Ordinanza n.326 del 1994

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ORDINANZA N. 326

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 585, secondo comma, lett. c), del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'8 novembre 1993 dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Cudia Mariano, iscritta al n. 71 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.11, prima serie speciale dell'anno 1994;

Udito nella Camera di consiglio del 22 giugno 1994 il Giudice relatore Enzo Cheli;

Ritenuto che nel corso del procedimento penale nei confronti di Cudia Mariano, la Corte d'Appello di Reggio Calabria, con ordinanza dell'8 novembre 1993 (R.O. n.71/1994), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 585, secondo comma, lett. c) del codice di procedura penale;

che nell'ordinanza di rimessione si premette che con dispositivo letto all'udienza del 18 maggio 1992 il Tribunale di Reggio Calabria aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato per intervenuta amnistia; che la sentenza era stata depositata il successivo 11 giugno 1992, senza che in seguito fosse notificato avviso all'imputato ed ai suoi difensori; che nel corso del giudizio di appello - proposto dal difensore dell'imputato in data 16 ottobre 1992 - i difensori delle parti civili avevano eccepito l'inammissibilità dell'appello dell'imputato sotto il profilo della sua tardività, e ciò alla stregua dell'art.585, secondo comma, lett. c), del vigente codice di procedura penale, secondo il quale il termine per proporre appello decorre dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza, ovvero, nel caso previsto dall'art.548, secondo comma, dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione e la comunicazione dell'avviso di deposito;

che, secondo il giudice a quo, con la locuzione "termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza", contenuta nella norma impugnata, il legislatore fa riferimento, rispettivamente, ai termini di cui al secondo e terzo comma dell'art.544 del codice di procedura penale, mentre l'originario termine di trenta giorni, previsto dall'art. 544, secondo comma, per il deposito della sentenza, ove la stesura della motivazione non sia stata coeva alla lettura del dispositivo, è stato successivamente ridotto dall'art. 6 del decreto-legge 1° marzo 1991, n. 60, convertito dalla legge 22 aprile 1991, n. 133, a quindici giorni;

che, sempre ad avviso del giudice remittente, a causa del mancato adeguamento del termine di trenta giorni indicato dall'art. 548, secondo comma, del codice di procedura penale al termine di quindici giorni previsto per il deposito della sentenza dall'art. 544, secondo comma, del medesimo codice, l'art. 585, secondo comma, lett. c), impugnato darebbe vita ad una irragionevole disciplina uniforme di situazioni tra loro differenti, facendo decorrere il termine di impugnazione della sentenza dal 15° giorno dalla lettura del dispositivo anche nell'ipotesi di deposito della motivazione avvenuto in epoca compresa fra il 15° e il 30° giorno da tale lettura, con una conseguente lesione del diritto di difesa connesso al fatto che - sempre nell'ipotesi di deposito della sentenza tra il 15° e il 30° giorno - non sarebbe richiesta la notificazione dell'avviso di deposito alle parti private, in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Considerato che la Corte, con la sent. n. 364 del 1993, esaminando una questione analoga a quella sollevata nel presente giudizio, ha già affermato - con riferimento alla incongruenza venutasi a creare a causa della mancanza di coordinamento normativo tra il nuovo testo dell'art. 544, secondo comma, del codice di procedura penale (come modificato dall'art. 6 del decreto-legge n. 60 del 1991, convertito dalla legge n. 133 del 1991), e l'art. 548, secondo comma, del medesimo codice - che le incertezze che derivano da tale mancato coordinamento sono state superate dall'univoco indirizzo interpretativo adottato in merito dalla Corte di cassazione, che ha operato una ricostruzione sistematica della normativa in questione giungendo ad affermare che la revisione dell'art. 544, secondo comma, introdotta dall'art. 6 del decreto-legge n. 60 del 1991 ha anche modificato, in senso conforme, l'art. 548, secondo comma, con la conseguenza che "l'avviso di deposito deve essere effettuato quando la sentenza non è depositata entro il quindicesimo giorno, invece dell'originario trentesimo giorno" (Cass.Sez. V, 8 febbraio 1993; Cass. Sez. I, 4 dicembre 1992);

che questa Corte nella sentenza citata ha conseguentemente affermato che secondo il diritto vivente la normativa richiamata "non ha l'effetto di ridurre il termine di trenta giorni per impugnare assegnato alle parti dall'art. 585, primo comma, lett. b) del codice di procedura penale poichè - nel caso di sentenza non contestualmente motivata e depositata oltre il quindicesimo giorno dalla pronuncia - va comunque notificato alle parti stesse (e comunicato al pubblico ministero) l'avviso di deposito, mentre il termine per l'impugnazione decorre dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione (o la comunicazione) dell'avviso stesso";

che, pertanto, l'art, 585, secondo comma, lett. c), del codice di procedura penale non lede il diritto di difesa, sancito dall'art. 24 della Costituzione, dal momento che, diversamente da quanto sostenuto nell'ordinanza di rimessione, l'obbligo di notifica alle parti dell'avviso di deposito della sentenza sussiste anche nell'ipotesi in cui questa sia depositata in epoca compresa tra il quindicesimo e il trentesimo giorno dalla lettura del dispositivo;

che la stessa norma non risulta neppure lesiva del principio di uguaglianza, dal momento che, per quanto affermato nella richiamata sentenza n. 364 del 1993, il termine per impugnare, nel caso di sentenza depositata oltre il quindicesimo giorno dalla pronuncia, comincia comunque a decorrere dal giorno in cui è stato notificato alla parte l'avviso di deposito, con la conseguenza che non si verifica la disparità lamentata dal giudice remittente in ordine alla decorrenza del termine di impugnazione;

che, pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 585, secondo comma, lett. c), del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/07/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 20 Luglio 1994.