Sentenza n. 284 del 1994

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SENTENZA N. 284

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 468, primo comma, 567, secondo comma, e 495, terzo comma, del codice di procedura penale, pro mosso con ordinanza emessa il 30 aprile 1993 dal Pretore di Padova nei procedimenti penali riuniti a carico di Falaguasta Ferdinando, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visto l'atto di costituzione di Falaguasta Ferdinando nonchè l'atto di intervento del Presi dente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 7 giugno 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Pretore di Padova ha ritenuto rilevante, e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 468, primo comma, 567, secondo comma e 495, terzo comma del codice di procedura penale: il primo (art. 468, primo comma) nella parte in cui non prevede le locuzioni "o l'ammissione dei documenti", dopo il termine "consulenti tecnici" e "e dei documenti", dopo il termine "esame"; il secondo (art.567, secondo comma) nella parte in cui non prevede la locuzione "e dei documenti", dopo l'indicazione dell'art. "468"; il terzo (art. 495, terzo comma) nel suo insieme.

 

2. Nel corso di un giudizio per violazione delle norme sulla tutela delle acque pubbliche ed altri reati connessi, la parte civile ha chiesto, subito dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, l'ammissione come documenti di ulteriori analisi e relazioni eseguite da un laboratorio privato.

 

Il Pretore, nel ritenere l'ammissibilità di detti documenti, si è posto il problema della legittimità della norma da applicare per provvedere in merito: l'art. 567, secondo comma, e le disposizioni ad esso connesse (art.495, terzo comma e 468 del codice di procedura penale). Osserva il remittente che l'attuale disciplina sulle modalità di introduzione di documenti in giudizio prevede che essi siano presentati direttamente al dibattimento ai sensi dell'art. 493 (o 567, nel caso di giudizio pretorile) senza che sia stato previsto, per essi, uno "sbarramento" di ammissibilità ex art. 468, come per gli altri mezzi di prova. Ad avviso del remittente, il legislatore, in tal modo, avrebbe attribuito alle parti la facoltà di esaminare i documenti di cui è chiesta l'ammissione quando esse so no ormai decadute sia dalla possibilità di allarga re il tema di prova in relazione al contenuto dei documenti producendi, sia dalla possibilità di operare scelte processuali fondamentali (quale quella dell'applicazione della pena su richiesta ex art.444). Ciò comporterebbe una disparità di tratta mento che appare particolarmente evidente nel caso in cui la produzione documentale provenga dalle parti private: mentre i documenti utilizzabili del pubblico ministero sono in gran parte noti alle altre parti, essendo già contenuti nel suo fascicolo, dell'esistenza dei documenti in possesso delle parti private si può venire a conoscenza solo dopo che esse, ex art. 493, secondo comma, ne abbiano chiesto l'ammissione. L'effetto di detta disciplina è, ad avviso del Pretore di Padova, che l'esercizio della facoltà riconosciuta dal terzo comma dell'art. 495, di esaminare i documenti dei quali viene chiesta l'ammissione, risulterebbe meramente formale risolvendosi solo nella "possibilità di improvvisare una contestazione di ammissibilità non già nella possibilità di adeguatamente difendersi". Tutto ciò violerebbe il principio di eguaglianza e (quando la cosa si risolva in un pregiudizio per la difesa) anche quello di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

 

Il remittente conclude auspicando una estensione della disciplina prevista nell'art. 468 (per la citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici) anche al regime di ammissione in giudizio di documenti. Detto risultato andrebbe conseguito mediante una declaratoria di illegittimità di tutto il terzo comma dell'art. 495, dell'art. 468 primo comma (nella parte in cui non prevede le locuzioni "o l'ammissione dei documenti" dopo il termine "consulenti tecnici", e "e dei documenti" dopo il termine "esame"), e dell'art. 567 secondo comma nella parte in cui non contiene la locuzione "e dei documenti" dopo le parole "articolo 468".

