Sentenza n. 408 del 1994

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SENTENZA N. 408

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 13, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993), promosso con ordinanza emessa il 16 febbraio 1994 dal Pretore di Campobasso nel procedimento civile vertente tra Capozio Corrado ed I.N.P.S. iscritta al n. 226 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visti gli atti di costituzione di Capozio Corrado e dell'I.N.P.S. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

uditi gli avvocati Giovanni Angelozzi per Capozio Corrado e Carlo De Angelis per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Campobasso, nel corso di un procedimento civile promosso da Capozio Corrado - titolare di pensione I.N.P.S. di importo annuo superiore a diciotto milioni - nei confronti dell'I.N.P.S. medesimo, per ottenere la condanna dell'Istituto al pagamento della somma trattenuta a titolo contributivo per il Servizio sanitario nazionale sull'importo di pensione ricompreso nella fascia sino a lire diciotto milioni, con ordinanza del 16 febbraio 1994 (R.O.n. 226 del 1994), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 13, della legge 29 dicembre 1990, n.407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993), <nella parte in cui ha introdotto e stabilito a decorrere dall'1 gennaio 1991 l'applicazione a carico di coloro che beneficiano di trattamento pensionistico di importo annuo lordo superiore a diciotto milioni di lire del contributo per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale>.

Osserva il giudice remittente che il contributo al Servizio sanitario nazionale, di cui all'art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n.41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), ha natura di prestazione patrimoniale imposta ex art. 23 della Costituzione, il cui presupposto materiale è costituito da un fatto avente rilevanza economica - possesso dei redditi - e non deriva da un semplice meccanismo di forma mutualistica fondato sulla ripartizione di oneri.

Il giudice a quo rileva che i meccanismi di dichiarazione, accertamento e riscossione del contributo e le relative sanzioni sono disciplinati dalle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi ed il contributo, a decorrere dall'anno 1992, è dovuto sulla base degli imponibili stabili ti dalla legge n. 41 del 1986 per il medesimo anno, cosicchè l'anno di competenza del contributo al Servizio sanitario nazionale coincide, ai sensi dell'art. 14 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (recante disposizioni in materia fiscale), con quello dell'IRPEF.

Le affinità quasi globali di struttura del contributo al Servizio sanitario nazionale con il sistema delle imposte, sia in relazione al presupposto d'imposizione che in merito agli effetti obbligatori che ne discendono, comporterebbe, a parere del Pretore, la sottoposizione della normativa in esame ai limiti costituzionali di carattere sostanziale segnati dall'art. 53 della Costituzione. Limiti che, sempre secondo il giudice a quo, non sono stati rispettati dalla norma censurata, la quale ha fissato "l'unico discrimine nella soglia dei diciotto milioni annui di trattamento pensionistico, assoggettando all'imposizione, in caso di superamento di tale somma, l'intero reddito con aliquota fissa senza prevedere nè un aumento dell'aliquota all'aumentare del reddito, nè un abbattimento dell'imponibile pari alla quota esente, nè un analogo meccanismo per fasce di reddito e scaglioni, tali da preservare adeguata proporzionalità tra il reddito lordo ed il reddito netto dopo l'applicazione del contributo; specialmente per coloro che percepiscono pensioni di poco superiori alla soglia dei diciotto milioni annui". In tale ottica - conclude il Pretore remittente - la norma impugnata solleva dubbio di conflittualità altresì con l'art. 3 della Costituzione, risultando inserita in un sistema disorganico e disarticolato, frammentario e caratterizzato dall'irrazionale imposizione criptotributaria indiscriminata ad aliquota fissa.

2. - Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito Capozio Corrado, il quale ha fatto proprie e ribadito le argomentazioni svolte dal Giudice remittente con l'esposta ordinanza, richiedendo una pronuncia d'illegittimità costituzionale.

3. - Si è costituito, altresì, l'Istituto nazionale della previdenza sociale, che ha concluso per la infondatezza della questione, ritenendo che il limite di diciotto milioni fissato dal legislatore rientri nell'àmbito di una scelta discrezionale e, comunque, non sia incostituzionale, in quanto "qualunque limite stabilisce sia vantaggi che svantaggi". La difesa dell'I.N.P.S. ha escluso la violazione dell'art. 3 della Costituzione, "non potendosi ravvisare nella fattispecie una disparità di trattamento tra posizioni eguali ed omogenee, dal momento che i redditi superiori a diciotto milioni vengono incisi tutti in modo eguale". In ordine poi alla presunta violazione dell'art. 53 della Costituzione, ha osservato che, con la sentenza n. 167 del 1986, relativa al contributo sociale di malattia, la Corte costituzionale ha già rilevato che "quel che rimane certo, comunque, è l'assenza di specifica connotazione tributaria nella attuale descritta disciplina".

5. - Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, ricordando pure che "la totale assenza di specifica connotazione tributaria del contributo per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale è stata più volte ribadita dalla Corte con le sentenze nn. 167 del 1986, 431 del 1987, 256 del 1992 e con l'ordinanza n. 437 del 1993".

