Sentenza n.343 del 1994

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 343

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 479 (Norme correttive del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, recante revisione dei controlli dello Stato sugli atti amministrativi delle regioni), ed in particolare degli artt. 1, primo e secondo comma, 2, primo e secondo comma, 3 dello stesso decreto, promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 23 dicembre 1993, depositato in cancelleria il 30 dicembre successivo ed iscritto al n. 83 del registro ricorsi 1993.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 maggio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l'avvocato Maurizio Steccanella per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato Franca Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Lombardia ha sollevato una serie di questioni di legittimità costituzionale relative sia all'intero testo che ad alcuni articoli del d.P.R. (recte: decreto legislativo) 10 novembre 1993, n. 479 (Norme correttive del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, recante revisione dei controlli dello Stato sugli atti amministrativi delle regioni), in riferimento agli artt.76, 115, 118 e 125 della Costituzione.

A giudizio della ricorrente, il decreto nel suo complesso eccede dalla delega attribuita al Governo con l'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, in quanto tale disposizione riguardava la materia del pubblico impiego, mentre il decreto introduce una riforma generale dell'istituto del controllo sugli atti amministrativi della Regione.

Oggetto di censura è poi l'art. 1, secondo comma, per l'effetto del complessivo testo risultante dal combinato disposto con l'art. 1, primo comma, del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, in riferimento all'art. 76 della Costituzione: mentre la legge delega poneva al legislatore delegato l'obiettivo di ridurre l'ambito oggettivo dell'attività di controllo, la disposizione impugnata ha incluso fra gli atti soggetti a controllo i "programmi" ed addirittura "gli atti integrativi o modificativi dei contenuti dei predetti provvedimenti o che ne tengano luogo". Ciò comporta che qualsiasi "puntuale" provvedimento regionale che disponga su singole situazioni e fattispecie (quali ad esempio l'approvazione di una modesta variante alla strumentazione urbanistica di un Comune) torna ad essere soggetto al controllo da parte dello Stato.

Anche la sottoposizione a controllo degli atti di cui alla lettera g) dell'art. 1 del decreto legislativo n. 40 del 1993, nel richiamare gli appalti non previsti in atti di programmazione, integrerebbe una fattispecie esorbitante rispetto alla delega.

Altra questione di legittimità costituzionale è sollevata nei confronti dell'art. 2, primo comma, che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri la determinazione di "criteri procedurali" per le commissioni statali di controllo. Tale potere, a giudizio della Regione, altro non sarebbe che una sorta di "cosmesi lessicale" rispetto alla formula contenuta nel decreto legislativo precedente (ove si parlava di "direttive"). Ritiene la difesa della Regione che l'espressione "criteri procedurali" è giuridicamente incomprensibile, o quanto meno ambigua, giacchè nessun criterio potrà dirsi effettivamente procedurale, e nessun criterio -in termini procedurali- può giammai essere predeterminato. Si tratterebbe nella sostanza di regole cogenti emanate dalla Presidenza del Consiglio nei confronti delle commissioni regionali di controllo. Ciò appare aggravato dal potere di proposta attribuito al comitato tecnico che, come tale, non può ingerirsi in aspetti rigorosamente già normati, quale è e deve essere la "procedura".

La Regione ritiene inoltre che, dovendo essere il controllo sugli atti amministrativi delle Regioni un controllo di mera legittimità, l'art. 1, primo comma, del decreto legislativo n. 479 del 1993, sarebbe in contrasto con gli artt. 125 e, di riflesso, 118, 115 e 76 della Costituzione, in quanto l'esclusione di "ogni valutazione di merito" dall'ambito del controllo non impedisce il controllo sull'eccesso di potere il quale, pur rientrando nel controllo di legittimità, consente tuttavia di sindacare il merito effettivo delle scelte provvedimentali.

Altra questione di legittimità costituzionale è sollevata nei confronti dell'art. 3, che definisce i criteri per la composizione delle commissioni di controllo.

