Sentenza n. 413 del 1994

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SENTENZA N. 413

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 156, primo e secondo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) promossi con n. 2 ordinanze emesse il 24 gennaio ed il 16 marzo 1994 dalla Corte di cassazione sui ricorsi proposti da Borghi Luciano e Della Noce Luciano, iscritte ai nn.187 e 295 del registro ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16 e 22, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 1994 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con due ordinanze, di contenuto pressochè identico, pronunciate il 24 gennaio 1994 ed il 16 marzo 1994, la V Sezione penale della Corte di cassazione, chiamata a decidere sui ricorsi proposti da persone offese dal reato (una di queste, pure querelante) avverso decreti di archiviazione adottati dal Pretore senza la previa comunicazione alle dette persone, nonostante queste avessero tempestivamente avanzato istanza di essere avvisate della eventuale richiesta del pubblico ministero di archiviazione della notitia criminis (nonchè - così una soltanto delle due ordinanze - nei confronti del provvedimento con il quale lo stesso Pretore aveva disposto "la restituzione degli atti al Pubblico ministero per un'eventuale richiesta di riapertura delle indagini e la notifica del provvedimento al querelante per l'eventuale impugnazione"), ha sollevato, di ufficio, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità sia dell'art. 156, primo comma, delle norme di attuazione del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede la nullità del decreto di archiviazione adottato senza previa comunicazione della domanda del pubblico ministero alla persona offesa che ne abbia fatto richiesta o, comunque, prima che sia decorso il termine per l'opposizione", sia del secondo comma dello stesso art. 156, "nella parte in cui non prevede che tale nullità sia denunciabile con ricorso per cassazione".

 

2. Premette il giudice a quo che nel procedi mento davanti al pretore trova sicura applicazione l'art. 126 delle norme di attuazione, in base al quale, nel caso di richiesta della persona offesa di essere informata della richiesta di archiviazione, il pubblico ministero trasmette gli atti al giudice per le indagini preliminari dopo la presentazione dell'opposizione della persona offesa ovvero dopo la scadenza del termine per proporre opposizione.

 

_Peraltro, il provvedimento di archiviazione adottato in violazione di tale precetto non costituisce nè un provvedimento abnorme, suscettibile, quindi, di annullamento pur in mancanza di una espressa previsione legislativa che ne preveda la sindacabilità, rientrando la pronuncia del decreto di archiviazione fra i poteri del giudice; nè un provvedimento affetto da nullità ex art. 178, lettera c, del codice di procedura penale, non essendo la posizione della persona offesa o del querelante tutelata dalla disposizione ora ricordata oltre i limiti derivanti dal precetto che sancisce la nullità della citazione in giudizio.

 

Richiamati i decisa delle sentenze costituzionali n. 94 del 1992 e n. 353 del 1991, rileva la Corte di cassazione che, poichè nel procedimento pretorile il provvedimento di archiviazione è sempre pronunciato de plano, resta impercorribile la possibilità, per un verso, di ritenere nullo il provvedimento di archiviazione e, per un altro verso, di consentirne la denunciabilità con ricorso per cassazione.

 

In conclusione, è assente nel sistema normativo che dà regolamentazione al procedimento pretorile una disposizione che, come quella dell'art. 127, quinto comma, del codice di procedura penale - appositamente richiamato, per il procedimento davanti al tribunale, dall'art.409, sesto comma, dello stesso codice - da un lato, preveda la nullità in conseguenza della violazione del contraddittorio cartolare e, dall'altro lato, contempli la ricorribilità in cassazione del decreto adottato nonostante la detta violazione. Con conseguente violazione del diritto di difesa dell'offeso dal reato, al quale, pure, questa Corte, con la sentenza n. 353 del 1991, ha assegnato valenza costituzionale.

 

3. In nessuno dei due giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, nè si sono costituite le parti private.

 

Considerato in diritto

 

1. Le ordinanze in epigrafe sollevano questioni identiche. I relativi giudizi vanno, quindi, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

 

2. Oggetto comune di censura è l'art. 156 del testo delle norme di attuazione del codice di procedura penale (approvato, insieme al testo delle norme di coordinamento e transitorie, con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), nella parte in cui (primo comma) non prevede la nullità del decreto di archiviazione adottato senza la previa notificazione della richiesta del pubblico ministero alla persona offesa che ne abbia fatto domanda o, comunque, prima che sia decorso il termine per proporre l'opposizione e nella parte in cui (secondo comma) non prevede che tale nullità sia denunciabile con ricorso per cassazione.

