Ordinanza n. 450 del 1994

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ORDINANZA N. 450

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 24 novembre 1993 dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, sul ricorso proposto da Cozzupoli Pietro contro la u.s.l. n. 11 della Calabria ed altri, iscritta al n.434 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 23 novembre 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.

 

Ritenuto che il TAR della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha sollevato - con ordinanza del 24 novembre 1993 - questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, nella parte in cui stabilisce, per i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale, l'incompatibilità col rapporto d'impiego dell'esercizio dell'attività libero-professionale presso strutture private convenzionate con il Servizio medesimo;

 

che, ad avviso del giudice a quo, premesso che la ratio della norma sembra quella di evitare l'elusione del principio di unicità del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale (principio posto nel primo periodo della norma stessa), non appare giustificata la disparità di trattamento che si verifica tra i medici dipendenti del Servizio sanitario "nelle diverse situazioni, rispettivamente, di esistenza o di immediato approntamento della struttura atta a consentire loro l'attività libero professionale inframuraria e/o di esistenza, nell'ambito territoriale della u.s.l. di appartenenza, di strutture private non convenzionate, e di situazioni di assoluta o protratta inesistenza di siffatte condizioni, sia per omissioni e ritardi dipendenti dalle uu.ss.ll., sia per generalizzato convenzionamento delle strutture sanitarie private del territorio";

 

che, sempre ad avviso del remittente, per sopperire a tale disparità di trattamento occorrerebbe "consentire che, accertata la carenza nel territorio della u.s.l. di strutture sanitarie private non convenzionate e nelle more dell'approntamento delle strutture interne per l'esercizio dell'attività libero professionale inframuraria, il medico dipendente pubblico possa essere autorizzato - esercitando eventualmente i dovuti controlli e prendendo gli accorgimenti idonei al fine di evitare, per quanto possibile, l'eventualità di un convenzionamento o di un rapporto di dipendenza tra il medico e la struttura privata convenzionata con il Servizio sanitario nazionale - a svolgere la libera professione anche presso strutture private convenzionate";

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione.

 

Considerato che questa Corte ha già avuto modo di affermare (sent. n. 457 del 1993, ord. n. 214 del 1994) che la norma impugnata, data la peculiarità della natura e delle funzioni delle istituzioni sanitarie private convenzionate, costituisce frutto di una non irragionevole valutazione discrezionale di politica sanitaria, ispirata dall'intento di assicurare la massima efficienza e funzionalità operativa all'organizzazione sanitaria pubblica, in attuazione del principio sancito dall'art. 32 della Costituzione;

 

che, ciò posto, appare evidente come il giudice a quo, nel lamentare la diversità di trattamento tra medici a seconda della esistenza o meno, nell'ambito territoriale della u.s.l. di appartenenza, di strutture private non convenzionate, non chè dell'esistenza o meno, all'interno della struttura pubblica, di spazi adeguati per l'esercizio della libera professione intramuraria, prospetta disparità di mero fatto, come tali ininfluenti ai fini del sindacato di costituzionalità, e la cui eliminazione, d'altronde, oltre a richiedere una disciplina che investe la discrezionalità del legislatore (come chiaramente dimostra il complesso petitum dell'ordinanza di rimessione), finirebbe inevitabilmente col vanificare le anzidette finalità della norma impugnata;

 

che, in conclusione, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal TAR della Calabria - sezione staccata di Reggio Calabria - con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Mauro FERRI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 23/12/94.