In proposito, la Regione ricorrente deduce diversi aspetti negativi di detta composizione, i quali produrrebbero la conseguenza di rendere il controllo estrinsecazione gerarchizzata di amministrazione attiva, in contrasto con gli artt. 125, 118 e 115 della Costituzione, per i quali invece gli atti delle Regioni possono soggiacere soltanto ad un controllo di legittimità; oltre a snaturare il ruolo e la funzione delle commissioni, la cui attività va considerata di natura para-giurisdizionale.

2. - Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili ovvero non fondate

Rileva in primo luogo la difesa erariale che il ricorso va dichiarato inammissibile per la parte attinente agli artt.2 e 3, quarto, sesto e settimo comma del decreto legislativo, in quanto tali disposizioni non sarebbero invasive delle competenze regionali, essendo la funzione di controllo in esame esclusivamente statale. La stessa presenza nelle commissioni di un componente espresso dalla Regione risponde ad un'esigenza di raccordo pratico (prevalentemente informativo). Non può quindi ipotizzarsi un interesse della Regione a che lo Stato eserciti la funzione di controllo in modo meno incisivo.

Altro motivo di inammissibilità sarebbe rappresentato dal fatto che il ricorso riguarda anche la lettera g) del decreto legislativo n. 40 del 1993, parte non modificata dal decreto legislativo n. 479 del 1993.

Analogamente deve dirsi con riferimento all'art. 2 del decreto n. 479, la cui impugnazione sembra in realtà rivolta all'intero art. 2 del decreto n. 40, che non formava oggetto del precedente ricorso proposto dalla Regione.

Nel merito, si sottolinea che la norma delegante, ancorchè collocata nell'art. 2 della legge n. 421 del 1992, non riguarda soltanto il pubblico impiego, e che anzi sarebbe stato anomalo ed irrazionale prevedere due diverse discipline del controllo e due composizioni delle commissioni a ciò preposte.

Circa gli altri motivi, si rileva che l'aggiunta delle parole "atti integrativi o modificativi dei contenuti dei predetti provvedimenti", lungi dal risultare invasiva o addirittura incostituzionale, è persino superflua, posto che l'interprete avrebbe potuto da solo pervenire alla medesima puntualizzazione.

Con riguardo all'ulteriore motivo del ricorso, si rileva che la dizione "esclusa ogni diversa valutazione di merito" è stata ritenuta preferibile perchè utilizza il collaudatissimo discrimine tra legittimità e merito, in quanto l'eccesso di potere non comporta sovrapposizione e sostituzione di una valutazione siffatta ad altra precedente dell'organo di amministrazione attiva.

Circa i motivi attinenti alla composizione delle commissioni di controllo, l'Avvocatura osserva che la "predeterminazione di una maggioranza", censurata nel ricorso, sarebbe frutto di errore interpretativo, in quanto il quorum richiesto è solo strutturale; mentre, per quanto riguarda il rinnovo della commissione, la Regione richiederebbe un intervento additivo al fine di introdurre un criterio di rotazione sostitutiva dei membri delle commissioni: tale richiesta sarebbe inammissibile (in quanto non esisterebbero i presupposti per una pronuncia additiva) ovvero infondata (stante l'assenza di parametri costituzionali).

Conclusivamente, si sostiene che l'attività di controllo in esame non è stata qualificata come giurisdizionale dall'art. 125, primo comma, della Costituzione; nè la legge ordinaria può istituire giudici speciali.

Considerato in diritto

1. - Il ricorso, proposto dalla Regione Lombardia, solleva numerose questioni di legittimità costituzionale relative ad alcuni articoli del d.P.R. (recte: decreto legislativo) 10 novembre 1993, n. 479 (Norme correttive del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, recante revisione dei controlli dello Stato sugli atti amministrativi delle regioni), in riferimento agli artt. 76, 115, 118 e 125 della Costituzione.