 

3. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

 

Rileva la difesa del Governo che indubbiamente la normativa disciplina in modo diverso la procedura di ammissibilità della prova per testimoni, periti e consulenti tecnici rispetto a quella documentale.

 

Nel primo caso l'art. 468 impone alle par ti che intendono chiedere l'ammissione di quei mezzi di prova di formalizzare detto intento, a pena di inammissibilità, depositando la lista almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, specificando le circostanze sulle quali i testi dovranno essere sentiti. Il codice non detta, invece, una disciplina specifica per le produzioni documentali. La giurisprudenza e la dottrina sembrano concordi nel ritenere che, non essendo i documenti ricompresi nella previsione dell'art. 468, il primo momento utile nel quale richiederne l'ammissione vada individuato in quello in cui, subito dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, ciascuna parte formula le proprie richieste di pro va (art. 493). Successivamente (art. 495, primo comma), il giudice decide sull'ammissibilità delle richieste. Anche in questo caso la disciplina è generica, ed è solo nel terzo comma dello stesso articolo che il legislatore si occupa della produzione documentale prevedendo, per le parti diverse da quella che ha chiesto l'ammissione del documento, la facoltà di interloquire.

 

La diversità di disciplina fra la prova per testimoni e quella documentale sarebbe quindi evi dente. Tuttavia, ad avviso dell'Avvocatura, non può essere questo solo dato a legittimare dubbi di costituzionalità.

 

Per quanto attiene al profilo della violazione dell'art. 3 della Costituzione, l'Avvocatura rammenta che questa Corte in numerose pronunce ha affermato che il principio di uguaglianza postula l'omogeneità delle situazioni giuridiche messe a confronto, e non può essere invocato nè quando si tratti di situazioni intrinsecamente eterogenee, nè quando le situazioni a confronto abbiano delle affinità, purchè la diversa normativa non risulti irragionevolmente discriminatoria.

 

Nel caso in esame, ad avviso dell'Avvocatura, la diversità della disciplina inciderebbe su situazioni affini ma distinte e, anzi, la diversificazione risulterebbe giustificata da un'intrinseca razionalità.

 

L'imposizione alle parti di un termine anticipato per la presentazione della lista di testimoni periti e consulenti tecnici, con relativa indicazione specifica delle circostanze sulle quali tali soggetti saranno chiamati a deporre, risponde perfettamente, secondo la difesa del Governo, ai principi ispiratori del nuovo codice in ordine alla piena dialettica processuale fra le parti. Il fatto che ciò avvenga solo per taluni mezzi di prova (e non anche per le prove documentali) trova idonea motivazione nella stessa diversità ontologica dei mezzi di prova a confronto (l'una basata su testimoni, l'altra su documenti).

 

4. Ha depositato atto di costituzione in giudizio Falaguasta Ferdinando, imputato nel giudizio a quo, limitandosi a dedurre anch'egli l'illegittimità costituzionale delle norme medesime.

 

Considerato in diritto

 

1. Il Pretore di Padova solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 468, primo comma, 567, secondo comma, e 495, terzo comma, del codice di procedura penale:" il primo (art. 468, primo comma) nella parte in cui non prevede la locuzione "o l'ammissione dei documenti", dopo il termine "consulenti tecnici", e "e dei documenti", dopo il termine "esame"; il secondo (art. 567, secondo comma) nella parte in cui non prevede la locuzione "e dei documenti" dopo l'indicazione dell'art. "468"; il terzo (art. 495, terzo comma) nel suo insieme".

