibilità rispetto a quanto in detta norma stabilito. I relativi giudizi vanno pertanto riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2.- Il Pretore di Padova ritiene che l'art. 34 comma 2 cod. proc. pen., "nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice che ha pronunciato l'ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521 comma 2 c.p.p. a partecipare al giudizio", sia in contrasto con il "principio di parità di trattamento normativo di situazioni simili, in assenza di ragionevoli motivi che giustifichino la differenza di statuizioni" e con il diritto di difesa.

3.- La questione è fondata.

Discende dalla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui deve affermarsi l'incompatibilità alla funzione di giudizio in capo al giudice che abbia, in uno stadio anteriore del procedimento, espresso una valutazione nel merito della stessa materia processuale riguardante il medesimo incolpato; e ciò sia quando questo apprezzamento sia stato compiuto nel momento conclusivo delle indagini preliminari (sentenze nn.496 del 1990; 401 e 502 del 1991; 453 del 1994) sia quando esso sia stato compiuto in un precedente giudizio di cognizione, non potutosi definire con sentenza (sentenze nn. 124, 186, 399 del 1992; 439 del 1993).

4.- Nel caso in esame, il precedente dibattimento, riguardante una imputazione di furto, non si era potuto definire con sentenza solo per la ritenuta diversità del fatto (ricettazione) apprezzata dal giudice al termine dell'istruzione dibattimentale, valendo la regola della correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza espressa dall'art. 521 cod. proc. pen..

Non può esservi alcun dubbio, a prescindere dalla costruzione teorica che si voglia dare all'istituto in esame, che il giudice, quando accerta all'esito del dibattimento che "il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio", abbia compiuto una penetrante delibazione del merito della regiudicanda, non dissimile da quella che, in mancanza di una valutazione della diversità del fatto, conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito.

Un dibattimento "bis" riguardante il medesimo fatto storico e il medesimo imputato non può, pertanto, non essere attribuito alla cognizione di altro giudice, trattandosi della stessa ratio di tutela della imparzialità e serenità di giudizio che informa la regola posta dall'art. 34 comma 1 cod. proc. pen., affermativa della incompatibilità del giudice che abbia pronunciato sentenza in un precedente grado di giudizio relativamente al medesimo procedimento.

5.- Deve poi ritenersi non pertinente la considerazione, svolta dall'Avvocatura generale dello Stato, per la quale, a seguire il costante orientamento della Corte di cassazione, nella fattispecie processuale in esame, trattandosi di modificazione dell'imputazione da furto in ricettazione, si sarebbe concretata una valutazione non della diversità del fatto ma della diversa definizione giuridica ad esso riconducibile, sicchè, essendo rispettato il canone della corrispondenza tra l'imputazione e la decisione, il giudice avrebbe dovuto pronunciare sentenza, dando semplicemente atto della modificazione della rubrica (art. 521 comma 1 cod. proc. pen.).

Ai fini del presente giudizio di costituzionalità, ciò che conta è, infatti, che il giudice chiamato al nuovo dibattimento sia lo stesso che abbia già presieduto al primo giudizio, ditalchè, a prescindere dall'eventuale errore di diritto dallo stesso commesso nell'applicare la regola del comma 2 dell'art. 521 anzichè quella del comma 1 del medesimo articolo, egli si è comunque formato un convincimento sul merito dell'azione penale, evenienza idonea, per quello che si è detto, a configurare una sua incompatibilità a nuovamente giudicare sul medesimo fatto.

6.- Poichè la norma impugnata non contempla fra i casi di incompatibilità quello qui preso in esame, ed essendo applicabile alla fattispecie, come detto, la medesima ratio che ha condotto questa Corte all'accoglimento di precedenti questioni di costituzionalità concernenti l'istituto, consegue che tale mancata previsione determina una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni tra loro assimilabili, dovendosi ritenere in ciò assorbito l'ulteriore profilo di costituzionalità evocato dal giudice a quo.

L'art. 34 comma 2 cod. proc. pen. va pertanto dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521 comma 2 cod. proc. pen..

7.- Il medesimo art. 34, nella sua interezza, è stato poi sottoposto a scrutinio di costituzionalità dal Pretore di Modica, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia in precedenza emesso il decreto di riapertura delle indagini di cui all'art.414 cod. proc. pen..

Ad avviso del giudice a quo tale mancata previsione contrasterebbe: con gli artt. 76 e 77 Cost., in quanto, in violazione della direttiva n. 81 (recte, n. 67) della legge- delega, si verrebbe a determinare una commistione tra funzioni requirenti e giudicanti; con gli artt. 25 e 101 Cost., per il nocu mento ai princìpi di imparzialità e terzietà del giudice, derivante dal fatto che questo ha già preso cognizione del fascicolo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari; con l'art. 3 Cost., per la disparità di trattamento rispetto ad analoghe fattispecie, specie a seguito "dell'allargamento delle ipotesi di incompatibilità" derivante da numerose sentenze della Corte costituzionale.

8.- La questione è infondata.

L'autorità remittente muove innanzi tutto dall'assunto secondo cui, autorizzando la riapertura delle indagini dopo il decreto di archiviazione, il giudice non si limita ad effettuare "una mera valutazione formale degli atti, ma opera un vero e proprio esame di merito".

Senonchè il "merito" esaminabile dal giudice in sede di decisione sulla richiesta di autorizzazione alla riapertura delle indagini non può che essere confinato nell'ambito delineato dall'art. 414 cod. proc. pen., vale a dire quello dell'effettiva "esigenza di nuove investigazioni", il che è lungi dal corrispondere al "merito" dell'azione penale, che è il solo posto a base delle varie decisioni di questa Corte dalle quali è conseguito un ampliamento delle ipotesi di incompatibilità ex art. 34.

Autorizzando la riapertura delle indagini, sulla base del presupposto sopra precisato, il giudice, come nel caso dell'invito ad espletare ulteriori indagini, già preso in esame da questa Corte sempre in riferimento alla tematica della incompatibilità (ordinanza n. 157 del 1993), si limita ad adottare una decisione di natura meramente processuale, avente l'effetto di legittimare il pubblico ministero ad una nuova fase investigativa, alla cui conclusione può seguire sia l'esercizio dell'azione penale sia una nuova richiesta di archiviazione.

9.- Nè può avere rilievo la circostanza che il giudice per le indagini preliminari chiamato poi alla funzione dibattimentale abbia preso già cognizione degli atti del procedimento, in quanto, come affermato dalla Corte sin dalla sentenza n. 502 del 1991, questa conoscenza, qualora non sia accompagnata da una valutazione contenutistica dei risultati delle indagini, non implica il sostanziale "pregiudizio" su cui si fonda l'istituto della incompatibilità.

10.- Le considerazioni sopra svolte conducono anche ad escludere la fondatezza dell'ulteriore rilievo prospettato dal giudice remittente, secondo cui, autorizzando la riapertura delle indagini, il giudice per le indagini preliminari svolgerebbe nella sostanza una funzione surrogatoria del pubblico ministero. Risulta infatti evidente come il provvedi mento autorizzatorio di cui si discute abbia contenuto neutro rispetto all'esercizio dell'azione penale, che, come si è accennato, è questione che può porsi solo in relazione alle determinazioni che il pubblico ministero dovrà assumere al compimento della nuova attività di indagine.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34 comma 2 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che abbia, all'esito di precedente dibattimento, riguardante il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521 comma 2 del codice di procedura penale;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 76, 77, 25, 101 e 3 della Costituzione, dal Pretore di Modica, sezione distaccata di Ispica, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/12/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/12/94.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I