Ordinanza n. 418 del 1994

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ORDINANZA N. 418

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE giudice

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 245 e 250 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promossi con ordinanze emesse il 24 gennaio (n. 2 ordinanze) ed il 9 febbraio 1994 dal Tribunale di Venezia nei procedimenti di riesame nei confronti di Moretti Gigino, Mastini Paride e Ceccagnoli Italo, iscritte ai nn.257, 258 e 312 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 23, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione di Moretti Gigino nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 novembre 1994 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto che con tre ordinanze di identico tenore, pronunciate nel corso dei procedimenti per il riesame dei mandati di cattura emessi dal giudice istruttore nei confronti di Mastini Paride, Moretti Gigino e Ceccagnoli Italo, il Tribunale di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 250 e 245 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), nella parte in cui non prevedono l'applicabilità dell'art.309 codice procedura penale, il quale, nei procedimenti che proseguono con il rito disciplinato dal codice abrogato, consente (ai sensi dell'art. 127 codice procedura penale) di dare al difensore dell'imputato avviso sia della fissazione dell'udienza in camera di consiglio, sia del deposito degli atti in cancelleria;

che i procedimenti in questione proseguono, invece, con le norme del codice abrogato, ai sensi dell'art. 242, comma 1, lett. c), delle disposizioni transitorie (norme che si applicano anche ai procedimenti incidentali relativi ai provvedimenti sulla libertà personale adottati in epoca successiva all'entrata in vigore del nuovo codice);

che gli artt. 245 e 250 delle disposizioni transitorie, di cui al decreto legislativo n. 271 del 1989, non comprendono il già citato art. 309 tra le norme di immediata vigenza per i procedimenti che proseguono con il vecchio rito;

che, secondo il giudice a quo, la disciplina applicabile al caso di specie, costituita dagli artt. 263 bis e 263 ter codice procedura penale abrogato, violerebbe il diritto alla difesa, in quanto prevede la partecipazione del difensore all'udienza e non il suo accesso agli atti processuali, la cui conoscibilità è vietata (onde la menomazione del diritto di difendersi sia attraverso la confutazione di ciò che da essi risulta, sia attraverso la prova di ciò che non vi risulta);

che, inoltre, essa farebbe sì che due fatti identici, commessi nello stesso periodo, a seconda che siano regolati dalla vecchia o dalla nuova disciplina dei procedimenti di riesame, sarebbero irragionevolmente trattati in modo difformi, tanto più che l'inserimento di una misura cautelare in un procedimento regolato dalle norme del vecchio rito potrebbe dipendere da dati occasionali, quali le ragioni di connessione e le proroghe legislative, l'ultima delle quali in scadenza il 31 dicembre 1994;

che altra ipotesi di illegittimità costituzionale è possibile cogliere anche con riferimento all'art. 76 della Costituzione;

che nell'emanare le disposizioni transitorie il legislatore delegato ha previsto la sopravvivenza degli artt.263 bis e 263 ter, i quali sarebbero incompatibili con i canoni regolatori del nuovo codice contenuti, nella materia de qua, nell'art.309 codice procedura penale e riassumibili nel principio del contraddittorio, da farsi ugualmente valere nel procedimento di riesame;

che la questione sarebbe rilevante, in quanto il Tribunale dovrebbe, allo stato, decidere in camera di consiglio, senza dare avviso al difensore d'ufficio (nei casi in cui manchi quello di fiducia) e senza che siano stati messi a disposizione della difesa gli atti depositati in cancelleria, mentre l'accoglimento permetterebbe di fissare la nuova udienza camerale per l'esame dei ricorsi, nel merito, con le forme dell'art. 309;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità e, in linea subordinata, per l'infondatezza della questione;

Considerato che la questione sottoposta all'esame della Corte è identica a quella già decisa con la sentenza n. 373 del 1994, ed è priva di nuove e ulteriori argomentazioni a sostegno del suo accoglimento;

che, pertanto, previa riunione dei giudizi, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 250 e 245 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), sollevata, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 07/12/94.