Dopo aver ricordato che il decreto è stato emanato in forza della delega attribuita al Governo con l'art. 2, primo comma, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, ed a correzione del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, già oggetto di ricorso da parte della stessa Regione (dichiarato inammissibile con sentenza n. 501 del 1993 di questa Corte), la ricorrente ritiene in primo luogo (sebbene tale profilo non sia espressamente riprodotto nelle conclusioni) che il decreto nel suo complesso sia esorbitante rispetto alla delega attribuita al Governo, in quanto questa era riferita alla sola materia del pubblico impiego, mentre il decreto riforma in via generale l'istituto del controllo sugli atti amministrativi delle Regioni.

2. - Tale questione non è fondata. Al riguardo, è sufficiente rilevare che la delega a "prevedere la revisione dei controlli amministrativi dello Stato sulle regioni" -pur essendo stata inserita nell'art. 2 della legge n. 421 del 1992, rubricato con riferimento al "pubblico impiego"- attiene evidentemente alla materia della revisione dei controlli sugli atti amministrativi regionali nella loro globalità, evitando ragionevolmente che nell'ordinamento vi siano differenziate discipline: sia al fine di assicurare una coerenza logica all'esercizio di detta attività, sia per motivi letterali deducibili dalla espressione dell'art. 2 ora riportata e dal titolo di tutta la legge di delega, conferita per la "razionalizzazione" di diverse ed ampie materie della pubblica amministrazione.

Del resto detta disciplina unitaria del sistema di controllo venne pienamente condivisa dal Parlamento, come risulta dal parere espresso sulla proposta governativa dei decreti in questione.

3. - In secondo luogo, la Regione denuncia l'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo n. 479 del 1993 per violazione dell'art. 76 della Costituzione: in supposto contrasto con la delega, attribuita con lo scopo di ridurre l'ambito oggettivo dell'attività di controllo, la disposizione impugnata ha incluso (lett. b) fra gli atti da sottoporre alla commissione anche i programmi, nonchè gli "atti integrativi o modificativi dei contenuti dei predetti provvedimenti ovvero che ne tengano luogo".

Con la conseguenza che - secondo la ricorrente - qualsiasi "puntuale" provvedimento regionale che disponga su singole situazioni e fattispecie (quali ad esempio l'approvazione di una modesta variante alla strumentazione urbanistica di un Comune) tornerebbe ad essere soggetto al controllo da parte dello Stato.

Inoltre il controllo sugli atti di cui alla lettera g) dell'art. 1 del decreto legislativo n. 40 del 1993, nel richiamare gli appalti non previsti in atti di programmazione, integrerebbe una fattispecie esorbitante rispetto alla delega.

4. - La prima censura non è fondata, la seconda è inammissibile.

Riguardo alla questione sollevata nei confronti della disposizione di cui alla lett. b), va osservato che il carattere di "atti fondamentali della gestione" previsto dalla norma di delega quale oggetto del controllo va agevolmente riscontrato in quelli precisati dalla norma delegata: "atti generali di indirizzo o di direttiva, piani anche territoriali, programmi ed altri atti integrativi o modificativi dei contenuti dei predetti provvedimenti".

Questi ultimi non comprendono evidentemente gli atti particolari o meramente attuativi, ma consistono nella integrazione o nella modifica degli atti generali di indirizzo, e quindi partecipano della stessa natura di programmazione generale.

Quanto alla censura relativa agli atti di cui alla lett.g) (appalti non previsti in atti di programmazione), deve rilevarsi che tale disposizione era contenuta nel decreto legislativo n. 40 del 1993, non modificata dal decreto n.479 del 1993, ed esula quindi dall'ambito di impugnazione di questo secondo decreto, oggetto della presente questione.

