Ordinanza n.367 del 1994

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ORDINANZA N. 367

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 15, primo comma, lettera a), del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito nella legge 7 agosto 1992, n.356, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 20 maggio 1993 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Pregnolato Alberto, iscritta al n. 722 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1993;

2) ordinanza emessa il 23 settembre 1993 dal Tribunale di sorveglianza di Sassari sull'istanza proposta da Costa Giovanni, iscritta al n. 736 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto che la Corte di cassazione, con ordinanza del 20 maggio 1993, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), come sostituito dall'art. 15, primo comma, lettera a), del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui subordina l'ammissione del condannato al regime della semilibertà al presupposto della collaborazione con la giustizia a norma dell'art.58-ter della medesima legge;

che ad avviso del remittente tale norma contrasterebbe:

con l'art. 24 Cost., essendo pregiudicato il diritto di difesa, "esplicabile anche attraverso il rifiuto a rispondere all'interrogatorio o il ricorso alla menzogna", giacchè il soggetto interessato, ancor prima della definizione del processo a suo carico, è posto di fronte all'alternativa se rendere o meno confessione; e perchè "il condannato che si veda costretto a confessare il fatto da lui sempre in precedenza negato e a corroborare la confessione con la incolpazione di altri si vede preclusa, addirittura, la possibilità di un futuro ricorso all'eventuale istituto della revisione";

con l'art. 27, secondo comma, Cost., in quanto la necessità di un comportamento collaborativo "finalizzato al ricevimento della futura contropartita" vanifica la presunzione di non colpevolezza;

con l'art. 3 Cost., sia per la discriminazione operata tra condannati in ragione del mero titolo del reato sia per l'oggettiva impossibilità, in taluni casi, della prestazione della collaborazione;

con l'art. 25 Cost., in quanto tale disciplina afflittiva si estende "indifferentemente (a) fatti commessi prima e dopo la sua entrata in vigore";

con l'art. 27, terzo comma, Cost., poichè, pur in presenza di un positivo accertamento della completa risocializzazione del soggetto non collaborante, viene ad attribuirsi "aprioristicamente al rifiuto opposto il valore di un mancato favorevole evolversi nel soggetto stesso del processo di revisione critica del suo trascorso delinquenziale";

che analoga questione ha sollevato il Tribunale di sorveglianza di Sassari, con ordinanza del 23 settembre 1993, il quale ha ravvisato il contrasto della medesima norma: con l'art. 25, secondo comma, Cost., in quanto tale disposizione si applica anche a chi sia stato condannato con sentenza definitiva anteriore alla data di entrata in vigore di essa, ed abbia espiato già metà della pena inflitta, in violazione del principio di non retroattività della norma penale, che deve ritenersi estendersi anche alle "disposizioni di natura sostanziale relative alla modalità di esecuzione della pena ed in particolare alle misure alternative alla detenzione";

con l'art. 3, secondo comma, Cost., perchè l'applicazione retroattiva della nuova disciplina concreta un diseguale trattamento di condannati i quali abbiano parimenti espiato il periodo minimo di pena previsto dalla legge per l'ammissione alla semilibertà, a seconda che, prima dell'entrata in vigore della medesima disciplina, anche per circostanze casuali, il relativo procedimento di sorveglianza sia stato o meno definito;

che è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per la manifesta infondatezza della questione sollevata con la prima ordinanza e per l'infondatezza di quella sollevata con la seconda.

Considerato che, per la sostanziale identità delle questioni, i giudizi vanno riuniti ed esaminati congiuntamente;

che questa Corte, con sentenza n. 357 del 1994, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis, primo comma, secondo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354, come sostituito dall'art. 15, primo comma, lettera a), del decreto- legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, nella parte in cui non prevede che i benefici di cui al primo periodo del medesimo comma possano essere concessi anche nel caso in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, come accertata nella sentenza di condanna, renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata;

che, a causa del mutamento del contesto normativo a seguito della suddetta pronuncia nei procedimenti pendenti dinanzi ai giudici remittenti, occorre disporre la restituzione degli atti ai medesimi giudici, affinchè valutino se le questioni da essi sollevate siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, ordina la restituzione degli atti alla Corte di cassazione e al Tribunale di sorveglianza di Sassari.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 Luglio 1994.