 

2. In sintesi il giudice remittente ritiene che la disciplina risultante dalle norme impugnate, in quanto non prevede che anche la richiesta di ammissione di documenti segua il medesimo regime previsto dall'art.468 del codice di procedura penale (o dall'art. 567 per il giudizio pretorile), per la richiesta di esame di testimoni, periti e consulenti, (e cioé mediante il deposito della lista dei documenti di cui si richiede l'ammissione almeno sette giorni - o due, ex art. 567 - prima della data fissata per il dibattimento) contrasti: - con l'art. 3 della Costituzione: per irragionevole disparità di trattamento tra mezzi di prova di eguale valenza; nonchè per violazione del principio di eguaglianza tra le parti (mentre le parti private conoscono il contenuto del fascicolo del pubblico ministero, non altrettanto il pubblico ministero conosce della documentazione in possesso di queste);- con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione: per l'impossibilità di valutare compiutamente tutte le scelte difensive a fronte di una prova documentale introdotta senza preavviso (con parti colare riferimento alla possibilità di richiedere il patteggiamento o di opporsi all'ammissibilità della prova).

 

3. La questione non è fondata.

 

Occorre premettere che è stata già sottoposta al giudizio della Corte, e decisa con la sentenza n. 203 del 1992, analoga fattispecie processuale riguardante la posizione di eventuale svantaggio in cui può trovarsi chi vede ammessa l'acquisizione di prove richieste da altra parte per la prima volta in sede dibattimentale (art.493, terzo comma: "quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente") senza avere la possibilità di usufruire di un termine per esaminare le deduzioni avversarie ed approntare un'idonea linea difensiva o accusatoria.

 

La citata decisione ha chiaramente affermato che l'esigenza di esaminare adeguatamente le prove indicate dalle altre parti, al fine di opporsi all'ammissione delle stesse o di dedurre prova contraria, integra senz'altro una di quelle "ragioni di assoluta necessità" che abilita il giudice a disporre, ai sensi dell'art. 477, secondo comma, del codice di procedura penale, la sospensione del di battimento per il tempo occorrente a soddisfare adeguatamente, caso per caso, l'esigenza stessa.

 

Non vi sono motivi perchè, anche nel caso in esame, l'allegata difficoltà di esaminare le prove documentali di cui è chiesta l'ammissione non possa essere agevolmente superata dalla concessione di un termine ex art.477, secondo comma, nei sensi indicati dalla citata sent. n. 203 del 1992.

 

4. Anche la lamentata impossibilità per l'imputato di scegliere un rito alternativo (ad es.: patteggiamento) ove, di fronte ad un documento a sorpresa, debba ravvisarne la convenienza, deve ritenersi censura inconsistente: la Corte ha già espresso il principio che spetta all'imputato valutare la convenienza per un rito alternativo o per il dibattimento "onde egli non ha che da addebita re a sè medesimo la conseguenza della propria scelta" (sent. n. 316 del 1992;  cfr. anche sent. n. 129 del 1993). Ed è in questa valutazione che egli dovrà considerare l'eventualità che in dibattimento possano emergere fisiologicamente nuove contestazioni o, come nel caso, nuove prove.

 

5. Del pari inconsistente è il rilievo sull'allegata disparità di trattamento (mentre le parti private conoscono il contenuto del fascicolo del pubblico ministero, non altrettanto quest'ultimo può conoscere della documentazione in possesso di queste); per quanto si è ora esposto, una volta garantito per tutte le parti in giudizio il diritto alla controprova (art. 495, secondo comma, e art.468, quarto comma) ed un congruo termine per esercitarlo, la preventiva conoscenza da parte dell'imputato del contenuto del fascicolo del pubblico ministero, lungi dal costituire un privilegio, rappresenta una elementare garanzia dell'esercizio del diritto di difesa; nè può dirsi che la prova testimoniale non abbia, rispetto alla prova documentale, delle peculiari caratteristiche tali da giustificare una presentazione delle relative liste prima del dibattimento: si tratta infatti di indicare non solo i nomi dei testi ma anche le circostanze di fatto prospettate, di modo che la controparte, per difendersi adeguatamente, sia posta in grado di reperire e chiedere la citazione a prova contraria di altri testi, e questo proprio in funzione dell'attività che dovrà essere svolta davanti al giudice per l'assunzione delle prove.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 468, primo comma, 567, secondo comma, e 495, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione dal Pretore di Padova con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzione, Palazzo della Consulta, il 23/06/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Mauro FERRI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 06/07/94.