5. - Ulteriormente, ritiene la Regione che, dovendo il controllo sugli atti amministrativi regionali essere limitato alla mera legittimità, l'art. 1, primo comma, del decreto legislativo n. 479 del 1993 sarebbe in contrasto con gli artt. 125 e, di riflesso, 118, 115 e 76 della Costituzione, in quanto l'esclusione di "ogni valutazione di merito" dall'ambito del controllo non impedisce il riscontro dell'eccesso di potere dell'atto controllato: aspetto questo che, pur rientrando nel controllo di legittimità, consentirebbe tuttavia di sindacare il merito effettivo (valore-disvalore) delle scelte provvedimentali, cioé quella "valutazione della congruenza rispetto all'interesse pubblico" che la formulazione originaria del d.P.R. n. 40 intendeva sottrarre al controllo. Sotto quest'aspetto, il testo novellato risulterebbe, a parere della Regione ricorrente, aggravato e peggiorativo rispetto al precedente.

6. - Anche questa censura non merita accoglimento.

La questione va riguardata non sotto un generico profilo migliorativo o peggiorativo tra le due formule usate rispettivamente dal decreto n. 40 del 1993 e da quello n.479 del 1993, ma con riferimento all'ambito del controllo previsto dalla norma costituzionale.

Invero, l'art. 125, primo comma, della Costituzione, nel rimettere alle leggi della Repubblica il potere di stabilire i modi ed i limiti del controllo sugli atti amministrativi della Regione, fissa testualmente alcuni principi : a) che tale controllo "è esercitato in forma decentrata da un organo dello Stato"; b) che il controllo stesso è, in generale, quello di "legittimità", e solo eventualmente anche di merito, peraltro limitato ad una richiesta di riesame della deliberazione da parte del Consiglio regionale.

Ora l'attuale legislatore ordinario, escludendo allo stato il controllo di merito eccezionalmente previsto dalla norma costituzionale, ha confermato il controllo di legittimità; nel quale ambito, come è noto, è compreso, accanto allo scrutinio dei requisiti di competenza e della mancanza di altre violazioni di legge, anche quello che va sotto l'espressione, ben nota al sistema amministrativo, dell'eccesso di potere, riscontrabile in alcune figure sintomatiche da tempo elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

Tale istituto -la cui origine si fa risalire al sistema amministrativo francese, all'interno del quale esso si configurava come tipico vizio di legittimità- fu recepito per la prima volta dal legislatore italiano nell'art. 3 della legge 31 marzo 1877, n. 3761, e, successivamente, nella legge 31 marzo 1889, n. 5992, ed è ormai acquisito ed ascritto all'ambito del controllo di legittimità.

In tale prospettiva, il decreto legislativo in esame, non escludendo l'eccesso di potere dall'ambito di detto controllo, non fa che ribadire una scelta consolidata da tempo, senza alcuna violazione dei parametri costituzionali invocati.

7. - Non fondata, nei sensi di cui in motivazione, è anche la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Regione ricorrente nei confronti dell'art. 2, primo e secondo comma, del decreto legislativo n.479 del 1993, per l'effetto del complessivo testo risultante dal combinato disposto con l'art. 2, primo e terzo comma, del decreto legislativo n. 40 del 1993, nella parte in cui attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta di un comitato tecnico, l'adozione di "criteri procedurali".

La disposizione in questione trae la propria ragione specifica nel disposto contenuto nella norma delegante (art. 2, primo comma, lett.h), della legge n. 421 del 1992), con cui viene dettato al Governo il principio direttivo rappresentato dall'esigenza di "garantire l'uniformità dei criteri di esercizio del controllo". Il legislatore delegante non ha dato ulteriori specificazioni, nè la formulazione della norma delegata in realtà appare sufficientemente univoca. Essa tuttavia è suscettibile di una interpretazione secundum constitutionem che soddisfi in modo adeguato esigenze di giustizia e di buona amministrazione.

8. - Al riguardo, non può essere ignorata la necessità di individuare misure atte a favorire un esercizio del controllo in questione tale da evitare diversità di metodologie da regione a regione. Questa esigenza deve tuttavia essere bilanciata con il rispetto dell'indipendenza delle commissioni in oggetto, inscindibilmente connessa alla natura della funzione da esse svolta.