 

Sarebbe vulnerato l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, restando preclusa all'offeso dal reato, che si sia tempestivamente attivato al fine di venire a conoscenza dell'eventuale richiesta del pubblico ministero di non promuovere l'azione penale, la possibilità di sottoporre le sue ragioni al giudice attraverso l'opposizione.

 

3. Pure se due sono i precetti sospettati di illegittimità, unica, in effetti, si presenta la questione sottoposta al vaglio della Corte. Da un lato, infatti, si censura il primo comma dell'art.156 delle norme di attuazione perchè non fa derivare dall'inosservanza del dovere di avviso alla persona offesa dal reato la nullità del decreto di archiviazione; dall'altro lato, si fa discendere, quasi a corollario, dalla detta omissione, la corrispondente illegittimità del secondo comma dello stesso art. 156 perchè non prescrive che avverso un provvedimento in tal modo adottato venga attribuito alla stessa persona offesa il diritto di proporre ricorso per cassazione. Il petitum avuto di mira dal giudice a quo si rivela, quindi, decisamente incentrato sulla mancata previsione della ricorribilità per cassazione del decreto di archiviazione, a presidio della persona offesa che sia stata privata del diritto di essere informata della richiesta avanzata dal pubblico ministero; ricorribilità che, peraltro, dovrebbe scaturire dalla dichiarazione d'illegittimità del primo comma dello stesso art. 156, nella parte in cui non prevede la nullità del decreto di archiviazione adottato senza la notificazione del detto avviso. Il che risulta univocamente confermato dagli stessi casi di specie, relativi ad impugnative di decreti di archiviazione pronunciati omettendo di informare la persona offesa che ne aveva fatto richiesta. Di fronte a simili doglianze, la Corte di cassazione ha ritenuto pregiudiziale, ai fini della verifica quanto all'ammissibilità dei ricorsi - che altrimenti avrebbe dovuto, nell'ottica interpretativa seguita, dichiarare inammissibili - porre in discussione la conformità all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, del precetto - collocato nel capo XII delle norme di attuazione, dedicato alle "Disposizioni relative al procedimento davanti al pretore" - che disciplina l'opposizione alla richiesta di archiviazione. E ciò sul presupposto che il sistema, così come strutturato, non è in grado di apprestare alcuna protezione all'offeso che sia stato privato dell'avviso della relativa richiesta, in presenza di un provvedimento di archiviazione pronunciato dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura.

 

4. L'articolato incedere argomentativo delle ordinanze di rimessione muove - con il costante richiamo al ricorso per cassazione, tipico mezzo di tutela apprestato nel sistema dell'archiviazione davanti al tribunale - dalla constatazione che il sistema protettivo dell'offeso dal reato nel procedimento di archiviazione pretorile diverrebbe puramente teorico ove la norma censurata non venisse dichiarata illegittima nelle parti indicate, perchè la persona offesa, non potendo conoscere la richiesta del pubblico ministero, non è posta in condizione di esercitare l'opposizione alla quale è espressamente legittimata proprio in forza dell'art. 156 delle norme di attuazione.

 

Con la conseguenza che il giudice a quo, mentre, per un verso, censura la detta lesione del di ritto di difesa, per un altro verso, non ritenendo assimilabile - almeno sotto questo profilo - l'archiviazione pretorile all'archiviazione nel rito di base, non individua nella disciplina di questa procedura un tertium comparationis, restando attestato all'invocazione, quale norma-parametro, del solo art. 24, secondo comma, della Costituzione. Anzi, come si vedrà dall'analisi del prosieguo della motivazione delle ordinanze, proprio la diversità di struttura tra le due procedure renderebbe incompatibile, nella specifica materia, il regime di garanzia dettato a favore della persona offesa di fronte al decreto di archiviazione pronunciato dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale. Il che appare subito confermato dal fatto che le ordinanze di rimessione non hanno come diretto punto di riferimento le norme codicistiche, essendo chiamati in causa in via immediata soltanto due precetti delle norme di attuazione.

