Sentenza n. 280 del 1994

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SENTENZA N. 280

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 549 e 21, terzo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 febbraio 1993 dal Pretore di Trento - sezione distaccata di Cles - nel procedimento penale a carico di Nava Gianfranco, iscritta al n. 426 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 18 febbraio 1993 il Pretore di Trento, sezione distaccata di Cles, ha sol levato questione di legittimità costituzionale degli artt. 549 e 21, terzo comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono, nel processo pretorile, che possa proporsi eccezione di incompetenza per territorio, determinata dalla connessione, nei casi in cui il pubblico ministero ha contestato in udienza all'imputato ex art. 517 del codice di procedura penale un reato connesso, tale da determinare l'incompetenza del giudice adito ai sensi dell'art. 16 del codice di procedura penale".

Rileva il giudice a quo che l'art. 21, terzo comma, del codice di procedura penale dispone un termine di decadenza per le eccezioni di incompetenza territoriale determinata dalla connessione, le quali possono proporsi, a norma del richiamato art. 21, secondo comma, solo per il caso in cui manchi l'udienza preliminare (come nel giudizio pretorile), entro il termine previsto dall'art.491, primo comma, del codice di procedura penale.

In ipotesi di contestazione suppletiva di un reato connesso, ex art. 517 del codice di procedura penale, il cennato termine è necessariamente spirato, e la legge non prevede la possibilità di pro porre un'eccezione di incompetenza tardiva, resasi necessaria come reazione alla contestazione in di battimento di fatti tali da determinare l'incompetenza del giudice. Per altro verso il codice non contiene regole da cui si desuma la necessaria perpetuatio iurisdictionis del giudice che procede, a fronte di modifiche dell'imputazione.

Pertanto la lacuna normativa, ad avviso del remittente, si traduce nella impossibilità incolpevole per la difesa dell'imputato di sollevare l'eccezione di rito, a pena di incorrere in una dichiarazione di inammissibilità della stessa perchè tardiva.

Ciò premesso, il Pretore ritiene che la suesposta disciplina si ponga in contrasto in primo luogo con l'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevolezza della limitazione dell'esperibilità dell'eccezione ai soli casi in cui il reato che de termina incompetenza per territorio è contestato fin dall'inizio nel decreto che dispone il giudizio; non apparendo giustificabile la diversità di trattamento di due casi uguali, dei quali il secondo, quello della contestazione in corso di dibattimento, si differenzia solamente per il diverso contesto cronologico.

La norma censurata violerebbe altresì l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto la lacuna normativa evidenziata integra una non giustificabile compressione del diritto di difesa, che si manifesta anche nel potere di opporre le eccezioni processuali dalla legge previste; nel caso di contestazione suppletiva l'inesperibilità dell'eccezione preclusa non trova ragione alcuna, poichè le esigenze difensive che stanno alla base dell'eccezione tempestivamente sollevata in limine ricorrono parimenti in ipotesi di contestazione di reati connessi emersi in dibattimento.

Infine , la questione appare al remittente non manifestamente infondata anche sotto il profilo dell'art. 25, primo comma, della Costituzione, determinandosi, con l'ineccepibilità dell'incompetenza fin dal momento originario in cui i presupposti del potere processuale si formano (con la contestazione suppletiva del reato connesso), la sottrazione di fatto del processo al suo giudice naturale, predeterminato ai sensi dell'art.16 del codice di procedura penale, tutte le volte in cui viene con testato in dibattimento un reato connesso tale da cagionare la attrazione della competenza per l'intero processo ad altro giudice.

2. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della sollevata questione.

Ad avviso dell'Avvocatura l'impostazione data dal giudice remittente alla situazione al suo esame, per ciò che attiene l'applicazione delle disposizioni del codice di rito penale da osservare nell'ipotesi di connessione di reati nel processo pretorile, pecca di un formalismo che non considera le ragioni del legislatore ordinario.

L'impossibilità della impugnazione tardiva per incompetenza territoriale nell'ipotesi di contestazione suppletiva di un reato connesso ex art. 517 del codice di procedura penale troverebbe giustificazione, secondo la difesa del governo, nella esigenza, che il legislatore ha privilegiato, di evitare che la celebrazione del giudizio già incardinato venga rinviata e subisca i ritardi - spesso prolungati - derivanti dalla assegnazione del processo ad altro giudice territorialmente competente, ma di pari competenza ratione materiae.

