Sentenza n. 281 del 1994

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SENTENZA N. 281

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), promosso con ordinanza emessa l'11 gennaio 1993 dal Tribunale per i minorenni di Genova sull'istanza proposta da Parodi Roberto ed altra, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.14, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

Ritenuto in fatto

1. - Chiamato a giudicare sull'ammissibilità della domanda di adozione nazionale ed internazionale presentata in data 30 maggio 1992 dai coniugi Roberto Giovanni Parodi e Anna Laura Burattini, il Tribunale per i minorenni di Genova ha sollevato, con ordinanza emessa l'11 gennaio 1993, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione.

In fatto, rileva il Tribunale che i coniugi istanti, regolarmente coniugati dal giorno 26 marzo 1992, non possono aver accolta la domanda de qua, richiedendo la disposizione impugnata un minimo di tre anni di matrimonio.

Il giudice a quo rileva tuttavia che il Parodi e la Burattini deducono di essere conviventi dal 17 marzo 1982, come risultante dai certificati di convivenza e di residenza storici allegati all'istanza. Poiché l'art. 6 della legge prevede come condizione per l'idoneità degli adottanti la durata triennale post- matrimoniale e non della convivenza, il Tribunale solleva la suddetta questione di costituzionalità, nella parte in cui la disposizione impugnata "non consente di dare rilevanza, nei confronti dei coniugi uniti in matrimonio, alla durata della pregressa stabile e prolungata convivenza more uxorio comprovata dalle acquisizioni documentali".

A parere del giudice a quo, la norma si porrebbe in contrasto con l'art.2 della Costituzione, in quanto detta disposizione non tutela sufficientemente la famiglia di fatto come formazione sociale, e con l'art.3 della Costituzione, in quanto verrebbero disciplinate in modo diverso le coppie che, accomunate dal fatto di essere unite in matrimonio, dovrebbero ricevere analoga forma di tutela anche relativamente alla materia delle procedure adozionali. Rileva infatti il giudice a quo che, pur dovendosi riconoscere diversità tra la famiglia di fatto e quella legittima, appare tuttavia irragionevole un trattamento differenziato tra una coppia di coniugi unita in matrimonio da due mesi, e tuttavia forte di una convivenza more uxorio protrattasi senza interruzione per dieci anni, ed una coppia di coniugi che al momento della presentazione della domanda al Tribunale possano vantare esclusivamente il requisito del richiesto triennio matrimoniale.

2. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione sotto entrambi i profili prospettati dall'ordinanza di rimessione.

In relazione al presunto contrasto con l'art. 2 della Costituzione, osserva la difesa erariale che, sebbene sia da riconoscere alla famiglia di fatto la dignità di formazione sociale, é viceversa da escludersi la configurabilità di un diritto (inviolabile) dei richiedenti ad ottenere un provvedimento positivo di adozione, essendo tale istituto finalizzato principalmente ad assicurare la più conveniente forma di assistenza ai minori abbandonati. Quanto alla ritenuta violazione dell'art. 3 della Costituzione, la difesa erariale rileva la non equiparabilità tra famiglia di fatto e famiglia legittima, essendo indubitabile che la Costituzione, pur non negando qualche considerazione per forme naturali di rapporto di coppia diverse dalla struttura giuridica del matrimonio, riconosce una dignità superiore alla famiglia legittima.

In merito infine al rilievo mosso dal giudice a quo circa la razionalità della disposizione impugnata, osserva l'Avvocatura dello Stato che il requisito della durata almeno triennale del rapporto matrimoniale non é richiesto solo come garanzia di stabilità, ma anche "come garanzia che il comune progetto di disponibilità all'adozione nasca anche in relazione all'esperienza maturata per un dato tempo in ordine al fatto primario della filiazione secondo natura in costanza di matrimonio".

È per questo che l'istituto é stato modellato dal legislatore in forma quanto più possibile vicina alla struttura di una famiglia regolare, sulla base del principio della imitatio naturae: ed il termine di tre anni rappresenta pertanto il periodo minimo durante il quale il progetto di famiglia formulato in comune dai coniugi può maturare anche a seguito dell'esperienza avuta ed ai propositi di vivere stabilmente insieme in un nucleo vincolato dal diritto.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale per i minorenni di Genova dubita della legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori) nella parte in cui dispone che ai fini dell'idoneità ad adottare gli aspiranti siano uniti in matrimonio da almeno tre anni. A parere del giudice a quo, si ravviserebbe un contrasto con l'art. 2 della Costituzione, per violazione della tutela che deve riconoscersi alla famiglia di fatto come formazione sociale, e con l'art. 3, per disparità di trattamento e irragionevolezza, posto che la tenuta di coppia dei coniugi da poco tempo sposati, ma conviventi da dieci anni, appare superiore a quella offerta da coniugi uniti in matrimonio da un triennio.

2. - Va premesso che la Convenzione in materia di adozione dei minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 (alla quale l'Italia ha dato esecuzione con legge 22 maggio 1974, n. 357) stabilisce che quando sia una coppia a far domanda di adozione, essa sia unita in matrimonio (art. 6), e che compito delle autorità competenti é di provvedere "a che l'adozione procuri al minore un ambiente familiare stabile ed armonioso" (art. 8).