 

Oltre, ovviamente, l'art. 156 - la norma oggetto del giudizio di legittimità - l'art. 126 che, nel disciplinare le modalità dell'avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione, prescrive che nel caso previsto dall'art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale, il pubblico ministero trasmette gli atti al giudice per le indagini preliminari dopo la presentazione dell'opposizione della persona offesa ovvero dopo la scadenza del termine indicato nel terzo comma del medesimo articolo. Una norma che, dettata per il procedimento davanti al tribunale, viene ritenuta dal rimettente estensibile al procedimento pretorile. Cosicchè la questione resta, più esattamente, definita nel sospetto di illegittimità dell'art. 156 delle norme di attuazione, nella parte in cui non prevede il diritto della persona offesa dal reato di ricorrere per cassazione avverso il decreto di archiviazione adottato dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura senza che sia stato osservato il precetto dell'art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale, appositamente richiamato dall'art. 126 delle norme di attuazione.

 

Operando, in tal modo, un'ulteriore, più generale, scelta interpretativa, nel senso, cioè, di considerare, relativamente all'archiviazione nel procedimento davanti al pretore, inoperante - almeno relativa mente al quesito sottoposto all'esame della Corte - l'art. 549 del codice di procedura penale che prescrive l'osservanza per il procedimento pretori le delle norme relative al procedimento davanti al tribunale "in quanto applicabili".

 

5. Pure se, dunque, ad essere direttamente chiamata in causa è la mancata legittimazione a proporre ricorso per cassazione cui la persona offesa dovrebbe accedere dopo la dichiarazione di illegittimità della norma che non prevede come causa di nullità la violazione dell'art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale, il fatto stesso che venga denunciato come contrastante con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, l'art. 156 delle norme di attuazione sta a comprovare come attraverso la duplice dichiarazione d'illegittimità richiesta il rimettente intenda perseguire il solo risultato di consentire l'accesso al giudice, attraverso l'opposizione, della persona offesa nei confronti della quale sia stato omesso l'avviso di cui all'art.408, secondo comma, del codice di procedura penale.

 

6. Le norme denunciate, quindi, pur riferendo si ad un momento successivo (ed eventuale) rispetto a quello formalmente indicato dal giudice a quo con la questione ora sottoposta al vaglio della Corte, vengono perciò a rappresentare, insieme al già ricordato art. 126 delle norme di attuazione, gli unici precetti posti a tutela della persona offesa nel procedimento davanti al pretore. Donde la strumentalità del richiesto diritto di ricorrere per cassazione rispetto a quello che rappresenta il punto di arrivo della proposta questione, da identificare nella possibilità di proporre opposizione anche nel caso in cui il decreto di archiviazione pretorile sia stato adottato omettendo l'avviso di cui all'art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale.

 

Decisiva appare, in proposito, l'argomentazione contenuta nelle ordinanze di rimessione che sembra implicitamente risolversi nell'enunciazione del requisito della rilevanza: non potendo l'archiviazione pronunciata in violazione dei diritti della persona offesa qualificarsi nè provvedimento nullo (e quindi annoverarsi tra i provvedimenti affetti da nullità di ordine generale, l'unica tipologia di vizio in grado di presidiare adeguatamente l'offeso dal reato, salvaguardato dal regime delle nullità di cui all'art. 178, lettera c, del codice di procedura penale, nel solo caso di inosservanza delle disposizioni concernenti la "citazione in giudizio"), nè provvedimento abnorme (tale essendo soltanto il provvedimento - non identificabile con quello emesso in violazione dei diritti della persona offesa - "che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, sta al di fuori delle norme legislative e dell'intero ordinamento processuale"), nè provvedimento inesistente, la sola via per pervenire a rimuovere la violazione del diritto di difesa dell'offeso dal reato in conseguenza della mancata osservanza dell'art.408, secondo comma, del codice di procedura penale, sarebbe appunto quella di applicare la disciplina contemplata per le ipotesi di nullità;

 

così da consentire, attraverso il rimedio richiesto, la demolizione del provvedimento e l'esercizio del diritto di proporre opposizione.

 

Davvero significativa risulta, piuttosto, l'univocità del passaggio dal tipo di patologia, individuato nella nullità del decreto, al tipo di tutela, individuato nel ricorso per cassazione; e ciò nonostante che, proprio in forza della ritenuta "dissociazione" dell'archiviazione pretorile dall'archiviazione nel procedimento davanti al tribunale, gli strumenti diretti - attraverso la caducazione del decreto emesso in violazione dei diritti della persona offesa - ad apprestare un rimedio in grado di consentire l'esercizio della facoltà di proporre opposizione, potrebbero teoricamente profilarsi anche come plurimi. D'altra parte, non trattandosi di sentenza o di provvedimento sulla libertà personale, non potrebbe utilmente farsi ricorso al disposto dell'art. 568, secondo comma, del codice di procedura penale, quale norma derogatoria rispetto al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.