Si tratterebbe, pertanto, di scelta adeguatamente motivata e tale da non dare luogo nè ad una irrazionale disparità di trattamento rispetto ad analoghe situazioni, nè alla lesione dei principi di cui agli artt. 24 e 25 della Carta costituzionale indicati nell'ordinanza di remissione.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Trento - sezione distaccata di Cles - ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione - degli artt.549 e 21, terzo comma, del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono, nel processo pretorile, che possa proporsi eccezione di incompetenza per territorio determinata dalla connessione nei casi in cui il pubblico ministero ha contestato in udienza all'imputato ex art. 517 c.p.p. un reato connesso tale da determinare l'incompetenza del giudice adito ai sensi dell'art. 16 c.p.p.".

Premesso che, all'esito dell'istruzione dibattimentale, il pubblico ministero aveva contestato all'imputato un reato concorrente più grave di quello enunciato nel decreto di citazione a giudizio e che la difesa aveva a quel punto eccepito l'incompetenza per territorio determinata dalla connessione ai sensi dell'art. 16 del codice di procedura penale, il remittente rileva che la detta eccezione risulta inammissibile per tardività, essendo ormai necessariamente spirato il termine di decadenza ("subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti") stabilito dall'art.491, primo comma, del codice, cui l'impugnato art. 21, terzo comma, fa rinvio per quanto concerne il giudizio pretorile. A sua volta, l'art. 549 richiama, per il processo pretorile, le norme relative al procedimento davanti al tribunale, in quanto applicabili.

La denunciata preclusione appare al remittente in contrasto con la Costituzione sotto un triplice profilo.

Sarebbe violato, in primo luogo, l'art. 3 della Costituzione, per irrazionale diversità di trattamento di due casi che si differenziano soltanto sotto l'aspetto cronologico, in quanto la possibilità o meno di eccepire l'incompetenza viene a dipendere esclusivamente dalla circostanza che il reato che la determina sia contestato fin dall'inizio nel decreto di citazione a giudizio, oppure nel corso del dibattimento;

risulterebbe, inoltre, in giustificatamente compresso il diritto di difesa, poichè le esigenze difensive che stanno alla base dell'eccezione tempestivamente sollevata ricorrono parimenti nell'ipotesi in cui il reato connesso sia emerso, e contestato, in dibattimento; si verificherebbe, infine, l'illegittima sottrazione del processo al suo giudice naturale, predeterminato ai sensi dell'art.16 del codice di procedura penale, ogniqualvolta, come nel caso in esame, il reato connesso contestato in dibattimento sia tale da determinare l'attrazione della competenza per l'intero processo ad altro giudice.

2. Nel dettare l'art. 491, primo comma, del codice di procedura penale (cui, come s'è detto, l'impugnato art. 21 fa rinvio in ordine al termine per rilevare o eccepire - quando manca l'udienza preliminare e quindi, tra l'altro, nel processo pretorile - l'incompetenza per territorio o quella derivante da connessione), il legislatore, modificando la regola di cui all'art. 439, secondo comma, del codice previgente, ha inteso stabilire un preciso sbarramento alla deducibilità delle eccezioni in esame, anche nel caso in cui la possibilità di proporle sorga solo nel corso del dibattimento. Ciò emerge chiaramente sia dal raffronto con il secondo comma dello stesso art.491 (che introduce invece, per le sole questioni in esso previste, una clausola di salvezza in tal senso), sia dal rilievo che la formulazione contenuta nel progetto preliminare - "sono proposte a pena di decadenza" - venne sostituita nel progetto definitivo con l'attuale - "sono precluse" - proprio al fine di chiarire che la norma si riferisce anche ai casi in cui la facoltà di proporre l'eccezione non sia ancora sorta allo spirare del termine, ipotesi per la quale si ritenne improprio il riferimento all'istituto della decadenza (cfr. sul punto le osservazioni governative al progetto definitivo).

Da ciò deriva - e tale interpretazione è confermata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione - che al superamento della fase dell'accertamento della costituzione delle parti il legislatore ha inteso far conseguire l'effetto della perpetuatio iurisdictionis del giudice procedente, nel senso che, per quanto qui interessa, da una contestazione suppletiva ex art.517 del codice di procedura penale (il quale, a sua volta, esclude la possibilità della contestazione solo nel caso in cui il reato concorrente appartenga alla competenza di un giudice superiore) non possono derivare conseguenze in ordine alla competenza per territorio determinata dalla connessione, la quale resta in ogni caso assegnata al giudice del dibattimento in corso.

Si è quindi in presenza, nella fattispecie, di una vera e propria regola attributiva della competenza, di segno in parte opposto rispetto a quella stabilita, in via generale, dall'art. 16 del codice di procedura penale: è, pertanto, nei termini così precisati che la proposta questione va esaminata.