La norma della legge italiana n. 184 del 1983 recepisce tale indicazione, ed é coerente col principio, riconosciuto da questa Corte (sentenze n. 89 del 1993; n. 310 del 1989; n. 404 del 1988; nn. 198 e 237 del 1986; n. 11 del 1981; n. 45 del 1980), secondo cui l'istituto dell'adozione é finalizzato alla tutela prevalente dell'interesse del minore. Tale principio comporta, fra l'altro, che, ai fini della complessa opera di selezione dei soggetti idonei a svolgere il delicatissimo compito di educare ed accogliere un bambino abbandonato, costituisce criterio fondamentale quello che la doppia figura genitoriale sia unita dal "vincolo giuridico che garantisce stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività di diritti e doveri del nucleo in cui il minore sarà accolto" (sentenza n. 310 del 1989).

Il giudice a quo non pone in discussione sul punto la scelta adottata dal legislatore italiano, che, al pari di numerosi legislatori europei, intende il matrimonio, a tal fine, non solo come "atto costitutivo" ma anche come "rapporto giuridico", vale a dire come vincolo rafforzato da un periodo di esperienza matrimoniale, in cui sia perdurante la volontà di vivere insieme in un nucleo caratterizzato da diritti e doveri. Né l'ordinanza di rimessione lamenta che il criterio dei tre anni successivi alle nozze si configuri come requisito minimo presuntivo a dimostrazione della stabilità del rapporto matrimoniale, giustificato dall'esigenza di rafforzare il delicato compito del Tribunale nella scelta delle coppie più idonee all'adozione, con la precisazione legale di criteri il più possibile obiettivi ed uniformi.

3. - Il giudice a quo pone invece una diversa questione di legittimità costituzionale, legata alla prospettazione sulla fungibilità al triennio post-matrimoniale di un uguale o superiore periodo -anteriore al matrimonio- di convivenza more uxorio: dubita infatti il giudice rimettente che l'esclusione di tale fungibilità ponga la disposizione in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione.

In relazione al primo parametro invocato la questione é infondata.

Non si può invero ravvisare la violazione dell'art. 2 della Costituzione, atteso che, da un lato, l'aspirazione dei singoli ad adottare non può ricomprendersi tra i diritti inviolabili dell'uomo, e, dall'altro, che anche qualificando la famiglia di fatto come formazione sociale, non per questo deriverebbe che alla stessa sia riconosciuto il diritto all'adozione, come previsto per la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 della Costituzione: cfr. sentenza n. 310 del 1989, n.404 del 1988, n.237 del 1986).

La questione é invece inammissibile in ordine alla denunziata violazione dell'art. 3 della Costituzione. Al riguardo il giudice a quo rileva che, se "lo scopo della norma é quello di poter fare affidamento su potenziali genitori forti di un rapporto di coppia già sperimentato come stabile", la tenuta della coppia sposata da poco tempo, ma garantita da un lungo periodo precedente di convivenza potrebbe risultare "superiore a quella offerta da coniugi uniti in matrimonio da più di tre, cinque o sette anni". Di qui la doglianza di discriminazione irragionevole.

4. - In proposito questa Corte non può ignorare, per un verso, il sempre maggiore rilievo che, nel mutamento del costume sociale, sta acquistando la convivenza more uxorio, alla quale sono state collegate alcune conseguenze giuridiche (cfr. sentenza n. 404 del 1988). Né può per altro verso negarsi validità alla suggestiva considerazione che, proprio ai fini della tutela dell'interesse del minore, la solidità di una vita matrimoniale potrebbe risultare, oltre che da una convivenza successiva alle nozze protratta per alcuni anni, anche da un più lungo periodo, anteriore alle nozze, caratterizzato da una stabile e completa comunione materiale e spirituale di vita della coppia stessa, che assuma poi col matrimonio forza vincolante.

Pertanto, fermo restando questo primo e indeclinabile presupposto matrimoniale (con i diritti e doveri che ne conseguono), la scelta potrebbe, eventualmente, cadere anche su coniugi sposati da meno di tre anni, ma con una consistente convivenza more uxorio precedente alle nozze.

Tuttavia, affinché l'esercizio di questo potere di scelta sia garantito da una certa uniformità di ponderato comportamento su tutto il territorio nazionale, tale da evitare, nella delicata materia de qua, possibili disparità di trattamento tra adottandi o tra coniugi, occorrerebbe definire alcuni criteri oggettivi, svolgenti l'analoga funzione sopra ricordata del triennio di convivenza matrimoniale, in ordine -ad esempio- alla durata ed alle caratteristiche del rapporto, soprattutto affinchè la convivenza non sia meramente occasionale, ma prodromica alla creazione di un "ambiente familiare stabile e armonioso" (cfr. anche sentenza n. 184 del 1994).

Ma ciò appartiene alla competenza del legislatore, cui spetta operare scelte così complesse attraverso una interpretazione combinata di diversi elementi e valori di una società in continua evoluzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.6, primo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), sollevata, in riferimento all'art. 2 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/06/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 06/07/94.