 

Senonchè l'individuazione di un simile strumento di tutela sembra agevolmente ricavabile nel richiamo alla sentenza n. 353 del 1991 la quale - dopo aver rilevato che se la legge lasciasse privo di tutela l'offeso dal reato cui non venisse comunicato l'avviso di cui all'art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale, "la denunciata omessa previsione si presenterebbe di dubbia compatibilità con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione" - ebbe a dichiarare non fondate, "nei sensi di cui in motivazione", le questioni di legittimità dell'art. 178, lettera c, del codice di procedura penale e dell'art. 409 dello stesso codice, nella parte in cui tali norme non consentirebbero alcuna tutela alla persona offesa dal reato nei confronti della quale sia stato omesso l'avviso della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, nonostante l'espressa domanda avanzata a norma dell'art. 408, secondo comma, additando nel ricorso per cassazione la "disciplina che consente di esperire un mezzo di gravame avverso il provvedimento conclusivo di tale procedura".

 

7. Il giudice a quo, pur mostrando di condividere la soluzione interpretativa a suo tempo adottata dalla Corte, l'ha però rigorosamente circoscritta al procedimento davanti al tribunale dando una particolare valenza al principio, enunciato dalla indicata sentenza, in base al quale l'art.409, sesto comma, del codice di procedura penale, che ammette il ricorso per cassazione nei casi di nullità previsti dall'art. 127, quinto comma, deve ritenersi applicabile anche quando risulti colpita "all'origine la stessa instaurazione del contraddittorio proprio del procedimento in camera di consiglio". Principii, dunque, secondo il giudice a quo, non riferibili al provvedimento di archiviazione pretorile, adottato de plano anche in caso di opposizione della persona offesa, senza, dunque, poter fare alcun riferimento nè alle forme prescritte dall'art. 127 del codice di procedura penale ed al quinto comma di tale articolo, che prevede la nullità per la violazione delle regole riguardanti il contraddittorio cartolare consentito dall'art.156 delle norme di attuazione, nè ad una norma analoga all'art.409, sesto comma, del codi ce, che, appunto, consente il ricorso per cassazione ove le regole poste a tutela del contraddittorio vengano violate.

 

8. La questione, nei termini che seguono, non è fondata.

 

Il tema della tutela della persona offesa dal reato cui non venga data notizia della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, nonostante l'espressa domanda formulata nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, è stato - come si è più volte ricordato - già affrontato da questa Corte. Più in particolare, con la sentenza n. 353 del 1991, venne precisato come sussista il diritto della persona offesa di essere avvisata della detta richiesta, un diritto "particolarmente valorizzato proprio nello stadio delle indagini preliminari entro le quali si colloca il procedimento di archiviazione". La Corte pervenne, perciò, alla conclusione che "l'offeso dal reato possa usufruire di una disciplina che consente di esperire un mezzo di gravame avverso il provvedi mento conclusivo di tale procedura": mezzo che venne individuato in quello previsto dall'art.127, quinto comma, del codice di procedura penale, espressamente richiamato dall'art. 409, quinto comma, dello stesso codice.

 

Alla persona offesa nei confronti della quale si sia mancato di notificare l'avviso della richiesta di archiviazione fu così riconosciuto il diritto di proporre ricorso per cassazione perchè il vizio derivante dalla detta omissione "con l'impedire all'offeso dal reato ogni possibilità di contestare" la richiesta, "viene a colpire all'origine la stessa potenziale instaurazione del contraddittorio proprio dell'udienza in camera di consiglio". Un vizio, dunque, da ritenere "ancor più grave di quello derivante dall'omesso avviso alla persona offesa, che abbia proposto opposizione, della data fissata per la stessa udienza, in ordine al quale, pure, l'art. 409, sesto comma, la legittima espressamente a ricorrere per cassazione".