Siffatto bilanciamento impone pertanto di interpretare i "criteri procedurali", che secondo la disposizione in oggetto devono essere indicati dal Presidente del Consiglio dei ministri, non nel senso di direttive di ordine politico- amministrativo, incidenti sul contenuto sostanziale dell'attività svolta dalle commissioni, quanto invece nel senso di indirizzi di coordinamento limitati ad attività di informazione e di circolazione delle valutazioni assunte dalle predette commissioni, e finalizzati a favorire l'omogeneità delle metodologie, con l'auspicabile riduzione dell'eccessiva disparità dei risultati.

Tale precisazione ermeneutica appare in sintonia sia con il disposto di cui al terzo comma dell'art. 2, che collega l'individuazione di detti criteri alla "massimazione delle decisioni degli organi di controllo" e degli "orientamenti giurisprudenziali emersi in occasione delle pronunce" delle commissioni, sia con lo spirito dell'innovazione introdotta dal decreto legislativo n. 479 rispetto al decreto n. 40, che ha sostituito appunto l'espressione "criteri procedurali" a quella precedente di "direttive".

Quanto al comitato tecnico di cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 40 del 1993, esso è un organo collegiale che svolge la funzione di osservatorio a livello nazionale e continuativo sui "criteri di esercizio del controllo" da parte delle commissioni regionali (di cui all'art. 2 lett.h della legge delega n. 421 del 1992), ed è, quindi, qualificato a proporre al Presidente del Consiglio dei ministri l'indicazione di quei criteri di coordinamento tecnico per mettere le commissioni stesse in condizione di evitare le lamentate eccessive difformità, secondo il testuale proposito del legislatore delegante.

9. - L'ultima questione di legittimità costituzionale investe la normativa relativa alla composizione delle commissioni di controllo, definita dall'art. 3 del decreto legislativo n. 479 del 1993. Lamenta in particolare la Regione:

a) l'appartenenza settoriale dei funzionari dell'amministrazione dello Stato (prevista dal quarto comma) che, dovendo coincidere con l'appartenenza settoriale dei corrispondenti dirigenti che fanno parte del comitato tecnico, creerebbe una subordinazione gerarchica di ciascun commissario al proprio omologo;

b) la collocazione fuori ruolo e la dispensa da ogni obbligo di servizio dei componenti le commissioni (stabilita dal quinto comma), che rappresenterebbero fattori di insopprimibile stimolo a conseguire il rinnovo nel rispettivo incarico;

c) la previsione di una vicepresidenza vicaria (sesto comma), attribuita di diritto ad uno dei tre funzionari della amministrazione centrale dello Stato, in quanto tale attribuzione è ricondotta all'art.13, quinto comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che ha per oggetto le funzioni e le responsabilità di amministrazione attiva, le quali sarebbero tutt'altra cosa rispetto alla attività di controllo di legittimità degli atti;

d) il limite di validità delle deliberazioni di ciascuna commissione, stabilito dal settimo comma in quattro membri, che si tradurrebbe nella tassativa predeterminazione di una maggioranza effettiva di funzionari dell'amministrazione dello Stato, tenuto conto che in caso di parità prevale il voto del Presidente.

A seguito di tali considerazioni, ritiene complessivamente la Regione ricorrente che il controllo diverrebbe estrinsecazione gerarchizzata di amministrazione attiva, in contrasto con gli artt. 125, 118 e 115 della Costituzione.

10. - Sebbene le questioni in oggetto siano poste dalla Regione in termini poco puntuali con riguardo ai parametri costituzionali da ritenere violati, la censura può sfuggire ad una preliminare inammissibilità, ed essere di conseguenza esaminata nel merito, interpretando nei termini che si indicheranno le censure mosse alle disposizioni impugnate.

