Sentenza n.364 del 1994

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SENTENZA N. 364

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE Presidente

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, quinto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza emessa il 20 marzo 1992 dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano sui ricorsi riuniti proposti dalla s.p.a. SERFIN - Servizi finanziari Aziendali contro l'Ufficio imposte dirette di Milano, iscritta al n. 96 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'8 giugno 1994 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza del 20 marzo 1992 la Commissione tributaria di primo grado di Milano, nel corso di un giudizio instaurato dalla SERFIN - Servizi finanziari aziendali s.p.a. nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art.34, quinto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413.

Il giudice remittente assume che la norma censurata, subordinando la sospensione del giudizio alla dichiarazione del contribuente, da rendere in udienza, di volersi avvalere del condono tributario di cui alla medesima legge n. 413 del 1991, avrebbe l'effetto di ridurre i termini per inoltrare la relativa domanda, discriminando, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, il contribuente stesso rispetto "agli altri contribuenti che non versano nella stessa situazione".

Secondo l'ordinanza la data dell'udienza avrebbe un effetto di "sbarramento", nel senso che se il contribuente "ha dichiarato di volersi avvalere del condono, non può più tornare sui suoi passi", mentre "se non ha dichiarato di volersi avvalere del condono, non può più farlo". Ciò in quanto il principio di economia processuale porta ad escludere che "il giudizio possa proseguire inutilmente (nel caso di dichiarazione di non volersi avvalere del condono) o essere sospeso pretestuosamente (nel caso di dichiarazione di volersi avvalere del condono)".

2.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha dedotto l'infondatezza della questione.

Secondo la memoria, la dichiarazione, da rendere all'udienza, ha soltanto lo scopo di impedire l'assunzione in decisione della causa, fermo restando il termine ordinario "per presentare all'ufficio domanda di condono e conseguentemente procedere al pagamento" del dovuto.

Ottenuta, con la dichiarazione, la sospensione del giudizio, il contribuente può ancora scegliere, nel termine ordinario, se presentare o meno la dichiarazione integrativa. Se questa non viene presentata, cessa la causa di sospensione e il giudizio riprende il suo corso.

Considerato in diritto

1.- La Corte è chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell'art. 34, quinto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, con la quale sono state dettate disposizioni per agevolare la definizione delle situazioni e pendenze tributarie. Secondo il giudice a quo, la norma impugnata, nel prevedere che "i giudizi per i quali sia stata fissata l'udienza di discussione sono sospesi nell'udienza medesima a richiesta del contribuente che dichiari di volersi avvalere delle disposizioni" in tema di condono tributario, ridurrebbe alla data dell'udienza i termini per la presentazione della relativa domanda, provocando, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, una disparità di trattamento "tra chi ha una udienza già fissata e chi deve ancora essere convocato".

2.- La questione non è fondata.

La norma denunciata si dà carico di raccordare la procedura amministrativa di condono con i processi tributari in svolgimento.

Essa perciò prevede la sospensione dei giudizi e dei termini di ricorso o di impugnativa fino alla data ultima prevista per poter chiedere la definizione delle pendenze, stabilendo, altresì, che i giudizi per i quali sia stata fissata l'udienza di discussione siano sospesi nell'udienza medesima a richiesta del contribuente che dichiari di volersi avvalere della facoltà di chiedere il condono tributario.

Nel sistema delineato dal legislatore, è da escludere, tuttavia, che tale richiesta di sospensione produca il lamentato effetto. Il termine per la presentazione dell'atto che dà avvio alla procedura per la definizione della pendenza, e cioè la c.d.

dichiarazione integrativa prevista dalla norma denunciata, lungi dal ridursi, resta, infatti, quello stabilito, in via ordinaria, per tutti i contribuenti, come è dato evincere dal secondo periodo dello stesso art.34, quinto comma. Successivamente alla predetta data, viene, invero, emessa ordinanza di estinzione del giudizio solo subordinatamente all'esibizione di copia della dichiarazione integrativa e della ricevuta comprovante la consegna all'ufficio postale della lettera raccomandata di trasmissione della dichiarazione stessa.

In conclusione, è da reputare erronea la premessa dalla quale muove il giudice a quo, in quanto la richiesta prevista dalla disposizione sottoposta all'esame della Corte vale solo ad ottenere la sospensione del giudizio, fermo restando che, fino alla scadenza del termine ordinario, questo contribuente può ancora decidere se presentare o meno la dichiarazione integrativa, onde nessuna disparità di trattamento egli subisce, sotto il profilo in esame, rispetto a tutti gli altri. Va da sè che, ove quest'ultima dichiarazione non venga presentata, il giudizio, cessata la causa di sospensione, riprende il suo corso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.34, quinto comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27 Luglio 1994.