 

9. Il giudice a quo ha contestato la riferibilità di tale pronuncia al procedimento pretorile per il suo intrinseco collegamento con la procedura in camera di consiglio prevista esclusivamente con riguardo all'archiviazione pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale, Ma si tratta di un'interpretazione in contrasto sia con la ratio decidendi della stessa sentenza n. 353 del 1991 sia con le successive statuizioni di questa Corte in tema di archiviazione anche relativamente al procedimento davanti al pretore. Senza contare che la giurisprudenza della Corte di cassazione aveva già seguito la linea interpretativa additata da questa Corte, anche nelle statuizioni immediatamente successive alla sentenza n. 353 del 1991, pure senza che ne venisse direttamente coinvolta l'archiviazione pretorile.

 

10. In primo luogo, il fatto che la sentenza n. 353 del 1991 possa apparire rigorosamente atte stata al procedimento di archiviazione davanti al tribunale non risulta di ostacolo - ove venga individuata l'effettiva ratio della statuizione - alla possibilità di una estensione al procedimento davanti al pretore del rimedio da essa individuato in via interpretativa. Non può essere infatti trascurata l'incidenza dei limiti del devolutum, circoscritto al raffronto tra l'ipotesi del mancato avviso dell'udienza in camera di consiglio (presidiato dal combinato disposto dell'art. 409, sesto comma, e dell'art.127, quinto comma) ed il mancato avviso della richiesta del pubblico ministero. Tanto è vero che, pur puntualizzandosi come "dall'esame congiunto" delle norme ora ricordate risulta che esse "fanno, in tema di archiviazione, espresso riferimento, integrandosi reciprocamente, alla sola archiviazione pronunciata con ordinanza a seguito della procedura in camera di consiglio fissata dal giudice che non accolga la richiesta del pubblico ministero", si ravvisò il dato più saliente del vizio allora denunciato proprio nel fatto che se la persona offesa non viene avvisata dell'udienza, potrà proporre ricorso per cassazione invocando la nullità del provvedimento a norma dell'art. 127, quinto comma", mentre di tale rimedio non avrebbe potuto farsi uso nell'ipotesi della stessa persona offesa "che venga privata dell'avviso della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero nonostante la sua espressa domanda di essere avvertita". E trattavasi di una soluzione fondata, oltre che sull'esigenza di tutela dell'offeso dal reato - quanto agli strumenti adoperati per rimuovere il vulnus - sulla necessità, perseguita dal legislatore, di disciplinare l'archiviazione come istituto unitario, "a prescindere dalle diversità sia delle cadenze procedimentali sia della tipologia del provvedimento conclusivo".

 

Prova ne sia che, nonostante le varie scelte invalidanti allora prospettate dai giudici a quibus (alcune dirette a sindacare l'art. 178, lettera c, del codice di procedura penale, altre facenti leva sull'art. 409 dello stesso codice), questa Corte ritenne conforme a Costituzione conseguire il medesimo risultato attraverso l'individuazione e l'interpretazione delle norme effettivamente censurate proprio al fine di dettare un identico regime protettivo per la persona offesa che, "non informata della richiesta di archiviazione, è stata privata della facoltà di opposizione".

 

La ratio decidendi della sentenza n. 353 del 1991 non si collega, dunque, se non per l'ipotesi normativa allora sottoposta al vaglio della Corte, a quel procedimento in contraddittorio previsto per il rito di base.

 

Il suo reale valore prescrittivo è, infatti, nella diretta tutela del diritto di difesa dell'offeso dal reato, che "risulta nel sistema del nuovo codice di procedura penale, particolarmente valorizzato proprio nello stadio delle indagini preliminari, entro il quale si colloca il decreto di archiviazione".

 

L'assenza di un immancabile collegamento con la procedura di cui all'art.127 era, del resto, resa evidente sia dalla circostanza che, anche con riguardo all'archiviazione pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale veniva in considerazione un decreto adottato de plano, sia soprattutto, dall'esigenza di consentire alla persona offesa di essere protetta attraverso uno strumento - il ricorso per cassazione - previsto dall'ordinamento per situazioni, non solo fondate su un'identica ratio, ma addirittura contrassegnate da un tasso maggiore di gravità.

 

Dunque è la sostanziale identità dei provvedimenti, sebbene emessi a seguito di procedimenti di tipo diverso, che ha motivato la scelta interpretativa ricavabile dalla sentenza n.353 del 1991. Perchè se scopo essenziale dell'impugnazione è, nella specifica materia, quello di porre riparo alla lesione dell'interesse della persona offesa di sottoporre a controllo la scelta del pubblico ministero di non esercitare l'azione penale, il medesimo interesse dovrà essere tutelato anche quando l'archiviazione sia pronunciata de plano ed il controllo dovrà a maggior ragione essere garantito proprio quando, come nel procedimento pretorile, l'opposizione non provochi l'instaurazione del rito camerale.