Procedendo a questo esame, appare evidente l'infondatezza delle doglianze sulla composizione delle commissioni anzidette, in base alla considerazione preliminare che esse sono, come vuole l'art. 125 della Costituzione, organi dello Stato: in forza di ciò, sembra quindi giustificato che nella loro composizione si riscontri la prevalenza di commissari provenienti dell'amministrazione dello Stato, e che, d'altra parte, la partecipazione di esperti designati dal Consiglio regionale sia numericamente limitata, ad evitare pericoli di commistione fra controllori e controllati, come fu osservato in sede di lavori parlamentari.

Sempre in relazione alla componente della commissione rappresentata da soggetti provenienti dall'amministrazione dello Stato, va escluso che la loro (peraltro eventuale) inferiore posizione gerarchica rispetto ai componenti del comitato tecnico (di cui all'art. 2 del decreto legislativo n. 40 del 1993), possa avere incidenza sul controllo esercitato dalla commissione. Infatti, a parte le garanzie relative alla funzione in oggetto (che è, come detto, inerente ad un controllo di legittimità), ed alla collegialità dell'organo chiamato ad esercitarla, decisivo appare il rilievo sopra indicato con riferimento ai poteri del comitato tecnico ed all'interpretazione da dare all'espressione "criteri procedurali".

Quanto inoltre alla collocazione fuori ruolo dei componenti della commissione, si tratta di un sistema inteso ad ottenere il massimo impegno ed a favorire più che a pregiudicare la loro indipendenza;

parimenti dicasi per il fatto che la composizione della Commissione viene rinnovata ogni tre anni (art. 3, secondo comma, del decreto legislativo n.479 del 1993).

In ordine, poi, alle funzioni di vice-presidente vicario, deve richiamarsi quanto già detto circa l'indicazione costituzionale sulla natura di dette commissioni, ed osservarsi che il controllo, pur limitato alla legittimità, può essere bene esercitato anche da funzionari provenienti dall'amministrazione attiva, insieme ad un magistrato della Corte dei conti e ad un esperto, senza che ciò significhi - ovviamente - alterare la natura del controllo stesso.

Infine, il limite di validità delle deliberazioni della commissione, a prescindere da altre considerazioni, è previsto, non -come fa intendere la ricorrente- in relazione al numero dei voti necessario perchè la deliberazione sia valida, bensì ai fini della regolarità della seduta, richiedendosi la presenza di almeno quattro dei sei componenti. Ciò appare ragionevole anche in coerenza con le regole generali di funzionamento degli organi collegiali; nè si ravvisa in questo alcuna violazione delle norme costituzionali invocate. Per soddisfare le esigenze indicate dalla ricorrente, sarebbe necessario prevedere come condizione di validità della seduta la presenza del componente designato dal Consiglio regionale: ma a parte la considerazione che una siffatta previsione attribuirebbe a detto commissario una sorta di potere di veto in ordine allo svolgimento dell'attività della commissione, va rilevato come tale situazione non sia imposta da alcuna delle norme costituzionali invocate, e la relativa questione sia pertanto non fondata.

Conclusivamente, con i chiarimenti ermeneutici sopra esposti, le questioni sollevate dalla Regione Lombardia risultano infondate, ed il ricorso deve essere pertanto respinto.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'intero decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 479 (Norme correttive del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, recante revisione dei controlli dello Stato sugli atti amministrativi delle regioni), sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, lett. b), del decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 479, sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, del decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 479, per l'effetto del complessivo testo risultante dal combinato disposto con l'art. 1, primo comma, del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, relativamente alla lettera g), sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo comma, del decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 479, sollevata, in riferimento agli artt. 125, 118, 115 e 76 della Costituzione dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo e secondo comma, del decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 479, sollevata, in riferimento agli artt.125, 118, 115 e 76 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, quarto, quinto, sesto e settimo comma, del decreto legislativo 10 novembre 1993, n. 479, sollevata, in riferimento agli artt. 125, 118, 115 e 76 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/07/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 25 Luglio 1994.