Considerato in diritto

1. - Il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 13, della legge 29 dicembre 1990, n. 407, <nella parte in cui ha introdotto e stabilito a decorrere dall'1 gennaio 1991 l'applicazione a carico di coloro che beneficiano di trattamento pensionistico di importo annuo lordo superiore a diciotto milioni di lire del contributo per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale>.

Ad avviso del remittente sarebbero violati gli artt. 53 e 3 della Costituzione, per il mancato rispetto dei princìpi della capacità contributiva e della progressività del sistema, conseguente alla rigida imposizione di un discrimine reddituale che non prevede quota esente, nonchè per il trattamento differenziato di situazioni omogenee che ne deriverebbe e, infine, per il carattere disarticolato della normativa.

2. - La questione è inammissibile.

La norma impugnata, lasciando immutato il sistema contributivo precedente, oltre ad elevare la misura del contributo prevista dall'art. 31, comma 14, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, nonchè quella posta specificamente a carico del lavoratore dal successivo comma 15, con decorrenza dall'1 gennaio 1991, ha disposto che, da tale data, nelle stesse misure previste a carico dei lavoratori dipendenti il contributo venga applicato a carico dei pensionati sull'intero trattamento pensionistico che superi l'importo annuo lordo di diciotto milioni.

Questa Corte, giudicando in ordine al citato art. 31 e al complesso di disposizioni anteriori sul quale esso ebbe ad innestarsi, ha ripetutamente escluso che il contributo ivi previsto abbia "un connotato tributario certo", affermando che in tutta la sistematica relativa "permangono tuttora pregnanti connotati di carattere assicurativo" (sentenza n. 431 del 1987; cfr. anche sentenza n. 167 del 1986 e ordinanza n. 437 del 1993).

Il Pretore remittente non solleva questione sull'art. 31 citato ma solo sull'art. 5, comma 13, della legge n. 407 del 1990, pur osservando che la norma impugnata risulta "inserita in un sistema disorganico e disarticolato, frammentario e caratterizzato dall'irrazionale imposizione criptotributaria indiscriminata ad aliquota fissa".

Ora, con riguardo all'imposizione del contributo è il caso di sottolineare come la non differibilità di una razionalizzazione complessiva e l'esigenza di un concreto incremento di efficienza del Servizio sanitario nazionale siano state indicate già da tempo da questa Corte quali passaggi necessari ai fini dell'attuazione del precetto di cui all'art. 32 della Costituzione (cfr. sentenza n. 534 del 1989).

In tal senso nessun progresso è stato fatto dal legislatore; anzi la norma impugnata rappresenta un'ulteriore "espressione di interventi meramente episodici, non plausibili con riguardo specifico alle evidenti connotazioni d'ordine solidaristico cui deve sottostare la materia in discussione" (cfr. sentenza da ultimo citata).

Tuttavia - ripetesi - l'àmbito del presente giudizio non investe la ratio del contributo, nè il suo rapporto con la situazione del Servizio sanitario nazionale ed il relativo assetto normativo, ma resta circoscritto all'asserita discriminazione che la norma impugnata avrebbe determinato non consentendo l'attuazione del principio di eguaglianza nell'imposizione tributaria. E rimane allora agevole osservare che la fissazione di un limite di reddito ad un determinato livello piuttosto che ad un altro rientra nel discrezionale apprezzamento compiuto dal legislatore, in modo certamente non irragionevole, circa l'adeguatezza del reddito stesso. Nè vale richiamare le tecniche impositive tributarie per censurare l'individuazione di tale limite, visto che non viene contestata la surrichiamata affermazione di questa Corte circa l'assenza di specifica connotazione tributaria nel contributo in esame.

3. - La questione è parimenti inammissibile per quanto attiene alla dedotta più generale violazione dell'art. 3 insè, non correlata cioè al parametro di cui all'art. 53 della Costituzione.

Pervero la norma impugnata, nel fissare in diciotto milioni di lire il livello minimo intangibile dalla disposta imposizione del contributo, non esclude l'astratta possibilità che in conseguenza del prelievo il trattamento pensionistico risulti diminuito al di sotto di quel limite.

É infatti ipotizzabile il caso che un pensionato, il quale superi appena l'indicata misura, venga in definitiva a percepire ancor meno di chi vi sia appena al di sotto: così concretizzandosi un'evidente disparità di trattamento e una intrinseca irragionevolezza dovuta proprio alla contraddizione con la ratio che postula una soglia minima.

Effetto per verso, codesto, che il legislatore avrebbe ben potuto evitare con una clausola di salvaguardia in senso correttivo, agevolmente realizzabile attraverso la preclusione di quel dato prelievo che cagioni la riduzione del reddito a meno di diciotto milioni.

Ma sotto questo profilo è palese il difetto di rilevanza, posto che il ricorrente nel giudizio a quo non ha dedotto la descritta situazione di minima eccedenza rispetto ai diciotto milioni, ma ha chiesto (ed in tal senso si modula il petitum dell'ordinanza di remissione) che detto importo sia considerato interamente esente dal prelievo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 13, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal Pretore di Campobasso con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/11/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/11/94.