 

11. L'unitarietà del fenomeno in esame - qua li che possano essere le divaricazioni normative provocate soprattutto dalla necessità di dare attuazione, relativamente al procedimento pretorile, all'art. 2, n. 103, della legge-delega, che prescrive il principio di massima semplificazione, è stata successivamente ribadita dalla sentenza n.94 del 1992 con la quale - anche in funzione del principio adesso ricordato - venne dichiarata non fondata la questione di legittimità, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dello stesso art. 156 delle norme di attuazione "nella parte in cui non prevede nel procedimento pretorile, in caso di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, l'audizione delle parti in camera di consiglio".

 

Con tale decisione, dopo essersi puntualizzato che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale - nella parte in cui non prevede che anche nel procedimento pretorile il giudice per le indagini preliminari, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi con ordinanza al pubblico ministero fissando il termine per il loro compimento (sentenza n. 445 del 1990) - ne è derivata "sul piano logico sistematico, un'espansione delle facoltà della persona offesa", cosicchè "anche nel procedimento pretorile la sua opposizione non sia più finalizzata solo al rigetto della richiesta di archiviazione, ma possa anche consistere nella sollecitazione di un'investigazione suppletiva", si è espressamente statuito, con una precisazione direttamente collegata proprio alla dichiarazione di non fondatezza, costituendo una delle rationes decidendi che hanno condotto la Corte a non ravvisare alcuna illegittimità nell'assenza della procedura in camera di consiglio nell'archiviazione pretorile, che "anche nel procedimento pretorile, qualora l'avviso sia omesso, la persona offesa sia abilitata a proporre ricorso per cassazione".

 

12. Non può essere, infine, trascurato come la detta linea interpretativa risulta accolta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha particolarmente insistito sulla violazione del contraddittorio cui dà vita il mancato avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che ne abbia fatto domanda, non soltanto nel senso della possibilità di instaurazione della procedura in camera di consiglio ma anche (e soprattutto) come lesione del diritto della persona offesa di proporre opposizione. Fino ad affermare da ultimo (Sez.I, 13 aprile 1994, n. 1695) che anche nel procedimento pretorile contro il decreto di archiviazione è proponibile il ricorso per cassazione per far valere l'omesso avviso della richiesta del pubblico ministero, qualora la persona offesa abbia fatto istanza di essere preavvertita, trattandosi di una causa di nullità che vanifica la stessa possibilità di instaurazione del contraddittorio, in tal modo violando il diritto della persona offesa a proporre opposizione e ad esercitare le proprie ragioni.

 

13. Il fatto, poi, che il giudice a quo invochi l'azionabilità del ricorso per cassazione pure nel procedimento pretorile rappresenta la conferma delle premesse sopra riportate, sicuramente plurimi potendo profilarsi - al di fuori di uno spazio che ecceda l'ambito interpretativo e, quindi, in un regime del procedimento di archiviazione non sorretto da regole unitarie quanto ai sistemi di tutela - gli strumenti volti a fornire alla persona offesa un trattamento protettivo: si pensi soltanto alla possibilità di richiedere la revoca del decreto direttamente al giudice che l'ha pronunciato. Ma, proprio il rischio di compromettere il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (ora, di nuovo, paventato dal giudice a quo), risulta, ancora una volta, decisivo, sempre facendo appello all'"esigenza, avvertita dal legislatore di disciplinare l'archiviazione come istituto unita rio, a prescindere dalla diversità sia delle cadenze procedimentali sia della tipologia del provvedimento conclusivo: un'esigenza già altre volte avvertita da questa Corte proprio considerando "la finalità che accomuna tutte le varie ipotesi di archiviazione" (sentenza n. 409 del 1990), risultando così non intaccato, per l'assenza di ogni necessità di ricorrere all'analogia, il limite segnato dall'art.568 del codice di procedura penale.

 

14. Così interpretate, le norme sottoposte al vaglio di questa Corte si sottraggono ad ogni contrasto con il parametro costituzionale invocato.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, primo e secondo comma, del testo delle norme di attuazione, di coordina mento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), sollevata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con le due ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/11/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Giuliano VASSALLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 07/12/94.