3.1. La questione non è fondata.

Va, in primo luogo, esclusa la violazione del principio di eguaglianza.

Non può, infatti, ritenersi irrazionale che il legislatore abbia dettato regole di competenza diverse in ragione dello stadio processuale in cui il reato connesso emerga e venga contestato all'imputato, a seconda, cioè, che tale reato sia già menzionato nel decreto di citazione a giudizio, ovvero la contestazione segua alla circostanza che il reato medesimo sia emerso dopo l'apertura del dibattimento, nel corso dell'istruzione dibattimentale: contrariamente a quanto ritiene il giudice a quo, si è in presenza di una oggettiva diversità di situazioni, dalla quale il legislatore, nell'ambito della sua sfera di discrezionalità, ha ritenuto non irragionevolmente di trarre una diversa disciplina.

3.2. Passando - secondo l'ordine delle censure - alla lamentata violazione del diritto di difesa, occorre premettere che le norme in tema di competenza territoriale certamente non possono ritenersi sottratte, in linea di principio, al sindacato di costituzionalità con specifico riferimento anche all'art. 24 della Costituzione, non potendosi ovviamente sostenere che - sotto il profilo delle garanzie dell'imputato - detto sindacato si esaurisca nel valutare la conformità di tali norme al principio della precostituzione del giudice di cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione, nel senso che, una volta accertata la salvaguardia di questo precetto, non residui alcuno spazio di auto nomo rilievo in ordine al rispetto del diritto di difesa dell'imputato.

In proposito, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la competenza territoriale del giudice penale è disciplinata dalla legge in considerazione del luogo ove è stato commesso il reato, "allo scopo di consentire che ivi si dia luogo alla migliore concentrazione delle attività del processo" (cfr. sent. n. 77 del 1977 e ord. n. 521 del 1991); e non può negarsi che il criterio del forum commissi delicti, pur se ispirato da finalità attinenti "in modo prevalente alla economia processuale" (cfr. le citate pronunce), risponda anche, come tradizionalmente sottolinea la dottrina, all'esigenza di una più facile raccolta delle prove e dunque evidentemente incida, rendendolo più agevole, sull'esercizio del diritto di difesa. Del resto, il codice del 1988 ha mantenuto, come regola generale, il criterio anzidetto, sia nell'art. 8, in tema di competenza per territorio "diretta", sia anche - a ben vedere - quando, in caso di connessione di procedimenti, ha attribuito la competenza al giudice territorialmente competente per il reato più grave (art. 16).

Da quanto affermato deriva che il legislatore, nel dettare i criteri attributivi della competenza, debba tendenzialmente ispirarsi al rispetto del principio del locus commissi delicti, e che, d'altra parte, deroghe a tale criterio, comportando una maggior gravosità delle modalità di esercizio del diritto di difesa, possano ritenersi legittime se sorrette da motivi di salvaguardia di interessi ritenuti, non irragionevolmente, degni di tutela (cfr., in tal senso, pur se in settori diversi dal processo penale, sentt. nn. 477 del 1991, 189 del 1992, 231 del 1994).

Venendo alla fattispecie in esame, la ratio della regola di competenza che scaturisce dalla normativa impugnata va rinvenuta in evidenti esigenze di economia e speditezza processuale, le quali subirebbero una notevole compromissione nel caso in cui, fermo rimanendo il simultaneus processus per i reati connessi (che giova, fra l'altro, proprio all'interesse dello stesso imputato: cfr. sent. n. 117 del 1972), l'intero processo dovesse essere devoluto - con conseguente necessaria rinnovazione del dibattimento - ad altro giudice: tanto basta per ritenere legittima la norma censurata sotto il profilo in esame.

3.3. Deve, infine, escludersi anche la violazione dell'art. 25, primo comma, della Costituzione.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il principio ivi sancito tutela essenzialmente l'esigenza che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una garanzia rigorosa della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio, attraverso la precostituzione per legge del giudice in base a criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie (cfr., tra le tante, sentt. nn. 1 del 1965, 117 del 1972, 77 del 1977, 127 del 1979, 269 del 1992, 217 del 1993; ord. n. 521 del 1991): ed è evidente che nella fattispecie ricorrono tali condizioni, essendo chiaramente determinato a priori - in base a quanto si è detto sopra al punto 2 - il criterio attributivo della competenza territoriale derivante dalla connessione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 549 e 21, terzo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, primo comma, della Costituzione, dal Pretore di Trento - sezione distaccata di Cles - con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/06/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 06/07/94.